Storie di Città

Storie di Città Storie di Città H! O volato in elicottero per più di un'ora sopra le Langhe, il Roero e il Monferrato. Devo questo regalo a Sandro Vannucci, che i telespettatori conoscono per aver condotto per anni «Linea Verde»; ora sta preparando per Rai 3 un nuovo programma, intitolato «Gustibus», che esordirà il 22 novembre con una puntata dedicata al Piemonte. Sandro mi ha invitato a volare con lui per commentare e descrivere i luoghi che man memo sorvolavamo. Temo di non essere stato all'altezza del compito che mi era stato affidato. Visti per la prima volta dall'alto, nella luce del tramonto, i luoghi che conosci a memoria, i cari profili di colline, torri e castelli, sono quasi irriconoscibili. Si aggiunga che la bellezza del paesaggio è tale da togliere il fiato. I colori delle vigne esauste dopo la vendemmia, su una gamma di colori che vanno dal verde brillante al rosso intenso e al marrone, le aie delle cascine, i corsi d'acqua, i boschi resteranno a lungo nella memoria. Questa fetta di Piemonte vive un meritato Rinascimento, frutto del lavoro di generazioni che hanno costruito una rete di vigne, di castelli, di enoteche, di ristoranti, di sagre, modellando un paesaggio dove non c'è un solo metro di terra che non rechi le tracce della mano dell'uomo. Non tutto è perfetto; per non farsi venire il sangue cattivo bisogna ignorare gli assurdi condomini che svettano al centro dei paesi, le infami villette dei geometri, i parallelepipedi delle aziende in fondovalle che visti dall'alto sembrano altrettante scatole di scarpe abbandonate in mezzo ai campi. A un certo punto Sandro mi ha chiesto di fargli vedere i miei luoghi della memoria; ho chiesto al pilota di puntare verso il castello di Costigliole d'Asti e poi di scendere sul Tanaro. Il fiume della mia infanzia, dove per lunghe estati ho fatto il bagno nonostante i divieti. «Se anneghi in Tanaro ti ammazzo», mi diceva mia madre. E io, tenendomi a distanza di sicurezza: «Se sono già morto, come fai ad ammazzarmi?». Mentre seguivo il corso del fiume verso Alba, volando a pochi metri dall'acqua, mi sono ricordato di quella volta che ho scoperto la campagna d'inverno. Non conoscevo la campagna d'inverno. Ci andavo solo d'estate, a correre scalzo nell'erba, a rubare la frutta ancora acerba, a bagnarmi in Tanaro. Un giorno di dicembre un signore che abitava nell'alloggio sotto il nostro ad Asti e che di mestiere faceva il rappresentante di commercio mi chiese il favore di andare al paese per recuperare un'agenda che aveva dimenticato in una merceria. Mi diede i soldi per il biglietto del treno e una piccola mancia. La merciaia era una mia lontana parente, tutti allora in paese erano tra di loro in qualche modo parenti. Recuperata la preziosa agenda, dovevo far trascorrere quattro ore in attesa del treno che mi riportasse a casa. L'aria tremava sotto il peso di un cielo grigio, uniforme e compatto venato dai riflessi giallastri che annunciavano una nevicata imminente. Erano le prime ore del pomeriggio ma il crepuscolo già colmava di buio l'unica strada dai solchi di fango ghiacciati; cosi sono andato dai nonni. Erano in fondo alla cascina, in cucina, attorno alla stufa, seduti su sedie piccole e basse. In silenzio. C'erano i due vecchi, uno zio ancora scapolo e una cugina grande che viveva con loro e che si sforzava, alla poca luce filtrata da una finestrina, di leggere un vecchio numero della Domenica del Corriere. Sulla stufa una pentola d'acqua e dei pezzi di acacia verde che espellevano la linfa facendola sfrigolare sulla ghisa rovente. Sul tavolo di legno i bicchieri e i bottiglioni di vino avevano disegnato aloni circolari, le cartoline spedite dai figli lontani stavano infilzate nella vetrinetta del buffet, sul davanzale della finestra i centrini ricamati raccoglievano la polvere, la mano di mia nonna frugava in una scatola di latta che aveva contenuto decenni prima dei biscotti e che ora era piena di gomitoli e di rocchetti di filo di tutti i colori. Mio nonno, con pazienza infinita, raddrizzava con un martello dei chiodi che aveva estratto dal legno delle cassette che ora bruciavano nella stufa. Mio zio disfaceva delle cicche per ricuperare il tabacco e farsi a mano delle sigarette. Dalle pareti ci guardavano i ritratti dei morti fatti ingrandire e ritoccare dal fotografo del paese. Mezzo secolo mi separa da quell'epifania di un pomeriggio d'inverno, ma nel tribunale notturno dei miei pensieri quei fantasmi ritornano, provocandomi un rimorso tranquillo ma immedicabile. Mi è intollerabile l'idea che coloro che mi hanno preceduto abbiano avuto in sorte una vita impastata di rinunce e di sacrifici, affinché io potessi vivere nel mondo dello spreco, della vuota abbondanza, della rutilante e colorata fatuità nella quale stiamo tutti annegando. Affinché cinquant'anni dopo il loro nipote potesse sorvolare in elicottero quella cascina che cade in rovina e godere il puro piacere estetico della bellezza del paesaggio e del trascolorare della luce. Non so come, ma da qualche parte deve esserci una possibilità di riscatto, la memoria di quelle esistenze non può andare persa per sempre.

Persone citate: Sandro Vannucci

Luoghi citati: Alba, Asti, Piemonte