Grünbein, voce della nuova Germania un poeta che al cuore preferisce il cervello di Luigi Forte
Grünbein, voce della nuova Germania un poeta che al cuore preferisce il cervello Grünbein, voce della nuova Germania un poeta che al cuore preferisce il cervello RECENSIONE Luigi Forte LA nuova poesia tedesca arriva dalla Sassonia e si chiama Durs Grùnbein. La critica stravede per questo giovane nato a Dresda nel 1962 e scoperto dal grande drammaturgo Heiner Mùller, che lo considerava il più geniale rappresentante di una generazione senza patria e senza linguaggio. Ma Griinbein, che esordì poco prima della caduta del Muro nel 1988 con la raccolta Zona grigia, mattina, era fin da allora tutt'altro che uno sradicato. Nella metà socialista della Germania osservava con disincanto le ultime evoluzioni del regime frequentando una patria delle lettere in cui circolavano Hòlderlin e Novalis, Brecht e RECENLuFo SIONE gi e Pound, Masters e Benn, Auden e Eliot. Era in ottima compagnia e ormai lontano, fin dai suoi vent'anni, dai «ridacchiami clichés del potere», come li ha definiti lui stesso, «pungenti inquadrature del vecchio cinema muto». Tra i versi di Grùnbein il Muro è caduto da sempre. Manca l'atmosfera da disputa ideologica, le nostalgie libertarie, la retorica dell'utopia, e delle speranze disattese della generazione precedente. Al più s'incontrano estraneità, sagome aliene nei propri confini, paesaggi di sterminata solitudine: «l'Est, i fiumi di piombo /e le pianure e questa terra sempre gelata / e tutto grande, grande e perduto fino a Vladivostock», come si legge nell'ampio volume antologico A metà partita, che Anna Maria Carpi ha curato con grande finezza e sensibilità per 1 editore Einaudi. Un'ottima anteprima italiana con una ricca scelta da quattro raccolte che Grùnbein ha pubblicato fra il 1988 e il '99, ottenendo nel '95 il più importante premio letterario tedesco, il BùchnerPreis. Aveva appena trentadue anni, ma era già la voce nuova della Germania riunificata, capace di conciliare l'angoscia contemporanea con il rigore della scienza, il pensiero nichilista con una forte carica analitica, il nomadismo culturale con le peripezie nel degrado metropolitano. C'è in questa poesia un gioco degli estremi che diventa stile oltre che programma estetico: la discesa nell'inferno quotidiano e il volo verso le altezze della cogitazione, la serrata dialettica fra corpo e psiche, il faccia a faccia fra gravità e leggerezza. L'io penso diventa «un puro ematoma», nell'eloquente raccolta Lezioni sulla base cranica, e l'identità del nuovo soggetto è così riassunta: «Ciò che tu sei sta al margine / di tavole anatomiche». Griinbein ha fatto propria la lezione materialistica dello scrittore-scienziato Georg Bùchner e l'imperativo di Gottfried Benn secondo il quale un lirico d'oggi deve possedere un cervello coi denti canini. La vocazione di questa poesia si orienta verso una grammatica dura e impersonale, un lessico che opera come il bisturi dentro il corpo della realtà. E', secondo l'espressione di Grùnbein, «l'intelligenza amputata del cuore». Eppure la pietas non è scomparsa, e nemmeno il sogno che vagola in esistenze derelitte. A volte, come nelle cinque splendide liriche In provincia, essa è relegata in uno sguardo che coglie corpi straziati di animali, altrove è il segno fuggevole della precarietà o l'angoscia per destini sopraffatti dalla sventura. O è la metafora di uno slancio improbabile: «Solo un pinguino / resiste, su due piedi, su un orlo, / ali che fremono, sotto il peso di un sogno». Durs Grùnbein ama la levità e si trova a raccontare l'insufficienza di ogni volo umano. Durs Griinbein A metà partita a cura di Anna Marta Carpi Einaudi, pp. 308. L 26.000 POESIA
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