Comunismo, nuovo strappo di Veltroni di Pierluigi Battista

Comunismo, nuovo strappo di Veltroni Il leader Ds: il compromesso con l'Urss è durato anche dopo la svolta di Berlinguer, nella seconda metà degli Anni 80 Comunismo, nuovo strappo di Veltroni «Tagliamo la parte tragica della storia del Pei» Pierluigi Battista Sandro Curzi, direttore del quotidiano di Rifondazione comunista, protestava, e anche vivacemente. Valentino Parlato, protagonista della storia del «Manifesto», protestava pure lui, e altrettanto vivacemente. Chiedevano né più né meno a Walter Veltroni di rimangiarsi quello che aveva scritto sulla «Stampa», che cioè storicamente comunismo e libertà si sono dimostrati incompatibili, suscitando scalpore e scandalo (non soltanto, per la verità, tra i comunisti duri e puri). Malgrado le proteste di Curzi e Parlato, però, Veltroni non solo non ha fatto marcia indietro ma ha compiuto almeno un altro paio di piccoli, ma significativi passi nel processo di revisione critica della storia del comunismo, ma ancor più della storia di quella particolarissima specie di comunisti che sono stati e sono i comunisti italiani. Due piccoli, ulteriori «strappi» che allontanano ancor di più l'identità del partito di Veltroni da quella, ufficialmente chiusa nel 1991, ma ancora presente nei fantasmi e nella sensibilità di questa fine di secolo, del Partito comunista italiano. Il luogo era l'aula magna del liceo classico Tasso di Roma. L'occasione era un convegno, «L'ultimo Ottobre. Ragionamenti sul comunismo come problema irrisolto», impostato dagli interventi introduttivi di Vittorio Strada e Viktor Zaslawski. Sul palco, accanto a Veltroni, c'erano Paolo Franchi e Sandro Curzi, Miriam Mafai e Silvio Pons, Mino Fuccillo e Valentino Parlato, Eugenio Scalfari e Paolo Mieli. Protestavano Curzi e Parlato ma Veltroni ha ricordato che dopo l'invasione della Cecoslovacchia il Pei spese sì alcune espressioni di dissenso dall'invasione di Praga da parte dei partiti «fratelli», ma mai e poi mai («ammettilo, Sandro») «proprio noi che organizzavamo manifestazioni quando si trattava di protestare per la violazione dei diritti democratici che avvenivano in questa parte del mondo, abbiamo organizzato una sola manifestazione per solidarietà con Jan.Palach». Anche negli anni in-cui saliva alla segreteria del partito Enrico Berlinguer, ammette in sostanza Veltroni con una nettezza finora sconosciuta, tra i comunisti italiani l'invasione della Cecoslovacchia non era ancora considerata una ragione sufficiente per liberarsi interamente del «legame di ferro» con l'Unione Sovietica. Anche nella generazione nuova che venne alla politica con il '68 prevalevano il silenzio e la complicità, testimonianza di un vincolo emotivo che faceva parte di quella che Veltroni definisce la «parto tragica della storia del Pei» che occorre «tagliare». Per salvare la «parte grande» della storia dei comunisti italiani, sostiene infatti Veltroni, quella che si intreccia più in generale con la storia della stessa democrazia italiana occorre «tagliare» e non dimenticare. Si poteva negli Anni Settanta votare e addirittura iscriversi al Pei senza «essere comunisti», ma non si può negare a chi la reclama l'onesta presa d'atto che la vicenda storica anche del Pei berli: igueriano (nei confronti del quale spesso Veltroni è sembrato dedicare la venerazione che si porta ai santini) non fosse una storia non condizionata pesantemente dalle vicende del comunismo «reale». E' la premessa del secondo, piccolo ma significativo, «strappo» della giornata. Che consiste nell'ammissione che potenti residui di quella «parte tragica» di compromissione con il comunismo siano durati «fino alla secon- da metà degli Anni Ottanta», cioè anche nel periodo successivo allo «strappo» di Berlinguer. La «vulgata» consegna la consueta immagine del «cattivo» Cossutta come unico depositario del legame storico con il comunismo sovietico negli Anni Ottanta. Veltroni non nasconde però che anche nel Pei che aveva accettato lo «strappo» si annidassero ambiguità e oscurità fnittodi quella «parte tragica» non ancora amputala. Se l'affermazione sull'incompatibilità tra comunismo e libertà ha suscitato grande scalpore, questo ulteriore tassello nella revisione autocritica di chi viene dalla storia del Pei coinvolge responsabilità finora ammesse con grande difficoltà e imbarazzo tra gli eredi di quel partito. Del resto, l'eco delle polemiche che il giudizio sul comunismo inevitabilmente propone si è avvertita nel convegno romano non solo nelle reazioni di Parlato e di Curzi (ma non in quello di Miriam Mafai, che invece lia incoraggiato il processo di critica del passato) ma anche nello scambio dii opinioni die ha contrapposto Eugenio Scalfari e Paolo Mieli. Con Scalfari che sosteneva la tesi secondo cui por molti crit ici la «richiesta di autocritica sullo responsabilità del passato» rivolto ai «post-comunisti» non cesserà mai fino a che «non saranno fisicamente estinti anche i loro nipoti». E con Mieli che sosteneva la necessità di una «ricerca storica sullo luci e sullo ombre del Pei» iniziata con «coraggio» dal leader dei Ds ma che deve continuare senza remore. 1 nuovi, piccoli ma significativi «strappi» di Veltroni decisamente non sono destinati a portare pace. Scalfari: si può fare autocritica in eterno? Mieli: è necessaria una coraggiosa ricerca storica su luci e ombre Il dibattito in un liceo di Roma al convegno «L'ultimo ottobre» Il segretario contestato da Curzi e Parlato «Non si deve rinnegare cosìil nostro passato...» «Proprio noi che facevamo sempre manifestazioni contro la violazione dei diritti democratici in Occidente, non ne abbiamo organizzata una sola di solidarietà a Jan Palach» A sinistra Walter Veltroni e Paolo Franchi durante il convegno di ieri al Liceo Ginnasio «Tasso» Sotto Paolo Mieli e, a destra, Sandro Curzi

Luoghi citati: Cecoslovacchia, Praga, Roma, Unione Sovietica, Urss