«Una Repubblica di spie» di Filippo Ceccarelli

«Una Repubblica di spie» L'EX MINISTRO SOCIALISTA «DA NOI PARCHEGGIAVANO GLI AGENTI DI TUTTI I PAESI» «Una Repubblica di spie» Formica: l'Italia crocevia di Est e Ovest intervista Filippo Ceccarelli ROMA SI va da Rino Formica a parlare di spie e spioni nell'Italia Anni Ottanta, e lui ti accoglie offrendoti, con malcelata espressione di disprezzo, la fotocopia di una sua intervista - alla Stampa, peraltro - di dieci anni fa. Impressionante: si parla di servizi dell'Est, di Stasi, di Monte Nevoso, di archivi: «Affogheremo tutti in un mare di carte». Si parla di commissioni parlamentari: «Per carità! Non concludono mai niente». Tutto questo in data 27 ottobre 1990. C'era pure, anche allora, una mezza crisi di governo. «E' stucchevole constatare che da decenni diciamo sempre le stesse cose». E' il solito Formica. Asciutto, spiritoso, scientifico e suggestivo. Di tanto in tanto le lenti irradiano lampi luciferini. Beh, rieccoci dunque alla Grande Trama. «E già: il mondo va avanti e noi abbiamo condannato il nostro Paese a essere sempre se stesso». Non è cambiato niente? «L'unica novità è la finta rivoluzione della Bolognina e, nell'altro campo, l'esplosione di Mani Pulite che hanno determinato avvicendamenti burocratici. Restiamo una democrazia a lungo bloccata che si regge ancora sull'occultamento delle irregolarità e delle trasgressioni di tutti. Vede, l'Italia era un Paese a sovranità limitata, e questo veniva accettato da tutti...». Lei lo disse mi pare, alla metà degli Anni Ottanta, successe un finimondo. «Lo dissi dopo l'attentato al rapido 904, dicembre 1984, governo Craxi, ero capogruppo. Le racconto quel che non si seppe». Dica. «Spadolini, ministro della Difesa, scrisse una lettera di fuoco, chiese la mia testa o la crisi di governo. Craxi era in difficoltà. Gli offrii le dimissioni. E lui: "No, ma diamogli soddisfazione". Così mi convoca a Palazzo Chigi. Entro e nella stanza e ci trovo Bettino, il vicepresidente del Consiglio Forlani, il sottosegretario Amato, il ministro degli Esteri, che era Andreotti. Oltre a Spadolini che mi aggredisce subito. "Tu! Tu! Tu hai rovinato il mio governo, e adesso vuoi affondare quello di Craxi!". Era una furia». Elei? «Io stavo lì, sereno. Craxi, intanto, guardava delle carte, lo faceva sfogare. Si capiva benissimo che voleva chiudere lì. Amato, che non sapeva come avrei reagito, si alza e se ne va. Spadolini si agitava come un forsennato: "Come si fa a spiegare ai nostri alleati che il partito del presidente non crede all'alleanza?". Poi prende la parola Forlani, molto signorile, smussa, cerca di abbassare i toni». E Andreotti? «Ecco è lui che risolve. Grande personaggio. Fa un intervento unico. Dice: beh, forse sovranità limitata no, però, in fondo, un trasferimento di competenze c'è stato: con atti amministrativi, con il nostro consenso s'intende, ma che si poteva fare? E butta giù la carta: per esempio, dice, c'è la circolare Trabucchi. Silenzio generale. Questa circolare Trabucchi resta sospesa sulla stanza. Craxi guarda l'orologio e dichiara chiusa la questione. Ciao Giovanni, ciao Giulio, arrivederci». Elei? «Io pure saluto e via. Ma mi rimane 'sto chiodo in testa. Quando due anni dopo divento ministro del Commercio Estero, mi faccio portare questa circolare. Del giugno 1960, governo Tambroni». Allora? «Allora gii americani avevano posto la questione che per le loro basi qui da noi la merce, tutta la merce che entrava, usciva e transitava non doveva essere soggetta a controllo doganale italiano. Capito? Poteva essere un missile, per dire, e noi niente. Allora si escogitò - Trabucchi escogitò - una formula per cui l'attestazione di quelle merci era fatta da ufficiali americani. L'unica concessione era che la lista degli americani abilitati ad attestare eccetera era nota al governo italiano». Bella trovata de... «Bella sì. Ma qui andava tutto così. Chi governava non poteva essere rovesciato. E chi faceva opposizione non poteva governare, però aveva possibilità di espandersi. La sovranità italiana era limitata anche per giuste ragioni, non c'è dubbio. Io avevo solo chiesto di rinegoziare l'alleanza. Ma per carità! Non se ne parlava proprio, ma intanto tutti sapevano tutto di tutti. Però non sapevano. Però sì. Cossiga ha avuto l'onestà di dichiarare che quando arrivavano i soldi russi al Pei, l'unica preoccupazione era che non fossero dollari falsi». E il Kgb? «E' naturale che il Kgb abbia usato i comunisti italiani per grandi campagne che stavano a cuore all'Urss. Erano rapporti stratificati che oltretutto coincidono con le varie generazioni comuniste. Dai fideisti di una volta, che avevano un rapporto di identificazione assoluta con il Pcus e temevano il ritorno del na/i-fascismo, alla generazione post-Bolognina che non ha più miti, del comunismo ha ereditato tutta la capacità di simulazione. Per cui sono liberali, sono americani, sono tutto. In mezzo c'è la transizione fallita. Ma a proposito di Pei la sa la storia del segreto?» Quale? «Guardi, tanto tutti sapevano tutto che un bel giorno il Pei fa una proposta di legge sul segreto di Stato. E nella relazione di accompagnamento, bella e stampata dal Parlamento, ti piazza lì un'abbondanza di cir- è colari Nato super-segrete... Non ricordo chi se ne accorse, forse la Difesa. Un caos pazzesco. Si attivò Mammì. Morale: la proposta viene ritirata, e ristampata senza circolari. Io ho l'originale e il suo doppio depurato, guardi. E' meglio del Gronchi rosa». E la nostra politica estera? «La nostra politica estera era per un terzo Helsinki, cioè neutralità; per un altro terzo Vaticano, cioè ecumenismo, universalismo, eccetera; e per un terzo ancora èra Tangeri». Ed è quello di cui si parla. «Esatto, Tangeri: la frontiera, una zona in cui era consentito parcheggiare spie dell'Est e dell'Ovest. L'Italia era esattamente un luogo di accoglienza e un punto di ristoro in cui era possibile e per certi versi consentito avere scambi e incontri tra Est e Ovest. Però - dicevano gli italiani - almeno fateci fare gli affari... Guardi la P2. Era una base di servizio. La P2 era l'Italia. Le ripeto: siamo stati un luogo d'incontro, anzi per essere più precisi siamo stali la stanza di compensazione in cui avvenivano gli arbitraggi tra servizi dell'Est e dell'Ovest. E scusi, ma secondo lei perché nel servizio segreto c'era, ufficialmente, una corrente filo-israeliana e una filo-araba?» E adesso? «Dopo il crollo del muro questo esercizio ha chiuso, non abbiamo più questa funzione tipo Roma città aperta, in cui possono succedere via Rasclla e le Fosse Ardeatine. Ma purché rimangano fatti episodici, purché non ci sia la guerra casa per casa. Il punto è che tutto il sistema politico resta depositario della conoscenza di trasgressioni di quel passato, proprie e altrui. Lei mi chiede: e adesso? Beh, adesso a quel deposito di veleni si sono aggiunti i veleni della transizione». E le trasgressioni internazionali sul caso Moro? «Beh, la mia impressione è che lì c'è qualcosa che inizia in un modo e poi scappa di mano a chi l'ha organizzato. Non c'è dubbio che la morte di Moro avrebbe bloccato ogni processo di solidarietà nazionale. Ma non credo alla storia americana, all'inimicizia di Kissinger. Se l'America voleva far cambiare politica a Moro, bastava schioccare le dita. Mica lo doveva far uccidere. Nel 1978, piuttosto, siamo in pieno riarmo nell'Est». Lei ci vede uno zampino di quella parte? «Ma sì. Senza dimenticare il contesto: l'Italia Paese aperto, ombrello di servizi. Inoltre i russi, allora, sono spaventati per viu del Papa. Hanno capito come Wojtyla, che pure nel 1962 era considerato troppo filo-Urss, sia lì anche per dare il colpo finale al comunismo. 11 cardinale di Vienna Koenig ha già cominciato a fare il conto alla rovescia. Perciò cercano di levarsi di torno quel Papa il prima possibile». Cosa glielo fa credere? «Bisogna essere stati trotzkisti per capire cosa è stato il comunismo intemazionale: spietato». 3 3 Ai vecchi veleni oggi si aggiungono quelliportati dalla transizione Ci reggiamo ancora sulVoccultamento reciproco di irregolarità ■■ 3 3 Sui giornali di dieci anni fa leggo i titoli di oggi I servizi, la Stasi e pure una crisi 99 (fi Eravamo zona difrontiera Una camera di compensazione per arbitraggi ■■ Sul caso Moro io non credo alla storia Usa Per fargli cambiare linea politica l'America doveva schioccare solo le dita... i|sj Qui accanto l'ex ministro socialista Rino Formica In basso a sinistra Aldo Moro e Giovanni Spadolini Sopra da sinistra il card. Agostino Casaroli Papa Giovanni Paolo II e il sen. Giovanni Pellegrino