«E' stato trattato peggio di un killer»
«E' stato trattato peggio di un killer» LA DENUNCIA E LA BATTAGLIA DELLA MOGLIE «E' stato trattato peggio di un killer» «Si muove solo in carrozzella, a tratti perde la lucidità» intervista SILVANA Carlesi è una donna ancora giovane ma malata di cancro - e te lo dice così, senza alcuna remora, come parlasse di un raffreddore -, e quando le comunicano che la proposta di grazia per suo marito e arrivata al Quirinale commenta: «Io non ho più la forza di sperare, ma stavolta devo farlo per forza».'Siamo alla fine del tunnel? «No, alla fine del tunnel ci saremo solo nel momento in cui mio marito entrerà in casa, in tante ossa e poca carne». Anche la signora Silvana è una detenuta, condannata per concorso morale col marito, ma la malattia la tiene agli arresti domiciliari in questo appartamento nel centro di Roma, a due passi da San Pietro. Ogni settimana va a far visita al marito, e ieri mattina l'ha visto: «Ormai è arrivato al centesimo giorno di sciopero della fame, e si muove solo in carrozzella. A tratti perde la lucidità, e mi fa tanta tenerezza. Oggi mi ha detto che si sente in colpa perché anziché stare qui a confortarmi sono io a doverlo fare con lui». Ci sono tutti gli ingredienti perché quella della famiglia Carlesi diventi una storia strappalacrime, ma a sentirla raccontare dalla signora Silvana sembra solo un freddo e implacabile susseguirsi di guai. Perché oltre che di malagiustizia - «per le pene, non per le condanne; noi non siamo innocenti e meritavamo una pena: però congrua, non la mostruosità di trent'anni che non hanno dato nemmeno ai serial killer» - questa è anche una vicenda di malasanità. «Due anni fa - racconta - mi hanno diagnosticato il cancro, e mi sono operata al Policlinico di Roma, Poi ho cominciato la chemioterapia, mà dòpo una settimana avevo perso tre chili. Mi fanno l'analisi del sangue e il medico mi dice: "C'è un piccolo problema, lei ha contratto l'epatite B e C, forse coi ferri sporchi in sala operatoria. Faccia come crede, ma sospenda la chemio sennò nuore per quella, anziché per il tumore". Naturalmente ho denunciato l'ospedale, ma l'inchiesta è stata archiviata». E adesso eccola qui, questa donna malata e confortata dai tre figli, in mezzo ai ritagli di giornale sul «caso Carlesi» e qualche ritratto di Che Guevara appeso alle pareti: «Noi eravamo di Lotta continua, ma tutti, anche quelli ci aiutavano, ci raccomandavano di non dirlo. Manco fossimo stati brigatisti». Forse per non interferire con il «caso Sofri» e non alimentare le polemiche sulla «lobby» di Le? Silvana s'inalbera: «Ma quale lobby! E poi ad uccidere Calabresi non è stato Sofri, e io sono contentissima che sia tornato libero e gli rifacciano il processo, ma non siamo stati nemmeno io e mio marito!». Suo marito, invece, tanti anni fa, ha messo in giro assegni falsi o a vuoto. «E' accaduto quando voleva aprire uno studio fotografico, e stupidamente s'è fidato degli strozzini. Gli prestarono 15 milioni, e in poco tempo ne volevano cento. Ci minacciavano, venivano a casa in piena notte, ci hanno rubato tutte le attrezzature. E mio marito, per disperazione, si mise a ricettare assegni». Lo arrestarono, cominciarono i processi e le. condanne: «Per un unico assegno ne sono arrivate addirittura sette, la più bassa a sette giorni, la più alta a tre anni e mezzo; le pare una cosa nonnaie?». E' costellata pure di due «evasioni», l'odissea dei Carlesi. «Sì, sono due mancati rientri dai permessi - spiega la signora -. E la seconda volta sa come andò? Un giudice ci aveva promesso che avrebbe applicato la "continuazione", e prima di rientrare Adriano decise di andarlo a trovare. Ma in ufficio non c'era più, l'avevano trasferito; chi lo sostituiva guardò la pratica e disse: "Qui c'è scritto che deve fare trent'anni, lei ne ha scontati dieci, torni tra venti". A quel punto ha deciso di scappare». In realtà stavano a Roma, dove avevano aperto un allevamento per cani; sono andati a riprenderli dopo sette anni, il 13 dicembre del '96. «Qualcuno ci ha rimproverato perché non siamo scappati all'estero, ma noi siamo rimasti perché eravanmo convinti di avere ragione, e che prima o poi ce l'avrebbero riconosciuta mettendo fine a una pena spropositata. Lo era In carcere Adriano Carlesi ha deciso che uscirà morto se qualcu- no non firma un pezzo di carta per farlo uscire vivo, «lo - confessa la moglie - della grazia non gli dico anche la mia, 18 anni per concorso morale; ripeto, morale, non mate- riale. Me li hanno ridotti a dieci anni e mezzo, poi il cancro mi ha messo ai domiciliari». pivi niente, perché non voglio ali- montare speranze che magari van- no deluso. E' già successo troppo volle. So ho cercato di convincerlo a interromperò lo sciopero della fame? No, porche lo rispetto trop- po. Lui è già vittima di una violen- za istituzionale senza fino, non posso impedirgli di seguire la sua volontà». Igio.bia.l
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