Colombia, la scia di sangue di Luis Alfredo di Mimmo Candito

Colombia, la scia di sangue di Luis Alfredo Il peggior serial killer che la storia ricordi. I corpi delle vittime, tutte poverissime, trovati mutilati in fosse comuni Colombia, la scia di sangue di Luis Alfredo Ha rapito, torturato e ucciso 140 bambini in 33 città reportage Mimmo Candito invialo a B0G0TA' m I. giudice Alfonso Guméz MénHdez si aggiusta nervosamente ■ j'Ji occhiali, ((nasi trema ancora per l'emozione. «Diòs mio, quello li ne ha uccisi davvero 140. Cen-toqua-ran-ta, e tutti bambini. Una montagna di povere piccole ossa innocenti». Da ieri, nel museo oscuro dell'orrore, Jack lo Squartatore, Charles Manson, il Boia di Milwaukee e lo Strangolatore di Boston sono passati in seconda Illa dopo che Luis Alfredo Garavito Cubillos, un colombiano di 42 anni, gli occhi spiritati, magro come uno stecco, ha confessato che in 5 anni, girando per le terre povere di questo l'aese, ha rapito, torturalo, violentato, e squartato tutti quei bimbi. Una simile pagina di follia nemmeno sembrava possibile, la violenza supera ormai la nostra capacità di sopportazione e King e Hannibal non sono più soltanto i turbamenti letterari della nostra fantasia malata. Il giudice Gòmez Mendez è il procuratore generale; della Colombia; il più allo magistrato del l'aese. Ha ritenuto suo dovere d'ufficio dare lui stesso, ieri, la notizia di questo orribile caso giudiziario. E raccontava come il giudice di Villavieencio, giovedì pomerìggio, quasi non sapesse credere a quello che Cubillos gli andava raccontando nel sur» primo interrogatorio d'accusa. «Lo avevamo arrestato ad aprile, perché era imputato di violenza carnale contro un minori.'. E stavamo indagando. Ma all'inizio, chi poteva pensare che stavamo per precipitare dentro l'inferno». L'inferno, in realtà, Cubillos se l'era portalo dentro la propria lesta in 33 città della Colombia. Figlio di povera gente di Genova, un villaggione della provincia di Quindio, quarto di 7 fratelli, ha latto sempre una vita grama, stenlata, arrangiandosi in mille mestieri, Sono storie comuni, in Paesi malati di povertà e di disperazione come la Colombia; solo che Luis Alfredo si portava dentro anche una sua personale disperazione, per quegli anni di bambino passati a subire ripetutamente la violenza carnale dei genitori, e le botte, e i tormenti da non poter confessare. «Lo chiamavamo "el loco", il pazzo», diceva ieri un amico di Genova rintracciato dai cronisti. Un altro racconta che lo chiamavano anche «el cura», il prete, e «Tribihn», e «Confucio», a seconda dei mille travestimenti che usava. El loco andava in giro per il l'aese, si spostava dovunque, accompagnato da quel tormento segreto. «Era abilissimo», dice ora il procuratore Gòmez. Tanto abile da riuscire a farsi passare anche per esperto di problemi infantili e tenere conferenze nelle piccole scuole della provincia. «Si vedeva che gli piacevano i bimbi», racconta ancora il suo vecchio amico di Genova, «Li accarezzava, li toccava con affetto, gli faceva dei piccoli regali. Soprattutto gli piacevano quelli che avevano il faccino angelico. Allora sembrava quasi che diventassi! davvero matto». Oliando lo avevano arrestato, non aveva parlato molto. «Mi chiamo Bonifacio Morena Lizcano», poi aveva aggiunto una mezza confessione su quel bimbo assalito a Boyacà. Lo avevano mandato in cella, il suo caso poteva essere uno dei tanti. Però qualcosa sembrava non quadrare, c'erano incertezze sull'identità, reticenze. E allora il giudice di Villavieencio aveva segnalato l'arresto al Cuerpo Tècnico de Investigaciones. Da più d'un anno, da quando nei pressi dell'aeroporto Matecana di Pereira era stata trovata una fossa con i resti di 13 bimbi tra gli Bei 14 anni, e poi, una settimana più tardi, un'altra con 12 corpi e 9 teschi, il Cti aveva creato una squadra speciale, tentando di trovare il filo delle misteriose stragi. I piccoli scheletrì avevano ancora brandelli di polle attaccata alle ossa, c'erano tracce di vestiti, alcuni dei poveri resti portavano anche un filo di nylon stretto al collo. E c'erano teste senza corpo. Gl'investigatori avevano pensato a riti satanici, a mostruosità di fantasie tortuose. Però poi queste scoperte cominciarono a essere collegate ad altre denunce di sparizioni di bimbi, e ai crani rinvenuti un paio d'anni fa a Villa Olimpica e a Risaralda. C'erano similitudini che si ripetevano, non potevano essere solo coincidenze. «E cominciammo a pensare davvero al serial killer», dice Pablo Elias Gonzàlez, direttore del Cti. La squadra speciale si concentra allora su un obiettivo preciso, una sola persona da rintracciare lungo la geografia delle sparizioni di bimbi. La Colombia è un paese bellissimo e disgraziato: la guerriglia che qui si combatte da 35 anni ha sfasciato i vecchi equilibri sociali, e ha espulso dalle case, e dalle loro terre, più d'un milione e mezzo di persone, trasformati ormai in profughi senza storia che quotidianamente vanno perdendo ogni speranza e la loro stessa identità. Il fantasma del serial killer aveva un terreno facile dove affondare le sue voglie disperate. E gl'investigatori cominciano a disegnare il profi- lo di questo fantasma. Trovano testimonianze concordanti, ricordi che vengono a galla, segnali recuperati dalla memoria; e il dossier si gonfia di riscontri, aggiungendo nuove conferme quasi ogni giorno. Alla fine, l'identikit è completo: e l'accompagna una serie inattaccabile di documenti li biglietti delle corriere, il registro delle telefonate) che confermano quella lunga lenta transumanza della morte, da una città all'altra. «Addirittura fino all'Ecuador», aggiunge ora il giudice di Villavieencio. Giovedì pomeriggio, dunque, il giudice fa il primo interrogatorio al sedicente Bonifacio Lorera Lizcano. Ha davanti a sé quel dossier gonfio di documenti, e inizia a sfogliarlo: «Lizcano» dapprima resiste, nega, dice che lui non ha niente a che fare con quelle storie. Però il dossier sembra l'antro dell'inferno, che non finisce mai di sputar fuori il suo catalogo dell'orrore; e alla fine «Lizcano» ne è travolto. «Sì, sono io. Sono stato io. E mi chiamo Luis Alfredo Garavito Cubillos. Ma c'è anche dell'altro che voi non sapete». E comincia a raccontare. Sono storie disperate, le caramelle offerte ai bimbi, il rifugio in qualche angolo solitario, poi l'assalto, la corda per legarli, le violenze ripetute, le torture sadiche. E l'uccisione. «Forse non voleva lasciare traccia». Parla di Bogotà, ma anche di Jamundi, Tuluà, Zarzal, Popayàn, Palmira, Caicedonia, Belèn. Buga, un'inifinità di piccoli paesi sconosciuti, anche di Choné e S.to Domingo in Ecuador. Ouando Cubillos ha finito e tace, sono le 5 del mattino. E l'orrore ha riempito la piccola stanza dove il giudice e la sua segretaria hanno scritto il racconto, parola dopo parola. «Volevamo accusarlo di 32 omicidi, ne ha confessali 140», dice il magistrato, e si pulisce lentamente gli occhiali. Per cinque anni travestendosi in mille modi ha massacrato innocenti attraverso tutto il Paese e anche nel vicino Ecuador Lo chiamavano «il pazzo», lui stesso aveva subito violenze da piccolo il giudice che l'ha interrogato dice sgomento: «Dio mio, li ha sterminati davvero tutti lui» «Era stato arrestato per violenza su un minore, ma poi ci ha spalancato le porte dell'inferno» LUIS ALFREDO GARAVITO Manovale, 42 anni, senza fisso dimora. Le sue vittime, tutti bambini poverissimi, sono sparse in almeno 11 province della Colombia, ma è probabile che l'uomo abbia ucciso anche nel vicino Ecuador. Già tre anni fa era stato spiccato nei suoi confronti un mandato di cattura per infanticidio. La polizia l'ha prelevato nel carcere di Villavieencio, dove era stato arrestato il 22 aprile per tentata violenza su minore. La scultura che a Pereira ricorda le 36 vittime di Cubillos trovate sul posto