STEVE EARLE, IL «BEL PERDENTE»

STEVE EARLE, IL «BEL PERDENTE» SABATO 30 AL COLOSSEO STEVE EARLE, IL «BEL PERDENTE» Per «Musica d'autore» il folk rocker visionario che canta con accenti preoccupati la sua terra SE il mondo andasse dritto e la scena musicale premiasse davvero chi ha talento, passione, sincerità, Steve Earle sarebbe un grande, uno da classifica. Invece, è un beautiful loser, un «bel perdente», e gioca in un girone inferiore del rock dove solo gli appassionati e i cultori di american music lo conoscono e lo apprezzano. Non è un posto brutto ma si sta un po' precari: un disco sbagliato, un refolo di vento e si rischia di scendere ancora più giù, nel campionato dei piccoli eroi di ieri buoni solo per qualche partita ristretta di revival. Earle è una pellaccia e a questa situazione un po' scomoda e un po' ruvida è abituato. Agli inizi della carriera aspettò più di dieci anni prima che gli offrissero una chance discografica, mentre gli Springsteen e i Mellencamp di cui per molti versi era «cugino» spiccavano il volo. Debuttò trentunenne e d'un tratto il paesaggio sembrò cambiare radicalmente. Incise due album fortunati, si meritò la nomination ai «Grammy Awards» e venne salutato come la grande sorpresa del rock americano di metà Anni 80. Ma quello delle sue canzoni era un gusto troppo aspro e particolare per il successo: ballate di protesta e disagio esistenziale, crudi chiaroscuri d'America con una vena di Springsteen giovane ma anche di Fogerty e Bob Dylan e più indietro, fino agli amati padri Woody Guthrie e Hank Williams. Così, passata la prima euforia, Earle venne relegato in un angolo della scena e lì ancora oggi abita, con dignità e orgoglio. Ogni tanto la sua musica prende una piega più forte e più amara, come gli è capitato in varie canzoni degli Anni 90 spinte fin quasi al confine di quello che si è soliti definire «punkabilly», l'insolente incrocio fra hard straccione e rockabilly; ogni tanto invece cerca la quiete, il riparo dalle intemperie in un delicato e classico guscio acustico, come fu qualche anno addietro per «Train A-Comin» e più recentemente per «The Mountain», il disco molto trad e molto country registrato con la Del McCoury Band. Ma lo Steve Earle più convincente e intenso è forse quello che fa questo e quello, il menestrello tradizionale e il folk rocker invasato, il gentiluomo di campagna e il visionario predicatore che canta con accenti preoccupati la sua terra. E' lo Steve Earle di «I Feel Alright» e «El Corazón», sensibile ai tempi .nuovi ma attento anche a rispettare il patto fra generazioni e a non recidere i legami con il passato. Nel nuovo millennio si può entrare benissimo anche senza campionamenti e microchips, solo con un fiddle, una dodici corde e un'amara voce che canta «torna Woody Guthrie, torna fra di noi ora, asciuga le tue lacrime dal Paradiso e risorgi da qualche parte...». Steve Earle, punta della rassegna «Musica d'autore» che abitualmente ha casa al Barrumba, salirà sul palco del più capiente teatro Colosseo (via Madama Cristina 71). L'appuntamento è per sabato 30 ottobre alle 21. Biglietti da 20 a 30 mila lire, prevendita al Colosseo (tel. 011/669.80.34). Aprirà il concerto Paolo Manera. Riccardo Bertoncelli

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