«La carriera di un libertino» inaugura il cartellone di Leonardo Osella

«La carriera di un libertino» inaugura il cartellone «La carriera di un libertino» inaugura il cartellone Di 0P0 la «Histoire du Soldat» del 1918, nel 1948 Igor Stravinskij ritornò sul tema, di faustiana memoria, dell'uomo che vende l'anima al diavolo. Questa volta si trattava della «Carriera di un libertino», che il musicista creò sull'onda delle suggestioni provate guardando a Chicago le acqueforti di William Hogarth: questi le aveva tratte dalle sue stesse tele ad olio del 1734 e a loro volta le matrici degli originali servirono, verso il 1820, per una serie limitata di ristampe. Il Teatro Regio qualche tempo fa ne aveva acquistato una serie (sono otto in tutto), che durante la rappresentazione dell'opera verranno esposte nel Foyer del Toro. La «prima» è in programma martedì 2 novembre (con inizio alle 20,30); ad essa faranno seguito sette repliche che si protrarranno fino a martedì 16. Guardando le incisioni di Hogarth, si capisce come Stravinskij sia rimasto colpito dallo spirito di settecentismo debosciato che ne promana, rinnovando come variante il tema di un personaggio archetipo e paradigmatico come il «libertino». E va subito sottolineato che questa del Regio è una riproposta del fortunato allestimento del Glynde- bourne Festival, con le scene ed i costumi di un artista fuori ordinanza come David Hockney. Il compositore colse nella sequenza di immagini di Hogarth la potenzialità teatrale che ne promana. Con alcune varianti rispetto a quanto suggeriscono le acqueforti, il libretto di Wystan Auden e Chester Kallman asseconda gli intenti espliciti di Stravinskij di ricreare gii schemi dell'opera classica con tanto di forme chiuse, arie, concertati, cori, persino recitativi con il clavicembalo. Risorge insomma lo spirito di Mozart, ma anche di Haendel e Bach. L'opera è suddivisa in tre atti, ognuno dei quali a sua volta comprende tre scene. Vi si narra la vicenda di Tom Rakewell, che istigato da Nick Shadow (vuol dire «ombra» ed è come il faustiano Mefistofele) rinuncia a sposare la fidanzata Anna per correre ad ereditare da uno zio e quindi a frequentare il bordello di Mother Goose (Mamma Oca) e spendere senza criterio; finisce per sposare la donna barbuta di un circo; rimasto al verde, è assalito dai creditori; più avanti, in un cimitero, vince alle carte il possesso della propria anima, di cui Shadow vuole privarlo, ma per l'emozione cade svenuto e Shadow gli toglie il senno; Tom viene rinchiuso in manicomio, dove crede di essere Adone e invoca il canto di Orfeo: giunge a consolarlo, cantando una «berceuse», Anna, e quando lui muore, i matti intonano un quieto compianto. C'è ancora un epilogo, che porta sul proscenio tutti i personaggi, i quali tirano ognuno la propria morale della favola. Ma vi è anche una morale complessiva, che secondo Roman Vlad «si sostanzia in un motivo cristiano», tramite l'estremo atto d'amore che salva l'anima di Tom, anche se non la ragione e la vita. L'opera è basata su un testo inglese e «pour cause»: Stravinskij colse l'occasione proprio come una sorta di sfida, così come a suo tempo si era cimentato con testi russi e poi francesi e anchelatini. Riguardo il ristretto organico («Piccola orchestra, pochi personaggi, piccolo coro») l'esplicito aggancio è alla mozartiana «Così fan tutte». Leonardo Osella •ri ■A M ^r il-*:' «La carriera di un libertino» inaugura il cartellone