Fosco Maraini, un taoista maestro dell'antiaccademia di Gianni Riotta

Fosco Maraini, un taoista maestro dell'antiaccademia Fosco Maraini, un taoista maestro dell'antiaccademia IL 18 luglio del 1944, un gruppo di italiani detenuti in un campo di concentramento giapponese decise di cominciare lo sciopero della fame. I nostri connazionali che si trovavano dopo l'8 settembre 1943 in Giappone, erano stati tradotti, come traditori, in lager dove il cibo scarseggiava e le condizioni igieniche erano pessime. Tra i deportati lo studioso Fosco Maraini, alpinista, antropologo, bizzarro uomo di costu.m.i. orienltjjj. Non mangeremo più -dicono gli italiani ai loro aguzzini- finché il nostro vitto non migliorerà. Al posto del rancio arriva una specie di jeep carica di sbirri di Nagoya. Il loro capo, il signor Azumi, dice "Dovreste vergognarvi a chiedere qualcosa in più...Voi non avete alcun diritto, è già grande concessione che vi si lasci vivere, gli italiani sono dei bugiardi, dei traditori". E' oggi in voga dibattere sul carattere degli italiani: poltroni? panciafichisti? opportunisti senza mezzi termini? Ognuno può scegliersi i modelli che preferisce, ma Maraini non ama sentirsi dare dell'italiano codardo: "A queste parole ...prese l'accetta (della cucina), si taglia il dito mignolo della mano sinistra, lo raccatta e lo getta al terrorizzato Kasuya gridando "Itarya-jin uso tsuki de wa nai...(Gli italiani non sono dei bugiardi)"....Le tre bambine hanno visto e hanno cominciato un coro di strilli RECENGianni acutissimi . Mutilandosi, Maraini dimostra ai giapponesi il carattere, se non di tutti gli italiani, almeno di uno. E, nell'elaborato cerimoniale del coraggio nipponico, scarica sugli avversari, come in un judo etico, l'umiliazione. Per il campo saranno giorni di purificazione e mortificazione, mentre il coraggioso Maraini si sottacerne alla scar.^. nìficazione del moncherino, ovviamente senza anestetico. t£' l'episodio elio io ritengo ilclimax di Case, amori, universi, autobiografia letteraria di Maraini, padre della scrittrice Dacia. L'autore sceglie il "fictional" soprannome di "Clé" per narrare la propria storia e c'è chi ha obiettato all'artificio (la stessa figlia, secondo alcune ricostruzioni). Eppure il lettore percepisce immediatamente il perché della decisione. In Maraini il pudore, il "viversi in terza persona" come voleva Brecht, il sapersi parte del fluire universale, come un buon taoista, impedisce il protagonismo romantico, pur cosi caro al melodramma nazionale. Per ricostruire il gesto clamoroso dell'automutilazione, Maraini ricorrerà al diario della moglie, in un doppio sipario SIONE Riotta . che cela al meglio il vissuto proprio, per esaltare la vicenda. Del resto già sua mamma, inglese, l'ammoniva a "non piangere", come il clan dei Kennedy con i propri rampolli "Kennedys do not cry", i Kennedy non piangono. Ma in Maraini non c'è il narcisismo elegante della famiglia americana. Se la zia Violet, puritana .-anglosassone, 1q., ammonisce "Il cibo non' deve essere saporito", lui se la ride e si gode la vita,'da anglotoscano. Capace di passare ore sul ponte della nave che lo riporta in patria dalla prigionia, per osservare un fortunale sull'Oceano Pacifì- co. La moglie, assai più concreta, trova quel mare orrendo, anziché meraviglioso. Questione di punti di vista. E Clé-Maraini si sentirà una stretta al cuore quando l'ufficiale Bonino, americano del US Army, gli annuncerà il ritorno in Italia. Tanto più che, alle sue protoste per i ritardi e le fatiche del viaggio, un ferroviere nostrano gli rinfaccerà "Torna dalla prigionia? Adesso dicono tutti così". Un libro da leggere per imparare e capire. Una storia e una lezione. Che si presta anche a una riflessione generale. La vera discriminante nella cultura italiana del Novecento non passa tra destra e sinistra, cattolici e laici, alto e basso. E' tra cultura accademica e cultura non accademica. Tra vite e teorie nutrite di aule universitarie, seminari, camarille baronali e vite aperte, spregiudicate, libere. Tra Gentile e Pirandello, Marchesi e Vittorini, Diego Fabbri e Don Milani. Nell'accademia ci sono geni e nullità, come fuori ci sono mediocri e menti eccelse^rion è la quainA il metro, è la capacità di faro scuola contro la sterilità della cooptazione. Fosco Maraini si conferma con Case, amori, universi, maestro della cultura non accademica. Diventerà nella nostra narrativa futura un "minore", uno di quegli autori adorati dai posteri, come il Nievo, come la Gaspara Stampa, come Antonio Veneziano, per il loro ostinato credere in un sistema di valori nitido e personale, "cantankerous" avrebbe detto la mamma di Maraini, a dispetto di quel che il mondo intorno apprezza o detesta. "Ove nel pantheon dei laici vi fosse un «Kami», un dio minore, preposto alle case, Clè pensava spesso sorridendo "Sarei suo devoto fedele!". CléMaraini ha fatto di più -sempre sorridendo insieme a noi, suoi lettori- s'è trasformato lui stesso in un piccolo dio minore, comportandosi come il Kami avrebbe suggerito. E ben vengano ora gli psicologi dilettanti a trovare nella prosa di Dacia Maraini echi di questo padre grande, il Fosco sorridente Clé. gianni.riotta@lastampa.it «Case, amori, universi» ripercorre senza protagonismo romantico una vita avventurosa: momento esemplare il 18 luglio 1944 in un campo di prigionia del Sol Levante, quando Fosco, all'accusa di «italiani traditori» rispose tagttandosp^ un dito con l'accetta ALPINISTA E ANTROPOLOGO FRA ITALIA E GIAPPONE, IL PADRE DELLA SCRITTRICE DACIA SI RACCONTA IN TERZA PERSONA: OLTRE LA LETTURA, UNA LEZIONE DI CARATTERE E DI CULTURA Fosco Maraini: a sinistra in Tibet nel 1937, a destra con i compagni di una spedizione sul Karakorum nel 1958 Fosco Maraini Case, amori, universi Mondadori, pp. 750. L. 34.000 AUTOBIOGRA F I A RECENSIONE Gianni Riotta .

Luoghi citati: Giappone, Italia, Tibet