Colombia, nel libero narcostato dove governano i guerriglieri di Mimmo Candito

Colombia, nel libero narcostato dove governano i guerriglieri SPARI E N!O0ZÌAH3ÀLL'OMBRA DEL REGNO DELLA COCA Colombia, nel libero narcostato dove governano i guerriglieri reportage Mimmo Candito inviato a URjBE_ FA puro freddo, qui in montagna, un freddo bagnato fin dentro lo ossa, e il Che Guevara, per favore, lasciamolo perdere. Si, certo, la solva che in queste forre colombiane ti sta addosso, e ti soffoca, fìtta, scura, potrebbe anche essere un pezzo di quella Bolivia dóve 30 anni fu Fi Comandante tentò d'accendere la rivoluzione continentale. Anche le facce della gente; che gira qui attorno potrebbero sembrare quelle dei «ehicos» cubani che in quei giorni lontani seguivano il Ohe, con le stesso tute mimetiche, gli scarponi infangati, le lunghe barbe radi;, i cappellacci che colano rivoli d'acqua. Hanno pure la tosse secca di chi - «es la loca humedad, sehor» - s'è preso l'infreddatura e non riesce a liberarsene. Ma poi, tutto finisce lì. Chi parla della guerriglia colombiana come d'una ripresa del guevarìsmo e meglio che vada a studiarsi un po' di libri; la rivoluzione qui è finita da un pezzo, sta soltanto nel nome di questi guerriglieri (sono le l'are, Fuerzas Annadas Kevolucionàrias de Colombia) che sono quanto un esercito e come un esercito si muovono. Dei soldati regolari colombiani gli mancano soltanto i tank e gli aerei, però qui vanno e vengono come so no fossero i vig; ' urbani, sicuri, tranquilli, «Somos el ejército del pueblo», spiega un ragazzo col fucile appeso al braccio. Il guerrigliero-pizzardone si chiama Lope e quello è un Kalashnikov cinese che pare tenuto in perfetto ordine, pulito, lucido di grasso, i caricatori appiccicati a coppia con larghi giri di scotch grigio. «Noi vinciamo, sehor», e se ni; va sorridendo con i denti bianchi. Ma la rivoluzione c'entra poco. Urine è il culo nero del mondo, un posto chi; se hai la «avionota» ci arrivi in pochi minuti da Bogotà, ma se vuoi andarci in macchina devi allora calcolare una mozza giornata e con lunghe tirate a piedi dentro il fango. Però questo Uribo inzuppato d'acqua e perduto dentro la selva, se Cuba ò «el primer territorio libre di America», questo Uribe ne e «el socundo». (Hi accordi di un anno fa con il presidente Pastrano hanno consentito che un largo pezzo dèlia Colombia orientalo - 45.000 chilometri quadrati, qualcosa in più dell'intera Svizzera - venga dichiarato «area di distensioni!», cioè un posto dove l'esercito non deve metterci il naso. E le Fare, che qui già comandavano, ora ne sono anche un governo (quasi ufficiale. Uribe e il «municipio» dove domenica scorsa è riproso il negoziato, con tanto d'inno rivoluzionario, la bandiera colombiana, i guerriglieri chi; controllavano nervosi ogni movimento come fanno i commandos dei film americani, e anche con un sacco di gente arrivata da ogni parte «a vedere la pace». La pace però è una storia assai più lunga d'una tornata d'incontri ufficiali, con i discorsi al microfono e i fotografi che scattano i flash; l'altro io-ri, a Bogotà, Alvaro Camacho, che è uno di quelli che più sanno delle Fare e della guerra intorna che la Colombia combatti! da 35 anni, lo diceva chiaro: «Por la pace ci vogliono unni. Non spargiamo speranze che non possono realizzarsi». Uribe comunque conserva àncora qualcosa della festa di domenica scorsa, con un paio di bandierine rimaste appese sugli alberi e le strade sfangate dalla troppa gente che ci camminava. Il «municipio» avrà un miglia 10 d'anime, e quattro incroci di vecchie case di legno cui il tempo hu anche tolto ogni ombra di colore. La sua sola modernità sono due telefoni, che funzionano calando possono, più l'elettricità che arriva per qualche ora la notte. «Siamo gente povera», dice Jorge Monterò, che fa il contadino e gli mancano almeno tre denti. Ha le mani dure di chi lavora la terra, dure e nodose, e se gli chiedi quanti anni ha risponde «trentanove» con la sua bocca sdentata, ma ne dimostra 11 doppio. La Colombia ha fattorie da 5 milioni di ettari, e poi ha anche i piccoli pezzi di terra misera dove i Monterò si rompono le mani; lo squilibrio spiega molte cose di questa lunga guerra. Però Manuel Marulanda, il capo delle Fare, che affettuosamente lo chiamano "Tirofijo", più d che con l'utopia rivoluzionaria del Che bisognerebbe spartirlo con Pancho Villa. 0 comunque con Villa e con Stalin. li' un contadino che la violènza ha trasformato in guerrigliero, e tutta* via la sua storia, la suu vitu, la sua stessa larga faccia, continuano a essere fatto di terra. Moritz Aekerman, un imprenditore fortemente impegnato nel processo di pace o che conosci; bone Manilanda, lo spiega in due purole: «"Tirofijo" è lu mescolanza ben riuscita d'un riformatore contadino e d'un comunista». Nel tempo nuovo della globalizzazione, quando anche Mareos parla di multinazionali e d'integrazione economica, rimettere in corsa i baffoni di "Pancho" o del "piccolo padre" russo sembra antiquariato fuori moda; ma chi arriva a Uribe e nelle sue montagne aspre, la tona infangala, le case che scricchiolano di stanchezza, capisce subito che qui certe spiegazioni sono la sola verità possibile. Marulanda, e i suoi cinque comandanti dell'listado Mayor Central, sanno però bone che la terra non basta a smuovere un progetto guerrigliero, e allora il piano di pacificazione che hanno cominciato a discutere con il governo ha 12 solidi punti di rivendicazione: giustizia sociale, diritti umani, redistribuzione del latifondo, lotta alla corruzione, riforma dello Stato ecc. E' un manifesto ambizioso, ma la visione che l'Estado Mayor ha del futuro rosta legata alla terra, con un ancoraggio psicologico che motiva la loro estraneità alla dimensiono della guerriglia urbana. A Bogotà, Cali, Medellin, le Fare ci arrivano comunque attraverso il reinvestimento delle loro risorso finanziarie. Un documento riservato del governo cataloga la loro presenza in negozi, società d'assicurazione, imprese d'allevamento, stazioni di benzina, perfino nelle banche. Non sarà tutto vero, il Comité che insegue le finanze della "subversión" 6 fatto di gente che i guerriglieri li combatte e non solo li studia; però le Fare maneggiano un budget annuale che supera il miliardo di dollari. Il Comité attacca: «Ma quale rivoluziono, questi sono solo narco(guerrigliori)». Fino agli ultimi Anni Ottanta, a dargli una mano ci pensavano l'Urss e Cuba, almeno por le armi e buona parte delle entrate. Poi l'Urss scoppiò e Cuba aveva altri guai da grattarsi; e il piccolo esercito guerrigliero passò decisamente a rivedere il piano di finanziamento. Accanto alla «tassa» di protezione fatta pagare a chi poteva, nei territori controllati dalle Fare, si allargarono le altre due fonti d'entrata: il riscatto dei sequestri, o «el impuesto» chiesto ai produttori di foglie di coca per non disturbarli nei traffici della foresta (coltivazioni, trasformazione in cocaina, le spedizioni da piccolo piste aeree nella selva). Ne scaturisce un fiume di pesos, che consente di pagare ai guerriglieri un soldo che va dai 250 ai 1000 dollari al mese. Queste cifre, un giovane campesino nemmeno se le sogna; il reclutamento così si allarga rapidamente, e ormai le Fare controllano il territorio operando con 15.000 combattenti su 78 fronti (ma combattenti davvero, gente addestrata, che batte sonoramente i soldatini di leva mandati quassù). Spiegava a Bogotà Angel Bocassino: «Sostituiscono lo Stato, nel senso che dettano la giustizia tra gli abitanti della zona, e impongono anche un certo ordine. La prostituzione è vietata, è anche vietato ubriacarsi». E' la morale rivoluzionaria. E l'esercito, quando veniva qua, diventava agli occhi dei poveri «campesinos» un esercito invasore. La morale rivoluzionaria è anche contro il narcotraffico. Una decina d'anni fa da queste terre passava solo il 5% della coca che girava per il mondo; ora, dice la Dea, siamo a «più del 70 per cento». La durezza dell'intervento americano in Perù e Bolivia ha spostato la produzione quassù: e più cresce questa, più soldi hanno le Fare. «Ma è una tassa d'uso», spiega Alfredo Rangel Suàrez, economista e «farcologo». E nel negoziato che Marulanda ha aperto con Pastrana uno dei punti principali dice: dateci un pezzo di territorio e i soldi per pagare i contadini, e vi dimostreremo come sia possibile sostituire «el cultivo ilicito» con altre produzioni. «Déme piata y 10 anos, y yo erradico», offre Marulanda. L'Onu già pare d'accordo con il progetto, l'intoppo è la gestione dei fondi. E si capisce. Dietro il piano antidroga passa in realtà il vero progetto politico delle Fare: che non è il Che e la rivoluzione, ma piuttosto la gestione similstatale di una parte della Colombia. D Che in Bohvia lo ammazzarono, Marulanda qui è invece arrivato a 72 anni in buona salute e mette gli occhiali soltanto per leggere. I 12 punti da discutere («ci vorranno anni») disegnano uno Stato giusto, solidale, equo nella distribuzione; però l'obiettivo di fondo non è la impossibile «Revolución» ma una larga autonomia territoriale, un accordo di pace alla pari tra governo centrale e federazione guerrigliera. Il riconoscimento, insomma, di una realtà di fatto. Come un'altra Olp. Quassù, nella selva, continua a far freddo, e piove sempre; e la pace è storia lontana. Ma intanto, nell'incontro di domenica scorsa, il rappresentante del governo ha parlato di «trattato», non di «accordo». Quel pomeriggio, quando Victor Ricardo ha letto quella parola, nella piccola folla raccolta sotto il palco del campo di Uribe è passata una scossa: i «trattati» si firmano tra gli Stati, la cobelligeranza era la legittimazione che anche le Br chiedevano. Qualcosa si va muovendo, dunque. Pastrana la vorrebbe davvero la pace, e alla fine anche i guerriglieri. Mentre a Uribe si leggevano i discorsi d'avvio del negoziato, in tutta la Colombia un intero popolo di 12 milioni marciava gridando «Pazl Pazl». L'eco arrivava fin quassù, nella selva, dove anche si sa bene come gli americani stiano addestrando due battaglioni antiguerriglia, ma soldati veri, non i soldatini che finora venivano qui a farsi ammazzare. La guerriglia ha orecchie attente, si muove bene; sa che i tempi cambiano. Ha anche una sua rivista in carta patinata, «Resistencia» si chiama, e perfino un sito Internet: «ann.col@swipnet.se». Provare per credere. Ma il Che, per favore, lasciamo perdere. Diceva don Tomàs, il parroco di Uribe: «Qui dovrebbero reinventare il vocabolario. Per i guerriglieri, "pace" e "democrazia" significano fare quello che vogliono; per il governo, "pace" è far tacerà le armi. Ma nessuno si sforza di correggere i mali di questo Paese». Gli accordi prevedono un'area più grande della Svizzera in cui il potere centrale ha di fatto abdicato Un manifesto in 12 punti per una pace definitiva I negoziatori delle Fare all'arrivo a Uribe, domenica scorsa