Ottocento russo di Marco Vallora

Ottocento russo Ottocento russo La pittura al tempo di Puskin LA MOSTRA DELLA SETTIMANA Marco Vallora CERTO non si può essere che riconoscenti e ben disposti verso una mostra che fi¬ nalmente si preoccupa di farci conoscere meglio quella pittura tra Biedermeier e Romanticismo russo, che trattiene ingiustamente tanti gioielli segreti, quali si scoprono con sorpresa ed eccitazione visitando i musei dell'ex Unione Sovietica. Ed è giusto che una volta tanto quelli stessi musei di stato non rovescino su di noi soltanto le incontrollate carrettate di presunti capolavori impressionisti o cubofuturisti, che hanno intasato i nostri sguardi in questi anni di deportazioni d'opere disinvoltamente cedute in vista di copiose valigette piene di dollari. La Russia ha avuto ben altro: ma proprio per questo le riserve critiche possono essere più accorate. E' possibile ancora proporre una carrellata così generica, episo- LA MODSETTMarco dica, vagamente antologica (di certi pittori non c'è che un'unica opera, senza darti nemmeno il tempo di affezionarti) nè affrontare, con un poco più di metodo, questo periodo nevralgico per la cultura russa, senza nemmeno un vero catalogo e qualche storicizzazione ulteriore (che ci fa quel busto di Napoleone nella stanza di un giovane russo?) E così: è possibile che la mostra - che coglie l'occasione della giornate milanesi dedicate alla celebrazione dei duecentocinquant'anni della morte di Puskin - non abbia nemmeno una tela che lo ricordi davvero? C'è un Gogol, invece, con guance implumi e senza fedine, che sembra piuttosto un Balzac in erba: camicia aperta alla Byron, occhi bonari, non sospetteresti mai la perfidia delle sue Anime Morte. Nè si pretendono opere ispirate ai temi STRA LLA MANA allora letterari di Puskin, e pure ci sarebbero (per esempio quella scena di Giocatori d'Azzardo di Fetodov, così Dama di Picche) ma almeno non doveva mancare il celeberrimo, simbolico ritratto di Kiprenskij, con gli occhi gonfi di stupore e la mascella marinata nell'amarezza. C'è, è vero, una misteriosa Tatiana di von Retiteli}, ed ha pure una lettera tra le sue carabattole sul tavolino a collo di cigno, ma come essere certi (tornano le date?) che sia l'eroina che tanto soffrì per Oneghin? Ed è troppo vago, quello che suggerisce Evgenia Petrova in un opuscolo d'accompagnamento, e cioè che potrebbero essere dei quadri che Puskin ha visto o di pittori amici: ma allora, è possibile concertare davvero una mostra sul primo romanticismo russo «dimenticando» Brjullov, che fu il suo grande compagno d'arte? Sarebbe del re- sto come spedire un'antologica del nostro Ottocento in Russia, «saltando» Hayez o Fontanesi. E inoltre, non sarebbero maturi ormai i tempi per pensare ad una bella rassegna comparatistica sui vari Ottocento nazionali, Inghilterra contro Germania, Friedrich con Ivanov (altro assente), Dahl il nordico in confronto a Ajvazovskij? L'interesse di questa comunque ricca mostra-assaggio consiste proprio nel mostrare alcuni quadri aurorali, e innocenti, in cui gli innesti del gusto intemazionale (è un poco quello che succederà con la musica di Cajkovskij) e soprattutto l'ibridazione tra Accademia ed eccentricità, tra Neoclassicismo e Romanticismo, è palpabile all'interno del quadro stesso, anzi, spesso ne è il tema occulto. Ecco per esempio Viandanti sorpresi nella Foresta di Janenko. L'im¬ pianto è ancora fedelmente settecentesco, vecchi cirri veneziani alla Pellegrini, arbusti che si disegnano leziosi sulle gote rosate della sera, il carrolanzi la biga) è ancora quello tiepolesco d'Aurora, con un Fetonte ignudo alla guida: ma l'atmosfera è subito Sturm und Drang, il cane latra già romantico e furioso contro un mondo che s'infrange alla deriva e nel torrentello che incaglia la Storia scorre ormai una vena puskiniana, patetica. Come ha sostenuto lo storico Sarabianov, la società russa non è ancora così avanzata da accogliere davvero i «veleni» della novità romantica: ma il meccanismo di maquillage estetico è ormai avviato. Ed è divertente, per esempio, il ritratto in primo piano di tre Briganti napoletani, che stemperano la loro vistosa infingardaggine folklorica entro uno schema che è ancora quello giorgionesco delle Tre Età o dei Filosofi, anche se poi sbirciano un librino che è forse la Smorfia del lotto e indossano con disinvoltura delle barbe da Olimpo degradato a bassofondo. Le influenze sono tutte vistose: dal notturnismo caraveggeseo della candela che ombreggia i volti alle unghie sporche (l'onda lunga del suo tenebrismo lambisce perfino Odessa) all'impronta rembrandtiana di certi ritratti, per esempio quella del patrigno di Kiprenskij, che avanza marziale e magnetico, brandendo un bastone, come se volesse frangere la superficie della tela. A prescindere che quasi tutti questi artisti fanno il loro bravo viaggio in Italia le dunque via con scugnizzi alla Pinelli e vedute del Vesuvio in stile gouache e memorie di Madonne alla Sassoferrato) il vero deus ex machina rimane comunque Friedrich. Anche se manca il suo senso dell'infinito, e qui tutto si risolve in quadri senz'anima, come le Navi al chiaro di luna di Borispolets, con tutte quelle sartie in rada, che ci potresti giocherellare come a scoubidou, tanto sono vicme e concrete. La Pittura al tempo di Puskin Milano. Villa Reale. Orario tutti i giorni dalle 9,30 alle 17,30. Fino al 16 gennaio 2000 NOTTURNI CARAVAGGESCHI E SCUGNIZZI ALLA PI NELLI: ALLA VILLA REALE DI MILANO RIVIVE UNA STAGIONE SOSPESA TRA NEOCLASSICISMO E ROMANTICISMO «La mietitrice» di Aleksej Venetsianov, 1920, è in mostra alla Villa Reale di Milano