«Ho riconosciuto il killer, ma avevo paura»

«Ho riconosciuto il killer, ma avevo paura» Processo Sofri, nuovo giallo dal confronto tra uno dei testi-chiave e l'ex commissario Allegra «Ho riconosciuto il killer, ma avevo paura» la difesa: scagionato Bompressi Fabio Potetti inviato a VENEZIA Un volto nordico, con il naso allungato e i capelli castani. E' tutto quello che rimane nella memoria di Luciano Gnappi, uno dei testi oculari dell'omicidio del commissario Calabresi, che ventisette anni dopo, giura di aver riconosciuto l'assassino in una fotografia, mostratagli due giorni dopo l'agguato di via Cherubini. «Era quello della foto, sono sicuro al 99 per cento. A chi me la mostrava non ho detto che era lui, avevo paura», ricorda mentre si passa una mano tra i capelli, quasi nello sforzo di ricostruire un elemento in più. Il mistero di quella foto, Luciano Gnappi lo ha custodito per venticinque anni, fino a quando ne ha parlato con i difensori di Adriano Sofri ed è diventato il teste chiave di questo processo di revisione, chiesto dagli ex dirigenti di Lotta continua. «Sono stato zitto perché avevo paura, perché in quegli anni accodava di tutto, perché quei due che sono venuti a motti armi la foto forse non erano poliziotti, forse volevano solo accertarsi che non avessi riconosciuto il killer», dice d'un fiato il testimone, mentre ricorda la foto in mano, gli .mni con il cuore in gola, la moglie che implorava di non parlare e il rimorso «per essere stato zitto fino a quando non è arrivata una sentenza definitiva e ho visto che c'era della gente in galera». «Ma porca miseria, mi crediate o no, è la mia verità», sbotta lui mentre racconta la paura di quei momenti e assicura che il giorno dopo l'improvvisa visita, avrebbe dovuto incontrare l'allora capo della squadra politica della Questura Antonino Allegra. «E allora perché venire a casa mia poche ore prima, con quella foto?», si chiede ancora oggi Luciano Gnappi. Ma quando la corte di Venezia davanti alla quale si celebra il processo di revisione, lo mette a confronto con Antonino Allegra, scuote la testa. «Non è lui, non parlava meridionale...», dice a sorpresa. «Eppure era l'ufficio del dottor Allegra, c'era la targhetta alla porta...», ribatte davanti a questo mistero in più. Un mistero che divide difensori e imputati, che a tutti fa sottolineare come la bilancia delle prove adesso penda da una sola parte. A partire dallo stesso Adriano Sofri: «Un teste indiscutibilmente credibile». E da Ovidio Bompressi, accusato di aver ammazzato il commissario: «Nessun colpo di scena, se non ricorda vuol dire che è sincero. Dopo tanti anni è umano...». Alessandro Gasperini, difensore di quelli di Lotta continua, è soddisfatto: «Invece che Allegra, sarà stato un altro dirigente, ma la sostanza non cambia. Gnappi è credibile». Al mancato riconoscimento non bada Luigi Ligotti, l'avvocato della famiglia Calabresi, che punta ad altro: «E' un punto a nostro favore. Quello che Gnappi ci ha descritto in aula, potrebbe benissimo essere Bompressi». Di quella fotografia non c'è più traccia. Nemmeno nei verbali della polizia di allora. Antonino Allegra, ha solo un ricordo vago: «Nei giorni im¬ mediatamente successivi al l'omicidio abbiamo fatto 45 tentativi di riconoscimento fotografici. Forse a Gnappi i miei uomini hanno mostrato la foto di Deichmann, un'estremista di sinistra tede sco. Ma era all'estero, non c'entrava nulla con l'ornici dio. Nel mio ufficio comun que, il teste Gnappi io non l'ho mai visto». Più o meno le stesse parole dell'ex poliziotto Antonino Sgrò e dell'ex carabiniere Pie tro Angelo Atzori, allora all'ufficio politico, che quella sera assicurano di aver bussato alla porta di Gnappi. Come racconta l'ex brigadiere: «A noi disse che non aveva rico nosciuto la foto. Ci bastava» Ma nel verbale di quel manca to riconoscimento non c'è scritto chi sia la persona ritrat ta nella foto segnaletica, non c'è nemmeno un numero per risalire a quell'immagine fissata solo nella memoria di Gnappi. E ancora oggi nelle parole di un suo amico, Bruno Cuccurullo, che ventisette anni dopo può ricordare solo qualche sensazione: «Gnappi si sentiva come un primo attore, in grado di incastrare il killer. Ma dopo la visita di quella sera e dopo l'incontro in Questura il giorno dopo, cambiò atteggiamento, come se fosse stato meglio non aver mai assistito all'omicidio». Ovidio Bompressi

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