FIORANO CANAVESE

FIORANO CANAVESE FIORANO CANAVESE D'autunno il giallo delle melighe il viola dei mosti, l'odore del bosco ^^UANDO mio marito si amKJBmalò gravemente, tanti an^■KJni fa - scrive Gemma Bianchi Carpinteri - decisi di lavorare. Rintracciai presso il Provveditorato agli Studi i punteggi ottenuti nei due Concorsi di Stato che avevo superato quand'ero ragazza e volai a presentare la domanda per insegnare. Mi toccò una sede a cinque chilometri da Ivrea: Fiorano. Nel corso di quasi mezzo secolo, chissà quanto sarà cambiato, ma allora era un paese delizioso. Portai con me Massimo, il più piccino dei figli, e lasciai gli altri due, non molto più grandi di lui, a Torino con mio marito; su di loro vegliavano le ziette Viri e Giulia Palmo, numi tutelari della nostra casa. Fummo accolti da una pioggia insistente che continuò per tutto quel giorno e la notte successiva. Grazie a Dio, trovammo una stanza abbastanza gradevole nel centro del paese, ove una ragazzina giungevano a portarci il latte caldo mattina e sera. Tuttavia, nel corso della prima notte in quel luogo estraneo, pensando alla famiglia che avevo lasciato, non riuscivo a trattenere le lacrime. Massimo, che un po' impaurito mi aveva costretta ad unire il suo letto al mio, dormiva profondamente. Mi sentivo terrmilmente soiaMa ad un tratto, rompendo il profondo silenzio, così inusitato in città, ecco giungere un lontano tramestio, che a poco a poco si faceva sempre più intenso e nel quale riconobbi con stupore il ritmico calpestio di animali. Stavano scendendo dall'alpe le mandrie, dirette a chissà quale paese di pianura. Udivo i richiami dei pastori, il latrar dei cani, i campanacci delle mucche. Questo rimescolìo, questo fondersi di suoni diversi, nuovi e al tempo stesso antichi, mi riempiva il cuore di una dolcezza strana... Echeggiavano nella mia mente brani famosi di poeti e scrittori, D'Annunzio, Daudet, Leopardi, che tradussero con sonanti parole codeste immagini agresti e mi addormentai, finalmente rilassata. Fui risvegliata bruscamente la mattina del suono prolungato di un clacson: era il pullman dell'Olivetti, che raccoglieva le maestranze da condurre a Ivrea. Quel clacson ci servì poi sempre da sveglia mattutina, perché la nostra finestra si apriva sulla ridente piazza del paese dove sostava il pullman. Dopo tanta pioggia, il sole risplendeva in tutta la sua bellezza. Con Massimo stretto alla mano, mi avviai a scuola. Le aule erano tre, una per gli scolaretti di I e II classe, un'altra per quelli di III e poi la mia, destinata ai ragazzi dì IV e V. Conobbi le altre due insegnanti, entrambe care e gentili: una era del luogo, molto rispettata, l'altra, assai giovane e intelligente, arrivava anch'essa da Torino e si era sistemata alla meglio accanto alle aule. I banchi di legno erano posti ad anfiteatro e l'ambiente era luminoso. Spesso qualche passante sostava dietro le finestre, in ascolto;- la scuola era infatti il cuore del paese. All'uscita delle dodici consumavo con Massimo un piccolo pasto squisito al ristorante della piazza che godeva un'ottima fama. Al pomeriggio si ritornava a scuola. Ma, ali uscita delle 16, le ragazzine si portavano via il mio bambino. Massimo era felicissimo di poter insinuare le dita fra le piume delle grandi oche, protetto dalle nuove amiche, o assistere ai lavori dei campi, dare un po' di becchime alle galline, cogliere l'ultimo frutto da un albero... Il piccolo scopriva un mondo nuovo, che l'avrebbe poi sempre affascinato. Osservava con stupore gli uomini a gambe nude che pigiavano i grappoli nei tùli e ingenuamente mormorava: «Ma saranno poi ben puliti quei piedi?...». Anche per me l'autunno in campagna era stato sino ad allora ignoto Conoscevo l'ebbrezza delle alte vette o le dolci onde del mare nei mesi estivi, ma non il semplice fascino di un ottobre in campagna. A Fiorano mi sembrava di vivere col Carducci il suo «San Martino» (...ma per le vie del borgo, dal ribollir dei tini...). In effetti, il viola ardente dei mosti e il giallo solare delle pannocchie riempivano ogni sguardo, mentre quell'odore aspro e piacevole insieme, invadeva tutto il paese. I ragazzi, nati nello stesso lembo di terra, condividevano da sempre giochi e vicende di vita: difficile, tenerli in silenzio in classe! Le ragazzine, più giudiziose e nel contempo già avvezze ad aiutare la famiglia nei lavori, erano diligenti. Anch'io cominciavo a capire meglio la scolaresca, ad amarla di più. Una volta mi rimproverai in segreto per aver tanto sgridato una bambina a causa delle mani sporchissime. Ella aveva lavorato tutto il giorno precedente per la raccolta delle noci: impossibile evitare che il mallo le avesse annerito le mani! Imparavo dunque anch'io tante cose nuove. Ma un giorno, verso la fine del primo mese di scuola, all'improvviso mi giunse dal Provveditorato una lettera urgente. Conteneva l'invito ad abbandonare la sede, onde prendere immediatamente servizio a Torino. Era stata accolta la mia richiesta (inviata a settembre con scarse speranze) di restare a Torino per «gravi motivi di famiglia». Dovevamo prepararci alla svelta per il ritorno a casa. Non riuscivo a strappare Massimo dall'aia della bambina prediletta... Io stessa, pur felice di rientrare in famiglia, in quest'ultima splendida giornata autunnale provavo un sottile struggimento. Decisi di concedermi due ore per una totale immersione nella natura. Camminai di buon passo su per la Serra d'Ivrea, aspirando a pieni polmoni il profumo aspro del bosco d'autunno. Fu difficile togliere Massimo dal suo piccolo paradiso... Ma il cuore non dimentica. Al sopraggiungere dell'autunno, ogni anno rivedo col pensiero quella sinfonia di colori e per un attimo mi ritrovo a Fiorano, il paese ridente di tanti anni fa. Nella foto sopra Giuseppina Canossa nel cortile della sua casa a Fiorano

Luoghi citati: Fiorano Canavese, Ivrea, Torino