Simenon d'autunno

Simenon d'autunno Simenon d'autunno Giacomo è salvo, Elsa lo assiste con amore materno e gli racconta i suoi giorni di solitudine: «Mister Smitt mi disse che dovevo essere sua, che tu ti burlavi di me...» tesse imprudenze. Ella non l'abbandonava un secondo. Aiutato dallo studente aveva portato nella camera di Giacomo uno stretto divano dove, alla sera, si coricava completamente vestiva.Talvolta, di notte, Arbaud si svegliava. Allora in silenzio spiava il rumore della respirazione: di Elsa. Sapeva che ella aveva il sonno così leggero che se avesse fatto un gesto, se avesse tossito ella si sarebbe svogliata immediatamente. Egli non si muoveva pur avendone a volte una voglia pazza. Quante volte: era stato sul punto di svegliare Elsa soltanto per aver l'egoistica gioia di udire la sua voce... di vederla, per assicurarsi che era sempre lì preoccupata di lui. Il suo pensiero corcava nella vita trascorsa il ricordo di altri giorni simili a quelli che adesso viveva. Bisognava però tornare indietro di almeno vent'anni. Ricordava di essere stato ammalato da piccolo e rivedeva nella sua camera una donna cho lo vegliava giorno e notte, senza stancarsi, senza mai dar segno d'impazienza. Era sua madre! E quei giorni di malattia erano rimasti nella sua memoria come i piii belli della sua gioventù. Adesso la mamma non era più al suo capezzale, ma Elsa la sostituiva. Non aveva dunque più il diritto di cullarsi in un riposo egoistico né di rimettere: a più tardi le: necessarie spiegaziom. Elsa! chiamò quando la porta fu chiusa. Elsa capì dal suono della voc:<: di Arbaud che e:ra giunto il momente) elelli; inevitabili spiegazioni. Finse ili non udire per concedergli ancora un giorno di riposo assoluto, ina egli ripetè: -Elsa!... — Donni, sei stanco, parlerai poi... No ascolta! Vieni qui vicino a me:!... Era riuscito ad alzarsi seduto sul letto e tendeva l'unico braccio valido verso la moglie. Il suo viso tradiva una violenta emozione: non avrebbe voluto guardarla ma si sforzava di farlo per mostrarle; il rimorso che si leggeva nelle sue: pupille. Elsa!... Supplicava e; — cosa strana ■— pe:r quanto dimagrito dalla malattia, il suo vise> in ciuel momento era eli una stupefacente ce:ra giovanile. Elsa si avvicinò a lui e mettendo una mano nella sua si sedette sulla sponda di;l letto. Ella abbassò la testa ijuande) Giacomo le domandò: — Hai sofferto tanto? L'armistizio, la pace fittizia stipulata reciprocamente per i giorni {lassati, adesso finiva. Adesso bisognava parlare, rievocare avvenimemti eli cui tutti e due avevano paura. — Dimmi, sci stata tanto infelice? Elsa era pallida, e seria. Senza cercare di protestare, strinse forte la mano di Arbaud. —Ascolta, Giacomo... Ella esitò. Sentiva che non riusciva a trattenere le lacrime e tacque finche': la crisi nervosa non fu superata. — Ascolta, è meglio essere sinceri, non è vero? Sono stata tanto infelice che... Le narici palpitavano ed Arbaud sapeva che cosa voleva dire ciò. 11 suo viso aveva la slessa identica espressione di sofferenza di quando si era rifugiata nelle sue braccia supplicando di non partire. Anche questa volta, come allora, il momento era decisivo. Nonostante ciò c'era una certa voluttà nell'emozione che soffocava tanto Giacomo come Elsa. Non erano forse sicuri della conclusione? Ambedue feriti, per l'ultima volta facevano sanguinare le ferite sorte dalla certezza che la guarigione sarebbe giunta terminata l'operazione. «Ti dirò tutto... Tu sei partito e tu sai quanta paura avevo vedendoti partire. Non sai come mi arrabbiavo con me stessa per questa paura... Ma dicevo che, impedendoti di andare a prendere l'eredità di tua zia, avrei sacrificato la tua vita... Pensavo che ti saresti rammaricato di avermi sposato... Ricordi? Mi dicesti che i tuoi parenti ti avrebbero rimproverato... Allora pensavo che tu avresti rotto ogni relazione con loro e che forse per causa mia, avresti rifiutato anche una bella posizione nel tuo paese. Tutto ciò te l'ho scritto, Giacomo! Ma senza dubbio, tu non hai mai letto le mie lettere. Nella prima, scritta immediatamente dopo la tua partenza, ti chiedevo perdono, ti giuravo di essere saggia e ti dicevo che potevi rimanere in Francia tutto il tempo che credevi necessario...Ascolta, non piangere Giacomo, tutto ciò è passato. Parliamone, per l'ultima volta, è meglio credimi...C'era fra le altre una cosa che non potevo dimenticare...Ti ricordi di quell'uomo che ha voluto che bevessi con lui? Sarei stata tanto contenta se tu lo avessi messo alla porta...Fin dal primo momento che l'ho veduto l'ho detestato, poi, quando ha continuato a guardarmi ho avuto paura. E tu gli sorridevi... E quando mi ha invitato a fare con lui una passeggiata in automobile, tu hai continuato a sorridergli!...». Giacomo Arbaud l'ascoltava senza interromperla, senza abbandonare la sua mano. Elsa continuò non per il bisogno di fargli dei rimproveri o per farlo sonrire, ma per la necessità di sbarazzare una volta per sempre il terreno. «Ecco, Giacomo... Tu sei partito ed io ti ho scritto la lettera che ti ho detto... Come "post-scriptum"... Ascolta, non burlarti di me..., ho aggiunto che se lo credevi necessano, se credevi che alla tua carriera fosse necessario, io ero pronta ad accettare il divorzio. Scrivendo questo piangevo e ho dovuto ricominciare la lettera tre volte, perché tu non ti accorgessi delle tracce delle lacrime... Ho atteso la tua risposta... Talvolta mi dicevo che dal momento che avevi molto denaro m'avresti risposto per cablogranunma...Invece della tua risposta è venuto Smitt!Venne il terzo giorno, dicendomi che gli avevi affidato la cura di distrarmi... Voleva condurmi a pranzo con lui in un "restaurant" di gran lusso...Il mio reciso rifiuto lo indussi; ad andarsene, ma un'ora dopo mi faceva recapitare una scatola contenente sei "toilettes" fantastiche...Ero furiosa ma nello stesso tempo ero folle d'angoscia. Quell'uomo mi faceva paura! Quando suonò alla porta, rimase meravigliato di non vedermi indossare una delle sue "toillettes". Volevo rendergli la scatola, ma egli mi affermò che tu avevi un conto corrente con lui e che quegli abiti li avrebbe messi sul tuo conto...Non sapevo che cosa fare... Per disobbligarmi mi vestii e andai con lui al "Prado". Io non sapevo che egli fosse al corrente del tuo antico mestiere. Mi disse che se non eri più un misero fattorino, lo dovevi a lui e che la storia dell'eredità era falsa e che tu eri1 andato in Europa in missione per conto suo. Non gli credetti e gli parlai della lettera di tuo padre. Egli si mise a ridere e mi disse di ricercare quella lettera. Ahimé! la ritrovai e l'indomani gli me la tradus¬ se—Contemporaneamente divenne un altro uomo. Si alzò, verso di me e tentò di abbracciarmi...Io mi dibattei e gli ingiunsi di andarsene. Egli si accontentò di sorridere e di sedersi in una poltrona, dove accese un sigaro mettendosi tranquillamente a fumare. Minacciai di andarmene se egli rimaneva. Egli non si mosse. Uscii e corsi alla posta con la speranza di trovarvi una tua lettera, che forse si erano dimenticati eh recapitarmi. Non trovai niente! Non osavo rientrare in casa perché l'automobile di Smitt era ferma davanti alla porta. Finalmente, a tarda sera, presi il coraggio a due mani e salii le scale. Entrai in casa con il cuore che mi batteva, pronta a fuggire. Ma le stanze erano deserte, solo sull'angolo della tavola di salotto era posato un astuccio con un brillante. Sotto all'astuccio un biglietto scritto a matita: "Salite nella mia vettura. Vi attendo. Affettuosamente. Smitt". Fui presa da una tale rabbia per quel volgare trattamento che mi precipitai nell'automobile, la quale mi condusse non ricordo più in quale club. Smitt era là con i suoi amici. Beveva dello "champagne" ridendo e quando mi scorse disse ai compagni: "Eccola!" Strinsi l'astuccio nella mano destra e quando gli fui vicina glielo lanciai in viso con tutta forza, poi uscii correndo con l'atroce paura di essere inseguita. Giunta a casa ti scrissi "fermo posta" come avevamo convenuto, dicendoti tutto e domandandoti che cosa doveva fare. Speravo di essere lasciata tranquilla, per un po' di tempo, invece l'indomani mattina alle undici l'automobile di Smitt era ferma davanti alla porta. Feci finta di non accorgermene e uscii. Quando rientrai trovai Smitt in casa che mi attendeva, seduto in una poltrona. Minacciai eli chiamare la polizia e gli domandai come aveva fatto ad entrare in casa mia. Mi mostrò una chiave assicurandomi che gliela avevi data tu. Mi parlò di te e mi disse... No, non posso... Ascolta, Giacomo cerca di comprendere... Mi disse che tutto era già convenuto fra lui e te... Aggiunse che prima o poi dovevo essere sua e che d'altra parte tu ti burlavi di me... Gli gridai che mentiva, ma avevo paura e mi tenevo vicino alla porta.Egli rideva... Sembrava sicuro del fatto suo... Mi annunciò che non avrei ricevuto una sola lettere da te e che quando saresti tornato, se un giorno tornavi, saresti stato in compagnia di un'amante che avevi trovato a Parigi. Vedi, ti dico tutto...Se ne andò promettendomi di tornare l'indomani mattina...Quella notte non dormii. In preda ad una febbrile agitazione, per quanto sveglia, ebbi degli incubi spaventosi... Mi ricordai i mie presentimenti. Quando l'indomani vidi l'automobile di Smitt fermarsi davanti alla porta, uscii di casa con la mia valigia... Salii una rampa di scale e quando Smitt fu entrato in casa scesi rapidamente e fuggii... Non volevo vederlo più e soprattutto non volevo più sentire le sue insinuazioni sul tuo conto. Ebbi l'iciea di venire qui dalla signora Bennet, ma poi, riflettendo, pensai che mi avrebbe domandato di te, ed io non volevo dirle ciò che eri diventato. Che cosa le avrei risposto? Andai a prendere alloggio in una piccola pensione e la mia unica distrazione era quella di correre due volte al giorno alla posta e poi di assistere à tutti gli arrivi dei piroscafi. Trasviui-sero due mesi così e mio malgmdo pensavo alle parole di Smilt. Ti giuro che non gli avevo creduto perché ti amavo... Ma poi incominciai ad essere turbata e mi dicevo che forse qualcosa di vero c'era...». Arbaud la contemplava commosso, e la sua mano, che stringeva sempre quella di Elsa, era leggermente umida. Come descrivere lo strano sorriso che gli sfiorava le labbra, un sorriso radioso e doloroso insieme, un sorriso che ora palesava tutti i complessi sentimenti che l'agitavano? «Continua» disse dolcemente. (Continua) ©1929 Estate of Georges Simenon ali rights reserved Per gentile concessione di Adelphi Edizioni aveva dormito tranquillo, la febbre era diminuita, era arrivato il momento di ricordare, dispiegare pallida e seria, gli strinse forte la mano e cominciò: «Ti dirò tutto... Per l'ultima volta, è meglio parlarne» XVIII PUNTATA RIASSUNTO Giacomo Arbaud gravemente ferito in un conflitto a fuoco con la polizia è stato salvato dalle amorevoli cure di Elsa. Ora è il momento della spiegazione finale. come un rumore vago, indistinto. Gli occhi si annebbiavano e non vedevano altro che un rettangolo lattiginoso che pareva gli si avvicinasse per assorbirlo. Era il rettangolo dulia finestra, dietro alla quale moriva il giorno, ma per Giacomo era un'altra cosa: l'ultimo passaggio, la porta della morte! Non voleva, si dibatteva! Non voglio!... Vi dico che non ci andrò!... Elsa, tienimi forte... Ho paura!... Attenzione... Vengono!... Lilla era impotente a contenere i movimenti disordinati di Giacomo e non osava chiamare nessuno in aiuto. In proda ad un indicibile spavento lottava con tutte le sui; forze contro di lui, tenendolo per Ir; spalle per farlo restare a letto. Vedeva il viso del inalato sconvolto dalla paura e lo udiva digrignare i denti. Stava veramente per morire? Ella era sola con lui e non sapeva. Ripeteva macchinamenti! senza nemmeno sapere quello che diceva: Giacomo... Son io, Elsa... Non a ver paura!... Calmati!... Giacomo son io qui con te!... Ella sentiva che non avrebbe resistito a lungo all'energia fittizia che s'era impadronita del ferito, ma nel momento che meno se l'aspettava, senti la resistenza della spalle di Giacomo infiacchirsi e un minuti) dopo il corpo del malato si adagio inerte sul letto, Fu quello l'istante più atroce della sua vita. Ella ora convinta che Giacomo era morto stille suo braccia. Il suo primo movimento fu di allontanarsi lentamente dal letto indietreggiando con gli occhi fìssi su Axbaud. tri quel momento qualcuno saliva le scale, la porta s'apriva. l'Illa guardo inebetita lo studente che entrava sorridente con la faccia fresca e colorita dalla pungente aria crepuscolare. Vedendo lo stato pietoso in cui si trovava la giovane donna, il sorriso gli mori sulle labbra: veloci: si diresse verso il letto e si chino sul malato. Immediatamente si rizzo in tutta la persona per pronunciare con voci- sollevata, mentre il suo viso raggiava di gioia contenuta: Donni:!... E' salvo!... Infatti il rumore di una respirazione regolare si cadenzò nel silenzio della camera. Cinque giorni erano trascorsi da quando Giacomo Arbaud, inseguito san guinante, era venuto a cercare asilo nella pensione doliti signora Bennet. Da quarantotto ore la l'ebbre era molto diminuita e Giacomo aveva dormito tranquillo svegliandosi solamente ogni tre o quattro ore per inghiottire lo medicine. Allora egli guardava Elsa evitando di parlarle. Come di comune accordo si erano guardati bene dal pronunciare paròle che avessero avuto lontano rapporto con la loro vita intima. — E l'ora della pozione... Ti sunti meglio?... Soffri molto? — No — Nessuna fitta dolorosa al petto? Non bisogna nascondermi nulla perche al più piccolo sintomo di dolore al polmoni; bisogna chiamare d'urgenza il medico. Da due giorni questi; erano le frasi che Elsa e Arbaud si scambiavano regolarmente durante la giornata. Giacomo si sentiva penetrato da uno strano benessere, da un sentimento di sicurezza infinita, di riposo indicibile. Per la sua grande debolezza, senza dubbio, egli non riusciva a interessarsi dei gravi problemi dell'avvenire. Era salvo e dormiva disteso su un letto morbido. Quando aveva sete, bastava che alzasse un braccio, e Elsa gli dava da bere, quando aveva fame ella gli misurava le razioni di alimen ti sorvegliando che non commet- UN GENTILUOMO TRA I BANDITI ttL

Persone citate: Bennet, Georges Simenon, Giacomo Arbaud, Simenon

Luoghi citati: Europa, Francia, Lilla, Parigi