Evviva l'olio di frantoio (ma di quale uliveto?)

Evviva l'olio di frantoio (ma di quale uliveto?) Evviva l'olio di frantoio (ma di quale uliveto?) Una nuova parola sta entrando nel gergo del consumatore: la tracciabilità. Ma forse, a Bruxelles, qualcosa è da rivedere Carlo Petrini UNA nuova parola sta entrando nel gergo del consumatore europeo, si tratta di tracciabilità. Il significato é molto semplice: risalire attraverso le tracce al luogo di produzione e al produttore di un alimento o di una bevanda. Si avverte da parte di molli consumatori l'esigenza di conoscere non solo l'origini! dei prodotti, ma anche i metodi e le pratiche che caratterizzano la nascita di molti cibi. Onesta domanda di sapere è stata alimentata da un diffuso clima di sfiducia verso le truffe e le grandi sofisticazioni presenti sul mercato. «Voglio sapere da dove arriva quella carne, voglio conoscere i sistemi coi quali è stata allevata la razza d'origine e con quali sostanze ò stata alimentata». Molti nostri concittadini in tutta Europa non vogliono più fare la spesa senza avere queste informazioni e il mercato, lentamente, va adeguandosi a queste richieste. Prodi annuncia la costituzione di un'agenzia che garantirà la salubrità alimentare e che saprà salvaguardare il grande patrimonio gastronomico del Vecchio Continente. Tutto ciò significa che nei prossimi anni aumenteranno le denominazioni di origino, le certificazioni in grado di garantire provenienza e qualità degli alimenti. C'è anche il rischio che aumenti la già enonne burocrazia fatta di marchi e sottomarchi, di controlli esasperati per chi lavora bene e di un certo lassismo per la grande massa. Prendete ad esempio il crescente fenomeno dell'agricoltura biologica che, giustamente, deve essere certificata con costi da parte di questi coltivatori; per contro chi produce con il metodo convenzionale non è soggetto ad alcun controllo. Cosi va il mondo! E da Bruxelles nessuna notizia? Ma certo che si, la Comunità Europea ormai ci ha abituati a nuovi regolamenti tutti in difesa clella potente industria agroalimentare. L'ultima in ordine di tempo è la nuova regolamentazione per l'olio extravergine di oliva; si tratta di per sé di ima commista da tempo richiesta dall'Italia e che punta a distinguere e caratteriz¬ zare oli di qualità superiore. Ma allora dove sta l'inghippo? Molto semplice, il nuovo regolamento riconosce la zona di provenienza di questo o quell'olio in base all'ubicazione del frantoio e non dal luogo di provenienza delle olive. La tracciabilità va a farsi friggere, poiché la grande produzione olearia può comprare la materia prima a destra e a manca senza caratterizzare le qualità specifiche del territorio. Sarebbe come riconoscere la Doc di un vino a cantine che non dichiarano la varietà e la provenienza delle uve ma solamente perché si trovano ubicate in una certa posizione geografica. C'è ancora molta strada da fare per riconoscere lo stretto rapporto che esiste tra agricoltura e territorio; non è un rapporto anonimo, è fmtto delle caratteristiche del terreno, delle particolari situazioni climatiche, di metodi di lavorazione consolidati nel tempo. Spetterà al consumatore e alle sue associazioni andare alla ricerca dell'origine dei prodotti, seguendo le tracce che l'onesta produzione vorrà lasciare nel suo e nel nostro interesse. LA RICETTA Coda alla vaccinara INGREDIENTI 3 kg di coda di bue (manzo), 100 y di guanciale, 300 g di pomodori pelati, 50 gdi pinoli, 50g di uvetta, 30 g di cacao amaro, lo coste di duo sedani, 700 g di carote cipolla prezzemolo un bicchiere di vino bianco secco salo, popò PREPARAZIONE Lavatela coda che avrete acquistato già a pozzi e bollitela per quindici minuti con ahbondanto sedano e carote. Preparato un soffritto con 100 grammi di guanciale, la cipolla e il prezzemolo, fate rosolare la coda per alcuni minuti, baiato, pepate, aggiungete i pomodori pelati, versate un bicchiere di vino bianco secco e lasciate cuocere per due ore, allungando eventualmente la salsa con l'acqua della bollitura. Quindici minuti prima del termine della cottura aggiungete 100 grammi di pinoli e uvetta (che avrete fatto rinvenire in acqua) e 30 grammi di cacao amaro, mescolate bone il tutto e servite la coda con le coste di sedano. Insieme a interiora, zampe, guance, la coda appartiene al cosiddetto «quinto quarto»: la si preparava abitualmente, un tempo, nelle osterie vicino ai mattatoi. Quando alla presenza del cacao in un piatto di cucina popolare, si deve ricordare che nella Roma papale le spezie (e il cacao era classificato tra queste) erano comunemente usate in preparazioni a base di carne. Esiste d'altra parte una versione della coda alla vaccinara che fa a meno dell'aggiunta finale di pinoli, uvetta e cacao. DIFFICOLTÀ: MEDIA TEMPO DI PREPARAZIONE E COLI URA: 3 ORE E MEZZA La ricetta di Angolo Croce Osteria dell'Angelo Roma Coda alla vaccinara per 6 persone Paola Gho SOSTIENE CARLIN OSTERIE D'ITALIA SLOWINE Gigi Piutnatti Anche regioni che non avevano considerazione riescono oggi a presentare vini degni di nota. Nel Lazio, patria del Frascati e del vino dei Castelli, le cose sono cambiate: dal Viterbese fino alla Ciociaria, emergono produzioni in grado di competere con il meglio dell'enologia nazionale. Questa terra considerata quasi esclusivamente per i suoi bianchi. Frascati in testa, con l'introduzione dei vitigni internazionali ha dato alla luce grandi vini rossi di struttura, alcuni dei quali premiati dalle più importanti riviste e guide del settore. Nessuno di questi rientra in una denominazione; si tratta di vini da tavola, che spuntano prezzi superiori anche a quelli delle Doc più conosciute. Il migliore è il Montiano della Cantina Falesco di Montefiascone (tel. 0761 825669,35 mila in enoteca) un grande rosso da uve merlot targato Riccardo Cotarella. Molto vicino come valutazione il Vigna del Vassallo di Paola Di Mauro, una delle artefici della rinascita dell'enologia regionale, che da Marino (tel. 06 93546329) propone un signor vino da uve merlot e cabernet (32 mila in enoteca). Sempre merlot, ma questa volta in purezza, è il terzo consiglio di oggi; la cantina è Casale del Giglio (Borgo Moriteli o, tel. 06 5742529, in enoteca 15 mila lire) mentre il vino si chiama semplicemente Merlot.

Persone citate: Carlo Petrini, Castelli, Merlot, Mezza, Paola Gho, Prodi, Riccardo Cotarella