LA FEDRA DI MELATO AL CARIGNANO di Silvia Francia

LA FEDRA DI MELATO AL CARIGNANO LA FEDRA DI MELATO AL CARIGNANO TRA mille anni farà ancora versare lacrime, avrà l'ammirazione degli uomini di tutte le contrade della terra, ispirerà umanità, commiserazione, tenerezza». Da quando Diderot lodava, con le parole citate, la «Fedra» di Racine, di anni ne sono passati molti meno di mille. Ma la prova del tempo è comunque superata e la tragedia in 5 atti in versi che il poeta e drammaturgo francese compose nel 1677 (il debutto avvenne il 1° gennaio al parigino Hotel de Bourgogne), ha mantenuto inaiterato il suo fascino. Un fascino fondato, d'altronde, su un mito catturante, che ispirò, nei secoli, oltre a Racine, Sofocle e Euripide, Seneca, Swinburne, D'Annunzio, oltre a musicisti come Gluck, Paisiello, Pizzetti, Mayr, Massenet. Dal mito classico, Racine (di cui è ricorso, proprio quest'anno, il terzo centenario della morte) ha tratto il suo capolavoro, che conta, nel tempo, infinite messinscene. Curiosamente, proprio in Italia, gli allestimenti di «Fedra» sono assai più rari che altrove. E sole tre edizioni si contano nel dopoguerra: quella del '57 con Diana Torrieri e quella dell'84 con Anna Maria Guarnieri e la regia di Luca Ronconi. La più recente, che sarà in scena al Carignano dal 5 al 21 novembre per il cartellone dello Stabile, è diretta da Marco Sciaccaluga per il Teatro di Genova e fondata su una nuova traduzione di Giovanni Raboni. Nei panni di Fedra è una Mariangela Melato in stato di grazia che, sin dal debutto dello spettacolo nella scorsa primavera, ha entusiasmato pubblico e critici con la sua intensa prova d'attrice. Con la versatile Mariangela (che ha affrontato Racine dopo due anni di pochade con il «Chez Maxime» di Feydeau), sono gli attori Ugo Maria Morosi, Sergio Romano, Rita Savagnone e Luciano Virgilio, a interpretare quella che lo stesso Raboni ha definito una «tragedia di abbagliante nerezza». Tragedia «erotica» che coinvolge e strazia un'intera famiglia perseguitata dall'odio di Venere, «Fedra» si svolge a Trezene nei Peloponneso e racconta gli inutili sforzi della figlia di Minosse e Pasifae per liberarsi dalla bruciante passione che la dea dell'amore le ha acceso in cuore per Ippolito, figlio del marito Teseo, re di Atene. In Fedra, soggiogata dal fato più che «peccatrice» per autonoma volontà, si agitano sentimenti contrastanti: anzitutto, la consapevolezza della colpa per un amore tabù (sia perché sfiora l'incesto, sia perché la donna innamorata ha diversi anni più dell'amato). Poi, la folle speranza all'annuncio della presunta morte del marito, la gelosia nei confronti della principessa Aricia amata da Ippolito, il rimorso per aver lasciato che la nutrice Enone calunniasse l'integerrima virtù del figliastro e, infine, la volontà di espiazione davanti a Teseo, a sua volta annientato dal rimorso per aver invocato contro l'innocente Ippolito la terribile ira del dio Nettuno. E proprio al signore dei mari richiama la scenografia che Enzo Frigerio ha concepito per l'allestimento: con due grandi bocche che, alla fine di ogni atto, sputano rabbiose schiumate d'acqua. Mentre un sole incorniciato da un oblò-rosone, splende indifferente e spietato sopra gli umani casi e sopra la tormentata impotenza di una donna che guerreggia invano con il demone che la abita. Silvia Francia LA FEDRA DI MELATO AL CARIGNANO

Luoghi citati: Atene, Italia