All'eroina della Rasy per salvarsi manca l'astuzia

All'eroina della Rasy per salvarsi manca l'astuzia All'eroina della Rasy per salvarsi manca l'astuzia «L'ombra della luna»: un'anticonformista da Londra a Parigi al tempo della Rivoluzione La vana attesa che sogno e realtà trovino il giusto accordo RECENSIONE Lorenzo Móndo QUELLA che Elisabetta Rasy ci racconta nella «Ombra della luna», sollecitando con l'invenzione i dati di una realtà dimenticata, è la storia di una straniera: straniera al suo mondo e al suo tempo e, per certi aspetti, perfino a se stessa. Mary Wollstonecraft arriva da Londra nella Parigi della Rivoluzione, preceduta dalla fama di anticonformista e ribelle, di banditrice impetuosa dei diritti femminili. Spera di trovare in Francia l'affermazione di una suprema libertà nella quale possa comporsi e placarsi anche la sua lotta. Vuole tutto vedere e ascoltare per scrivere di quelle radiose giornate. Ma le carrette dei condannati a morte, la frenesia instancabile delia ghigliottina, le facce stravolte dall'odio e dalla paura la disilludono. La pioggia fredda e inclemente che percorre il romanzo, e risveglia nelle strade un fango viscido chiazzato di rosso, è la cifra vera del romanzo. Una delle pagine più belle ci rappresenta Mary che, scarmigliata e immemore, cerca ansiosamente il suo gatto rimasto in Inghilterra, il tepore di un'assenza amica. Tuttavia non si arrende, continua ad aspettare che l'immaginazione e la ragione, il sogno e la realtà trovino «il loro giusto accordo». Oppone ai tempi Untuosi e infecondi la sua passione per Gilbert. Amando questo americano bello e avventuroso, Mary prosegue la sua personale battaglia contro i pregiudizi e i vincoli che asserviscono le donne. Non contano per lei matrimonio, stato sociale, sicurezza economica, ma soltanto i diritti imprescrittibili del cuore. Disprezza la fragilità e la frivolezza, le arti della seduzione assegnate tradizionalmente al suo sesso. Quando afferma con veemenza i suoi principi, questa donna sbiadita e sgraziata si illumina, riscatta il tono predicatorio con la forza della sincerità. Mary trova almeno una seguace, turbata e via via affascinata, nella domestica Marguerite, giunta a Parigi dalla fonda provincia. E' lei che parla e parla della sua padrona a uno sconosciuto incontrato in una locanda, in una notte di tempesta, ai bagliori intermittenti del camino: una situazione alquanto inverosimile, da apprezzare semmai come un artificio predisposto dalla Rasy per inquadrare e marcare una vicenda che ha già tutti i colori del romanticismo. Marguerite racconta l'ebbrezza di Mary, lo strazio del disincanto, la sua sconfitta. L'amore la rende cieca, dissolve la sua sapienza sugli errori femminili. Perché l'idoleggiato Gilbert è un egoista, nasconde dietro la nobiltà delle imprese mercantili oltremare una sostanziale avidità, e non è insensibile alle gaie scorribande del sesso. Non serve a trattenerlo neppure la nascita di una bambina. Muore il ti villo Robespierre ma muore anche l'amore di Mary, la sua fiducia negli uomini che sono irrimediabilmente tiranni. E la destrezza di Elisabetta Rasy sta proprio nell'intreccio di grandi e piccole rivoluzioni, nel rispecchiamento delle passioni collettive in quelle individuali. Dopo la rottura sprezzante con Gilbert, dopo un tentato suicidio nel Tamigi, la svia eroina si piegherà a un decoroso, convenzionale matrimonio con un altro uomo. Morirà a 38 anni, dando alla luce una seconda figlia (si chiamerà Mary, come la madre, sarà la moglie di Shelley e troverà il suo affrancamento scrivendo con «Frankenstein» la storia di un'altra diversità). Mary si è illusa di abitare nella luce del giorno, della chiara ragione, per accorgersi infine di essere più sensibile al mondo notturno, dominata da una lunare malinconia. E mentre si riconosce pienamente nello specifico femminile confessa alla fine di non avere «l'astuzia delle donne, la loro consumata sagacia». Nella paradossale affermazione è la radice del suo dramma. Cos'i il romanzo, che non nasconde la sua simpatia per questa donna eccezionale, non nasconde le sue debolezze e contraddizioni, le accompagna con il sottofondo di una dolente ironia. Elisabetta Rasy L'ombra della luna Rizzoli, pp. 205, L. 26.000 ROMANZO

Persone citate: Elisabetta Rasy, Mary Wollstonecraft, Rasy

Luoghi citati: Francia, Inghilterra, Londra, Parigi