Tavernier: il mio cinema? E' dedicato ai rompiscatole

Tavernier: il mio cinema? E' dedicato ai rompiscatole PARLA IL GRANDE REGISTA CUI FRANGE CINEMA DEDICA UNA RETROSPETTIVA Tavernier: il mio cinema? E' dedicato ai rompiscatole intervista Lietta Tomabuoni FIRENZE H O sfiorato il disastro», dice Bertrand Tavernier, 58 anni, nato a Lione come i fratelli Lumière, il regista («Che la festa cominci», «Il giudice e l'assassino», «La morte in diretta», «'Round Midnight», «Una domenica in campagna», «Daddy Nostalgie», «L'esca», «Capitano Conan») al quale France Cinema dedica la retrospettiva, curata da Frangoise Pieri, della sua 14a edizione. Il festival fiorentino del cinema francese, diretto da Aldo Tassone e sponsorizzato tra gli altri da Citroen, Gan, Cinzano-Grand Marnier, presenta pure il film più recente di Tavernier, «Ricomincia da oggi» con Philippe Torreton. Disastro? Quale disastro? «Non ci vedo. Non posso leggere né scrivere. Per ora mi limito a dettare, magari il prossimo film lo dirigerò in Braille. Ho subito il distacco delle retine. Sono stato operato. Spero che questa mancanza della vista non sia definitiva, intanto non mollo: spedisco lettere, faccio progetti, conduco polemiche, ricevo persone (anche quelle così gentili da venire da altre parti d'Europa per incontrarmi e dirmi una parola d'amicizia, d'affetto)». France Cinema, e anche il festival di San Sebastiàn, le hanno dedicato le loro retrospettive: non è un po' presto, alla sua età? «Mi auguro non voglia dire che ho il piede nella fossa, che non intendano sotterrarmi al più presto. Adesso, comunque, le retrospettive possono essere anche precipitose, riguardare registi giovani: quelle degli anziani sono già state fatte, e ci sono tanti organizzatori di retrospettive che hanno bisogno di lavorare. Per me è un onore. Sono molto contento che i miei film possano venire visti o rivisti, da spettatori vecchi o nuovi, su un grande schermo cinematografico anziché nel riquadro del televisore. Il protagonista del suo nuovo film «Ricomincia da oggi», un maestro e direttore d'asilo, è un «personaggio positivo», così comelo erano i poliziotti di «L. 627» o Philippe Noiret in «La vita e nient'altro»... «Io diffido delle etichette. Personaggio positivo? E' un uomo che lotta, che rifiuta d'accettare il pessimo stato delle cose. Sbaglia, commette errori anche con conseguenze drammatiche, non è infallibile. Mi ha sempre interessato, mi piace, la gente che si batte per fare bene il suo lavoro, per respingere cose vergognose. Gente che lavora nelle istituzioni (la scuola, la polizia, l'esercito), che si rende conto del fatto che in realtà il sistema non vuole che le cose funzionino, che si batte e quindi diventa rompiscatole per quei tecnocrati amici dell'inerzia e del silenzio. Gente che prende sul serio i propri doveri e responsabilità. Che sa di non poter cambiare il mondo ma continua a provarci, a battersi». Nella realtà c'è molta gente del genere? «Io l'ho conosciuta, l'ho incontrata. Il cinema non se ne occupa, o almeno non se ne occupa abbastanza: la moda portava anzi a irridere personaggi simili, ma adesso le cose vanno cambiando. Questi personaggi, non eroi muscolari all'americana ma eroi quotidiani, c'erano già nei film di Rossellini, in quel cinema italiano che mi ha nutrito. Ci sono ancora, e fortunatamente cominciano a prendere la parola: solo battendosi si può cambiare qualcosa». Il cinema può quindi avere, anche oggi, una funzione sociale? «Una doppia funzione. La prima, nella zona dove il film è stato realizzato: il fatto di venir filmati con i loro problemi in "Ricomincia da oggi" ha dato ai cittadini slancio, coraggio, una specie di orgoglio. La seconda funzione è più generale: ho ricevuto duemila lettere di gratitudine, dopo l'uscita del film. Per me è moltissimo: un ruolo modesto mi basta, se arrivo a condensare la collera della gente e portarle calore, mi va bene» Lei ha sempre avuto passione per il cinema popolare, ha fatto conoscere in Francia Vittorio Cottafavi, Riccardo Freda, Mario Bava. Questo genere la interessa ancora? «Mi interesserebbe, ma forse quell'abbandono, quell'ingenuità appassionata, quello slancio avventuroso si sono perduti in un'angustia piccoloborghese. C'è un nuovo Freda in Italia? Io non lo so, da noi i film italiani sono quasi spariti e purtroppo se n'è andato un sostenitore del cinema italiano persino più forte di me. Simon Misrahi». Lei ha cominciato a lavorare nel cinema come press-agent: è un mestiere che farebbe ancora oggi? «Lo faccio, in certo modo. Non intendo vantarmi, ma credo di essere una persona incapace di invidia meschina, capace invece di ammirare il talento quando lo vedo. Se amo un film, vado a parlarne alla radio, scrivo articoli. Dirigo una collana editoriale che pubblica libri su altri registi e cineasti. Faccio programmare film altrui all'Institut Lumière di Lione: la più recente è una rassegna di film inglesi degli Anni Quaranta, quasi inediti e incantevoli. Continuo a batter¬ mi per il cinema e per i registi passati e presenti. Spendo molto tempo a difendere e sostenere il lavoro altrui» Lei è sempre stato un grande sostenitore del cinema italiano. Lo è ancora? «Adesso voglio organizzare a Lione un Omaggio a Monicelli e ai suoi film, "I compagni" è un'opera sublime. Ma in Francia escono così pochi film italiani che è difficile giudicare. Una parte di responsabilità è della critica francese, pretensiosa, snob, apodittica, che ha sentenziato: a parte Moretti e Almodóvar, il cinema italiano e il cinema spagnolo non esistono. Anche contro lo snobismo bisogna battersi». «Ho sfiorato il disastro: non ci vedo, non posso più leggere né scrivere i medici mi hanno detto che le cose miglioreranno ma io, intanto, non mollo» «Amo la gente che continua a lottare, a battersi e a prendere sul serio i propri doveri, anche se sa bene che non potrà cambiare il mondo» A destra II regista Bertrand Tavernier e qui sopra una scena da «Una domenica in campagna» Una scena da • Daddy Nostalgie», uno dei capolavori del cinquantottenne Tavernier. Il suo nuovo lavoro s'intitola «Ricomincia da oggi»

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