SIDDHARTHA di Claudio Gorlier

SIDDHARTHA SIDDHARTHA fede e aadaet ANTEPRIMA Claudio Gorlier ANTEPClauGorALLA nascita, il fatale bimbo, il principino figlio del grande Suddhòdana, venne chiamato Siddharta, cioè «colui che ha raggiunto il suo scopo». Il luogo era Kapilavastu, città himalaiana, nel Nepal, vicino al corifine con l'India. Quando? Il romanzo, ma dovremmo dire il fumettone di Patricia Chendi, appena pubblicato da Mondadori, Il prìncipe Siddharta. Fuga dalla Reggia (pp. 232, L. 19.900), oltre a sottrargli la seconda h del nome, fissa con stupefacente sicurezza la data, maggio del 556 avanti Cristo. Ci mancherebbe. Chiedo lumi al mio amico, il professor Massimo Piantelli dell'Università di Torino, indologo di fama internazionale. Si deve a lui una trattazione fondamentale che consiglio a chi voglia saperne di più, un saggio sul buddhismo indiano (da pagina 276 a pagina 368 dell'opera curata da Giovanni Filoramo, Storia delle religioni, voi. IV, editore Laterza). Si fa una risata, e mi snocciola una serie di ipotesi sull'anno della morte del Buddha, il nome con il quale Siddhartha è entrato nella leggenda, quando egli era all'incirca ottuagenario. Non si finisce mai. Gli studiosi più accreditati, a partire dalla fine dell'Ottocento, hanno letteralmente sparato decine di date, che partono dal 2146 per arrivare al 43 toccando il 557, il 490, e via di questo passo. La nascita avvenne al culmine dell'estate di plenilunio, dieci mesi dopo il concepimento. Naturalmente Siddhartha aveva già attraversato numerose reincarnazioni, umane e animali. La verità è che del suscitatore del buddhismo si sa pochissimo, che di lui non rimane nulla se non attraverso una miriade di leggende, raccolte di prediche e detti memorabili, ovviamente posteriori. Verosimilmente predicò la prima volta nel Deer Park, il parco dei cervi, alla periferia di Varanasi (Benares), luogo ove si erge l'imponente stupa, cupola, dell'unico tempio buddhista attivo in India, e luogo, posso assicurarlo, di grande suggestione, per tacere degh splendidi antichissimi templi dello Sri Lanka, dove il Buddhismo è religione ufficiale. Ma tutto RIMA dio ier rimane aperto all'interpretazione, compreso il nome Siddhartha, poiché altri lo chiamato Gautama, sempre in sanscrito. Buddha, «il Risvegliato» è l'appellativo che gli verrà attribuito dopo la sua affermazione religiosa, che segue il cosiddetto Grande Abbandono, quando egli lascia la reggia, la moglie, i figli, per scegliere l'ascetismo. Proprio il Grande Abbandono chiude il fantasioso romanzo della Chendi, assai schematizzato. Dunque: Siddhartha lascia la reggia con il cavallo Kanthaka, assistito dallo scudiero Chanda. Si libera dei ricchi abiti per indossare il saio, si fa tagliare la chioma da Chanda, e parte. L'autrice non ci dice che non avrà bisogno di voltarsi indietro, perché una divinità fa ruotare la terra, e che Chanda, rattristato, si lascerà morire, mentre la chioma si librerà miracolosamente. Così inizia l'itinerario religioso del Buddha, e nasce il buddhismo. Che, sottolinea Piantelli, dovrebbe essere chiamato se mai i buddhismi, visto che ne esistono infinite varietà, dal Tibet alla Cambogia, a tutta l'Asia, culminando in Giappone. Vediamo, ad esempio, uno degli aspetti basilari della meditazione, parola chiave per il buddhismo, ossia lo zen, diffusosi nel mondo a macchia d'olio. E' un termine giapponese, che riprende il sanscrito dìiyana, traslitterato nel cinese Ch'ari. Tutto questo dimostra la diffusione irresistibile del buddhismo nel mondo, ma anche le svariate mediazioni, e naturalmente le sbrigative volgarizzazioni. Con una premessa non trascurabile: che esso trovò fin dall'inizio terreno fertile in classi elevate, o almeno medio-alte, ciò che è avvenuto e in larga misura avviene in Occidente. Se stiamo alle principali leggende, a quarantanove anni, avendo resistito alle tentazioni seducenti e demoniache, il Buddha conobbe la verità, il modo, attraverso la meditazione, di superare dolore e infelicità. Se vogliamo brutalmente semplificare, sta qui il motivo fondante della fortuna occidentale del Buddhismo, già in pieno Ottocento negli Stati Uniti, culmi- riandò nei versi appassionati di Walt Whilman («A Passage to India»), dove si intreccia con l'induismo; fino all'esplosione dello zen dei Figli dei Fiori e, in particoare, dei beat, con l'appropriazione dello zen, acutamente delineata da Umberto Eco in appendice a Opera apeita, e con un vero festino di termini mutuati dagli originali sanscriti, il dhanna, la scansione poetica dei mantra, formule magiche, l'adozione del Tantrismo. Accanto Timothy Leary, che coniuga il mistico della droga e il tibetano Libro dei morti. Poi è arrivata l'ubriacatura della New Age con tanto di sfruttamento commerciale, la fortuna di Cobain e dei Nirvana, la fervida e un poco comica adesione di Richard Gere. La lezione dei beat e dei Figli dei Fiori trova una spiegazione agevole nella cosiddetta «disaffiliazione», il rifiuto delle nonne e dei canoni della società industriale, mercificata, aggressiva, bellicista: ecco allora la futa nella meditazione, nell'intenso distacco del buddhismo quale alternativa consolante e pacificatrice. Ma pensiamo anche a uno scrittore serio e penetrante come Peter Mattili s e e s n, con roman¬ zi quali // leopardo delle nevi Frassinelli 1993). Attorno agli anni venti, in Europa, e soprattutto in Gennania, il buddhismo divenne una fascia dell'espressionismo, culminando nel Siddhartha di Herman Hesse (tradotto in Italia da Massimo Mila, ora long seller Adelphi, giunto alla sessantaduesima edizione con un milione e novecentomila copie vendute): l'anima spiritualistica e irrazionale opposta a quella della irreggimentazione e dell'ordine. Da noi, come in Francia, il fenomeno, o se volete la moda, è più recente. Ma rammentiamo che uno studioso autorevole, assai apprezzato in India, come Giuseppe Tucci ( 1894- \ 984) si professò buddhista. Poi arriva con iì suo film Bertolucci, e scuote l'albero. Ma soprattutto arrivano, anche se non nella stessa misura degli Stati Uniti, dove i gruppi buddliisti sono centinaia, i monaci più o meno seri, a diffondere il verbo. Piantelli dice che si tratta di autentici containers con la loro merce, e che la pratica buddhista diventa una sorta di ginnastica. Ricordiamo, però, che essa si lega spesso, stranamente, alla pratica delle arti marziali. Allora, da Buddha a Roberto Baggio (e proprio ora sta amvanlo sugli schermi il film «La coppa» diretto dal buthanese Khyentse Norbu, storia di un monastero «in esilio» in cui un gruppo di giovani segue con eguale passione gli insegnamenti del buddhismo e le partite dei Mondiali tli calcio). Ciò che colpisce, incluse le tournées del Dalai Lama, è che una religiosità meditativa, riflessiva, disinteressata, la quale rifiuta di farsi condizionare da ogni mondanità, diventi così mondana e remunerativa. Fatevi la vostra meditazione e tornate al vostro ruolo di classe dirigente, politica ed economica, essendovi felicemente purificati, e magari pure legittimati. Del Grande Abbandono si è davvero persa la memoria, e la pratica di un buddhismo addomesticato, da assumere a dosi fisse come i tranquillanti, acquista una funzione blandamente terapeutica. Dacci il nostro buddhismo quotidiano, o Siddhartha. UNA BIOGRAFIA , TRA ROMANZO E FUMETTO, RACCONTA IL PRINCIPE CHE AL MONDO PREFERÌ' L'ASCESI E DIVENTO' IL BUDDHA. LA FORTUNA DEL SUO INSEGNAMENTO ETICO E RELIGIOSO IN OCCIDENTE VA DA WHITMAN A HESSE (UN LONGSELLER CON UN 1.900.000 COPIE), DAI FIGLI DEI FIORI A BAGGIO. E' MODA NEW AGE 0 VERA SPIRITUALITÀ? THA aet UNA BIOGRAFIA , TRA ROME FUMETTO, RACCONTA IL PCHE AL MONDO PREFERÌ' L'AE DIVENTO' IL BUDDHA. LA FORTUNA DEL SUO INSEETICO E RELIGIOSO IN OCCIVA DA WHITMAN A HESSE (UN LONGSELLER CON UN DAI FIGLI DEI FIORI A BAGGE' MODA NEW AGE 0 VERAa di adre di dha e e «Colei na la della ul le mani a genza riandò nei versi appassionati di Walt Whilman («A Passage to India»), dove si intreccia con l'induismo; fino all'esplosione dello zen dei Figli dei Fiori e, in particoare, dei beat, con l'appropriazione dello zen, acutamente delineata da Umberto Eco in appendice a Opera apeita, e con un vero festino di termini mutuati dagli originali sanscriti, il dhanna, la scansione poetica dei mantra, formule magiche, l'adozione del Tantrismo. Accanto Timothy Leary, che coniuga il mistico della droga e il tibetano Libro dei morti. Poi è arrivata l'ubriacatura della New Age con tanto di sfruttamento commerciale, la fortuna di Cobain e dei Nirvana, la fervida e un poco comica adesione di Richard Gere. La lezione dei beat e dei Figli dei Fiori trova una spiegazione agevole nella cosiddetta «disaffiliazione», il rifiuto delle nonne e dei canoni della società industriale, mercificata, aggressiva, bellicista: ecco allora la futa nella meditazione, nell'intenso distacco del buddhismo quale alternativa consolante e pacificatrice. Ma pensiamo anche a uno scrittore serio e penetrante come Peter Mattili s e e s n, con roman¬ zi quFrassAttpa, e buddhdell'esnel Si(tradoMila, to allacon ucopie stica la dell'ordiDafenompiù che usai Giusfessòsuo firo. Mche deglbuddci piverbdi aumercdivenRicorspessdelle AlBagglo sudiretNorbesilioseguegnamte decolpiDalaimedisata, zionvetd Una statua di Tara, la madre di tutti i Buddha e nota come «Colei che inganna la morte». Gli occhi al centro della fronte e sul palmo delle mani indicanola chiaroveggenza