Gli errata corrige fan bene alla Storia di Oreste Del Buono

Gli errata corrige fan bene alla Storia LUOGHI COMUNI Personaggi e memorie dell'Unità d'Italia di Oreste del Buono e Giorgio Boatti (gboatti@venus.it) Gli errata corrige fan bene alla Storia I rapporti tra i comunisti italiani, Stalin e l'«oro di Mosca»: a proposito di una foto di Togliatti con Longo e Secchia datata «per sbaglio» 1939 ERKATA corrige: talvolta vi ricorro la Storia per riscrivere vecchie vicende in modo nuovo. Nuovo, ma non sempre vero. Niente a che fare con quella riscrittura della Scrittura, vale a dire della Bibbia, di cui parla Piero Boitani nel suo vertiginoso testo «Ri-Scritture» pubblicato due anni or sono. L'errata corrige, emergendo tra le macerie di questo finale di secolo, rammenta l'imbarazzato zelo di cui davano prova certi stampatori e editori. Quando gli errori erano troppi affidavano le correzioni a foglietti separati, inseriti in parti diverse del volume, così da essere rinvenuti dal lettore un po' alla volta e attenuarne disagio e disappunto. All'errata corrige si finisce sempre con l'accordare notevole fiducia: soprattutto quando con inconsapevole ma autorevole sicumera s'interviene su vecchie vicende che l'attualità politica rende improvvisamente calde. Talvolta la memoria di chi ha qualche anno sul groppone insiste nel suggerire ricordi distonici rispetto all'ultima e definitiva proposta di riscrittimi ma l'errata corrige, a meno di un rapida e incisiva correzione della correzione, fa testo. Così se qualcuno sostiene che Hitler si è pappato l'Austria nel 1939 e non l'anno prima, nel 1938, pazienza: non cambia piii di tanto la sostanza delle cose soprattutto se, il giorno successivo, la cronologia viene riparata. Maggiori problemi invece insorgono so - nei giorni successivi ad un'accesa e vasta quérelle sulle spie bolsceviche stanziate nulla penisola italiana - si pubblica, ad illustrazione di un'ampia trattazione sull'«oro di Mosca» finito al PCI, una foto a cinque colonne nella quali; si vedono, seduti l'uno accanto all'altro, i tre massimi leader del PCI: Palmiro Togliatti, Luigi Longo, Pietro Secchia. Le immagini come ha spiegato Kundera nel magico incipit de «Il libro del riso e dell'oblio» - sono un diabolico strumento di duplicazione, ma anche di mimetizzazione, della realtà storica. Così, vedendo la foto del terzetto, il lettore corre alla didascalia che spiega come l'immagine sia stata presa a Mosca nell'anno 1939. L'occhio del lettore che non è più un giovincello ritorna all'immagine dei tre, colti dall'apparecchio fotografico mentre sono seduti davanti ad un massiccio apparecchio radio che potrebbe benissimo essere stato fabbricato in qualche kombinat di quell'era staliniana in cui tutto era pesante: dall'industria di stato alle poesie di regime, dagli edifici alle radio. Il fatto che Togliatti porti, con naturale eleganza, una sciarpa di lana al collo fa subito pensare a gelide temperature moscovite. Luigi Longo e Pietro Secchia - entrambi piemontesi tutti d'un pezzo, da sempre incapaci di disfarsi di una rigidezza contadina che li fa sembrare fuori posto qualsiasi cosa si mettano indosso, a meno che sia una tuta operaia o un vecchio abito di fustagno - indossano dei completi scuri di buon taglio (su camicia bianca il langarolo Longo, su camicia grigia e cravatta scura il biellese Secchia). Li portano come fosse l'abito buono della festa, il vestito per la messa grande della domenica. E dove, per dei rivoluzionari di professione come Longo e Secchia, può essere celebrata la massima liturgia comunista se non all'ombra del Cremlino, nelle notturne anticamere del pontefice massimo del marxismo-leninismo Giuseppe Stalin? Cosi l'immagine finisce col convincere e sancisce che in quel 1939 il terzetto comunista era sicuramente convenuto in quel di Mosca. Peccato che ad uno almeno dei tre Pietro Secchia - varcare le italiche frontiere, di quei tempi, fosse pressoché impossibile visto che fino all'estate del 1943 è obbligato ospite delle patrie galere. Anzi, per la precisione, nel 1939 Pietro Secchia - il dirigente politico che nel dopoguerra diventerà il punto di riferimento della struttura illegale del PCI attiva per anni, coinvolgente mi- gliaia di militanti e la cui esistenza era conosciuta da gran parte degli iscritti - è al confino. Dove sta scontando una condanna a diciotto anni di galera inflittagli nell'aprile del 1931, a poche settimane dall'arresto, dal Tribunale speciale fascista. Dopo cinque anni di carcere viene inviato al confino dove rimane fino all'agosto del 1943 quando liberato - entra nella direzione del PCI e partecipa alla resi¬ stenza come commissario generale delle Brigate Garibaldi. Poi - a Liberazione avvenuta arrivano il ruolo di coordinatore del «sottovoce», vale a dire la ramificazione illegale e para-militare del PCI, gli stretti contatti con Mosca, un rapporto privilegiato con Togliatti (per anni abitano nella stessa casa a Monte Sacro) che, nelle lotte interne al partito, utilizza il biellese come alternativa a Luigi Longo. Un delicatissimo minuetto messo alla prova - come racconta Giorgio Bocca noi suo «Togliatti» - nell'inver¬ no del 1949: quando Stalin, invitato Togliatti a Mosca, gli chiede di lasciare l'Italia per dirigere il Cominform da Praga. Togliatti non ne vuole sapere e convoca subito a Mosca Longo e Secchia perché lo appoggino nel resistere alle pretese di Stalin. Ed è forse questa l'occasione in cui viene scattata la foto retrodatata, per errore, di dieci anni. Togliatti, sperando nell'appoggio di Longo e Secchia, sbaglia i conti poiché i due, tornati a Roma, convocano la direzione del partito. Qui il gruppo dirigente del PCI con l'opposizione di Teresa Noce e di Umberto Terracini e l'astensione di Pajetta e di Longo (che succederebbe a Togliatti) - s'inchina al volere di Stalin: il compagno Togliatti traslochi pure a Praga. Cosi Togliatti deve sfangarsela da solo per disaccostare da sé l'incarico al vertice del Cominform e ribadire la sua leadership sui comunisti italiani: cosa che gli riesce alla grande. Più tardi sistemerà i conti con Secchia ma, ad azzoppare definitivamente il capo dell'appa¬ rato illegale, sarà la defezione di Giulio Seniga, uno dei suoi più stretti collaboratori. Questi, il 27 luglio del 1954, svuota del denaro (valuta straniera, soprattutto dollari) e dei documenti segreti la cassaforte installata negli uffici che fungono da base riservata di Secchia. Poi, chiedendo aiuto a Gianni Brera, ripara in Svizzera. Da lì inizia una spy-story che si dipana con molteplici versioni e con una sola certezza: per questa volta i soldi venuti da Mosca se ne sono andati. E non torneranno più. DA LEGGERE Piero Boitani Ri-Scritture il Mulino, Bologna 1997 Milan Kundera Il libro del riso e dell'oblio Bompiani, Milano 1980 Giorgio Bocca Palmiro Togliatti Laterza, Bari 1973 Da sinistra. Secchia, Togliatti e Longo a Mosca nel 1949, quando Stalin voleva «trasferire» il segretario pei alla direzione del Cominform