Gli ultimi guerriglieri del Che di Mimmo Candito

Gli ultimi guerriglieri del Che NEL LIBERO NARCOSTATO ALLA VIGILIA DEI NEGOZIATI Gli ultimi guerriglieri del Che Colombia, il ripiegamento delle Fare reportage Mimmo Candito inviato a SAN VIGENTE TUTTO è pronto qui, qualche bandierina di carta, uno striscione di benvenuto, anche il grande tavolo, naturalmente, dove da un lato siederà il governo e dall'altro i guerriglieri. Ma «Gabo» Màrquez, che e poi uno di queste parti, dice che in America Latina quasi mai i fatti corrispondono alle parole. E allora, anche se si ricomincia a parlare della pace, non c'è aria di festa qui, soltanto l'uggia dell'autunno senza colori. Nel cielo basso che scoppia dalla voglia di rovesciar giù fulmini e pioggia, qualche chiesa fa sentire una campana a tratti radi. Il rintocco suona sordo, sembra un funerale andato storto. Forse è per l'acqua che c'è nell'aria, o forse è perchè questa è terra di guerriglia, e a Domineddio non debbono piacere granché i troppi morti che hanno inzuppato -li sangue questo montagne perdute di solitudine. A San Vicente de Caguàn, piccolo città di frontiera d'una guerra chi! non finisce mai, la ripresa oggi del negoziato di pace tra Pastrana e le Fare del companero Marulanda è ancora poco piii d'un tentativo, un atto di buona volontà politica che impone una pausa alle anni. Ma chissà cosa avrebbe detto il Che, se fosse qui in questi giorni, ora che i guerriglieri siedono allo stesso tavolo con un governo. Da pari a pari. In America Latina la guerriglia non la ricorda soltanto Galeano. Fa parte del paesaggio, sta piantata dentro la testa della gente, nei rituali della politica, negli occhi dei soldati che incontri per strada e sono soldati non come i nostri, ma con le uniformi da poveri, di lana riciclata, stazzonata. Soldati contadini, senza gloria, senza destino. La guerriglia ha fatto la storia di questi paesi, anche assai prima del Che e anche quando non la chiamavano guerriglia: vai al Museo di Bogotà, e nei vecchi, incantevoli, quadri di Boli vare di Santander, nei dagherrot ipi stinti della guerra di Panama (quella dei Mille Giorni, all'inizio del secolo), ritrovi subito il filo d'una rottura lunga nel tempo. Ma ora è il tempo che è cambiato. Quante anime può avere una guerriglia? Il Che gliene dava una, ch'era quella d'essere strumento della rivoluzione. Però il Che è morto un millennio fa, e anche la rivoluzione. E ora la guerriglia deve misurarsi con un mondo più complicato, dove - qui, in Colombia, per esempio - il 3% della popolazione tiene in mano il 70% delle terre ma poi è la città che conta, la grande città fatta di milioni anonimi d'abitanti e dove tutti s'arrangiano e girano come disperati per quadrare il giorno e non hanno più il tempo, né la voglia, di pensare alla lotta armata. Al trionfo della rivoluzione. I «focos» si sono spenti, le guerriglie sono diventate partito. O si sono liofilizzate. Tranne qui, in Colombia (e in Messico, ma Marcos è una storia più complicata). «La loro capacità di organizzazione è stata decisiva», dice il sociologo Andres Ran- gel, che da due decenni studia le Fare. Ma avevano cominciato come una guerriglia contadina, con un progetto di conquista dello Stato, «ora sono tornati a essere una guerriglia contadina» e la conquista dello Stato s'è allontanata in un futuro senza data. Anche le pagine del Che dalla Bolivia raccontavano un progetto di guerra contadina; bisognerebbe rileggersele, qui, le note del suo Diario, quella delusione e quell'amarezza non contrastano poi con quanto si vede in queste montagne, dove pure sembra che la guerriglia sia il contro-Stato e sia sulla strada d'una vittoria. Errore. San Vicente è la frontiera del pezzo di Colombia che il governo ha consegnato ai guerriglieri. A dirla cosi, si fanno inbufalire i generali, che non mancano occasione per dire che questa storia dell'«area di distensione» - da dove hanno dovuto ritirare tutte le loro truppe - gli pare una faccenda indigeribile. E due settimane fa hanno voluto incontrare l'uomo di Pastrana, Victor Ricardo, per fargli sapere quanto forte sia la loro «insoddisfazione»; non vanno oltre, non sono più tempi di golpe, ma il Presidente sa di giocare d'azzardo. Certo, un pezzo di Colombia grande quanto la Svizzera fa sempre effetto, e uno Stato che se n'e ritirato, sia pure «provvisoriamente», denuncia di non essere proprio in ottima salute; ma queste montagne di dirupi, questa selva fitta e umida, questa Svizzera guerrigliera, sono poi un territorio desolatamente vuoto, di piccoli villaggi sperduti e di lunghe giornate senz'anima viva (e di campi di coca). La statistica dice che vi abitano 220.000 abitanti; forse sono anche meno, a contarli fanno comunque lo 0,5 per cento della popolazione colombiana. E' una «repubblica» vuota. Ora sta per passare un anno, dalla consegna di questo miniStato al companero Marulanda. Per la guerriglia è comunque una grande chance. Negli ultimi tempi aveva subito sconfitte militari pesanti, 800 morti dice l'esercito; da quando gli americani hanno mandato qui 300 «consiglieri militari» e hanno istruito a dovere il Primer Battallón Antinarcòtico (900 uomini, e alla fine saranno una Brigada di 3.000 commandos), la guerra delle Fare s'è fatta subito una storia più complicata. I piani strategici sono cambiati: ora l'obiettivo prioritario è di sospendere le operazioni dirette a tentare l'espansione verso territori dove si scontrano con una resistenza armata, e concentrare invece ogni sforzo nelle regioni di tradizionale presenza Fare. Il ripiegamento ha anche un altro obiettivo, che non è poi di poco rilievo. Dice il «guerrillogo» Alejandro ReyesPosada: «A misura che cresceva la capacità di finanziamento delle Fare Inarco, estorsioni, sequestri), la guerriglia si era fatta più autonoma rispetto all'appoggio delle comunità contadine, e progressivamente ha finito per dimenticare la giustificazione ideologica o politica del- la sua guerra». E' probabile che Marulanda sia andato trascurando di rileggersi ogni tanto qualche paginetta del Diario del Che. E' stato una dimenticanza grave, e la facilità delle vittorie sui soldatini dello Stato aveva spostato su un piano militare quello ch'era stato invece un progetto politico. Le Fare mostrano bene di poter tenere sotto scacco l'esercito colombiano e lo stesso equilibrio politico del paese. Ma una condizione di crisi può essere sopportata senza danni eccessivi dallo Stato, che in questi 35 anni ha ARA arias anizzata nel armati egioni omini, ngono ti deler è il conoonal nte del , è di Le sue enti. Si ti sulle atto di otraffionieri, . Il suo Manuel uito da ión el '67, uomini. no nel effettivi sempre contenuto lo scontro dentro i limiti della «guerra di bassa intensità». La guerra interna non è mai diventata una guerra civile, e ha sempre più scolorito la sua natura di guerra ideologica, o politica. E' diventata semplicemente una forma di vita quotidiana. L'escalation da questo punto è ormai un progetto che le Fare non possono mettere in campo, non soltanto per il costo di sangue che dovrebbero sopportare, ma anche perchè s'è andata perdendo la legittimazione politica della loro battaglia. La marcia di 12 milioni di colombiani una settimana fa è un segnale che nemmeno il più testardo e militarista dei guerriglieri può ignorare: quel corteo infinito di «No Mas» forse non porta la pace ma certamente cancella ogni credibile prospettiva d'appoggio popolare alla guerra. «Siamo alla svolta», dice Reyes Posada. «Il rafforazamento della capacità militare dello Stato arriva nel momento in cui è anche al punto più alto la capacità militare Fare: se a guerriglia non negozia ora con una volontà reale di accordo, rischia che l'equilibrio si rompa a suo sfavore». Da qaalche parte, nella selva che circonda San Vicente, si sente un gran lavoro di martelli. Dicono che i guerriglieri stiano attrezzando a tank i trattori rubati: gli sovrappongo due lastre d'acciaio, il carrarmato è pronto. Ma per quale guerra. La campana della chiesa della Virgen suona sorda, forse è per l'acqua che riempie l'aria e il cielo. Forse è per un funerale andato storto. Da oggi siedono allo stesso tavolo nel paesino di San Vicente governo e ribelli, ma la firma di un accordo di pace appare ancora lontana I guerriglieri delle Fare combattono da una ventina d'anni e controllano una vasta parte del territorio del Paese