Di Pietro: sì alla Commissione di Guido Tiberga

Di Pietro: sì alla Commissione A Porta a Porta l'ira dell'ex pm: non toccate le mie indagini. E per il premier: il passato è passato Di Pietro: sì alla Commissione Ma Veltroni: Craxi non può dettare condizioni Guido Tiberga ROMA «Ma lo aveto sentilo, quello? Con che coraggio viene a dire a me che non ho fatto le indagini? A me, che so non lavoravo venti ore al giorno Mani Pulite manco ci sarebbe stato...». Alle nove di ieri sera, la registrazione del «Porta a porta» dedicato al caso Craxi è finita da un pezzo, ma Antonio Di Pietro non ha ritrovato la calma. «Devo parlarne ancora? - sbotta -. Non basta la battaglia che ho dovuto fare là dentro?». Più o meno alla stessa ora, Enrico Boselli si frega le mani: nel giorno in cui nessuno - a partire da Walter Veltroni - pare disposto ad accettare la pretesa di una commissione d'inchiesta pretesa da Craxi, Di Pietro conferma il suo «si». Sia pure partendo da posizioni opposte da quelle dei socialisti vecchi e nuovi. «Se i giudici che hanno fatto Mani Pulite non hanno paura della commissione, perché i diessini si oppongono? Perché insistono sull'idea di un comitato di saggi?», si chiede il leader Sdi. Che aggiunge malizioso: «Sul miliardo di Sama, poi, Di Pietro è stato chiarissimo...». La «battaglia» di cui racconta Di Pietro è quella che il pubblico di Urano Vespa ha visto in tv ieri notte. Prima gli attacchi di Marcello Pera, respoasabile di Forza Italia per la Giustizia, che accusa l'ex pm di aver tirato il freno a mano sulle questioni relative al pei. Poi l'insistenza di Boselli sull «accanimento giudiziario, fisico e mediatico» che il Pool avrebbe scatenato contro Craxi: «Se non fosse andato ad Hammamet, oggi Bettino sarebbe al camposanto». Infine l'intervista registrata con l'ex leader del Psi, che parla di una «entità esterna» che avrebbe condizionato i magistrati. Per Di Pietro, ascoltare Craxi e andare su tutte le furie è tutt'uno: «Basta con i sospetti: si faccia una commissione. Si aprano i cassetti. I magistrati si occupano dei fatti che hanno rilevanza penale, ma ce ne sono altri, rilevanti sul piano morale e politico. Ma una cosa deve stare nero su bianco: la Commissione non può delegittimare i giudici: le sentenze non si toccano». A telecamere spente, il senatore torna a parlare della «valigetta di Sama», cui aveva accennato in trasmissione: «Pera mi ha accusato di non aver indagato abbastanza? racconta -. La nostra indagine è arrivata fino all'autista di Gardini che si ferma davanti alle Botteghe Oscure. Cosa è successo dentro? Non lo sappiamo. Gli strumenti dei magistrati non possono scoprirlo. Gardini non ce lo ha potuto dire perché è morto. Il segretario amministrativo Stefanini pure. Io avevo chiesto di interrogare i segretari politici al processo Enimont, ma il tribunale disse di no. Due pesi e due misure? La responsabilità penale ha bisogno di nomi e cognomi: Craxi mente, quando dice di essere stato condannato solo perché "non poteva non sapere". Lui sapeva tutto, ci sono le prove...». Mentre Di Pietro si sfoga - regalandosi una bordata a D'Alema: «Come è possibile che questo governo non si faccia rispettare ottenendo l'estradizione di un latitante» -, Bobo Craxi è in viaggio verso Tunisi. Per il figlio dell'ex leader socialista è arrivato il tempo delle frenate: giura di non aver voluto dettare condizioni a nome di suo padre. «Mi pare difficile che chi sta in ospedale possa porre degli aut-aut». In mano, stringe i fogli delle notizie di giornata. Il no del procuratore generale Borrelli alla Commissione: «Mi sembra un modo non elegante di capovolgere la realtà». La precisazione con cui D'Ambrosio nega di aver detto che «Craxi aveva ragione» e che «i soldi li hanno avuti tutti»: «Che i Verdi non abbiano preso nulla penso che lo sappiano anche le pietre», spiega il procuratore capo, stringendo platealmente la mano a Borrelli, per negare con i fatti i presunti dissidi di giovedì. Le reazioni di Bertinotti: «Si faccianoiprocessi». Duello di Mastella: «Ci vuole pnidenza». Quelle di Cofferati: «Le responsabilità non si possono cancellare». Ma il rifiuto più pesante arriva da Veltroni: «E' inaccettabile che un condannato pretenda di porre condizioni al Parlamento. La commissione creerebbe un clima di conflitto politico permanente. La mia proposta resta quella del comitato di saggi che possa studiare quello che è successo in quegli anni». Un «no» secco, che si accompagna allo scetticismo di D'Alema: «Non è una que- stione che riguarda il governo», taglia corto il premier. E a chi gli chiede se davvero in Italia c'è un clima di restaurazione, D'Alema risponde: «Dobbiamo guardare con animo sereno al passato, anche potendo valutarne i meriti. Io non sono mai stato giustizialista, non ho mai infierito contro le persone, non ho mai avuto una visione manichea della storia d'Italia. Ma chi ritenga di riprodurre oggi le forme del passato si illude. Giudicare serenamente è giusto, ma il passato è passato». Il segretario deiDs Walter Veltroni ieri mattina all'inaugurazione della nuova sede della sinistra giovanile in via del Corso

Luoghi citati: Hammamet, Italia, Roma, Tunisi