Craxi; torno a queste condizioni di Guido Tiberga

Craxi; torno a queste condizioni Il figlio Bobo da Berlusconi e Andreotti: «Bisogna poter parlare senza rischi, come in Sud Africa dopo l'apartheid» Craxi; torno a queste condizioni «Ci vuole una commissione d'inchiesta» Guido Tiberga ROMA «Ci deve essere una via di mezzo tra andare in galera e starsene al governo in silenzio...». Bobo Craxi, tra una visita annunciata a Giulio Andreotti e una non prevista a Silvio Berlusconi, manda un messaggio neppure troppo cifrato a chi un tempo stava a Botteghe Oscure e ora siede nel salotto buono di Palazzo Chigi. Ma perché le verità («Tutte le verità, pure quelle che riguardano chi prendeva i soldi dall'Urss») vengano a galla, attacca il figlio dell'ex leader socialista, occorre «congelare le responsabilità giuridiche» e affidarsi a «una commissione d'inchiesta che consenta a tutti di guardarsi dentro senza rischi. Come in Sud Africa, dove alla caduta dell'apartheid si sono formate commissioni in cui si è confessato l'inconfessabile. E dove a nessuno è stata tolta la libertà...». Questa, scandisce Bobo, «è la prima tappa obbligatoria» perché si possa parlare di un ritorno di Bettino Craxi in Italia. Sembra quasi che Hammamet detti le condizioni. Craxi, giurano i suoi familiari, non è in condizione di parlare con nessuno. Però, tramite il figlio, manda a dire che non ha intenzione di seguire «scorciatoie burocratiche o pietistiche», né tantomeno «di chiedere assoluzioni per una storia politica che non ha alcun bisogno di essere assolta da nessuno.». E' di questo, al di là dei convenevoli con Andreotti e Berlusconi («un vecchio amico di mio padre»), che Bobo Craxi è venuto a parlare in Italia. «Si doveva dimostrare - ha detto in mattinata ad Andreotti - che l'Italia era governata da una banda di criminali, in un sistema criminale che giustificava qualunque mezzo per essere abbattuto: dal giustizialismo, al Kgb, fino ai "compagni che sbagliano"...». A Berlusconi, in serata, ha chiesto appoggio. La risposta del Cavaliere? «Ha mostrato interesse per la commissione d'inchiesta - dice il figlio dell'ex segretario del Psi -. Spero che si arrivi a qualcosa di concreto entro la fine della legislatura. E spero che l'opposizione capisca che l'obiettivo della commissione non è la vendetta, ma la verità. Il maccartismo che ho visto all'uscita delle liste del Kgb non mi è piaciuto affatto...». Le dichiarazioni di Gerardo D'Ambrosio («Su una cosa Craxi aveva ragione, i soldi li hanno presi tutti i partiti...»), peraltro smussate dalla frenala di ieri, sono accolte dalla famiglia Craxi come «un'operazione revisionista degli epigoni di Mani pulite». Quelle di Achille Occhetto, pure loro largamente «precisate» in giornata, sono un «riconoscimento importante per uno che stava dall'altra parte». Le frizioni esplose ieri alla Camera, con una parte della maggioranza pronta a pun- tare i piedi davanti al «tutti colpevoli, tutti innocenti», non sono altro che «la prova provata che la classe politica, proprio come nel '92, è in ritardo rispetto all'opinione pubblica, che certe cose le ha capite da tempo...». L'ira di Antonio Di Pietro? «Mi pare sconvolgente che in un Paese civile un ex magistrato usi nel dibattito politico i documenti raccolti nelle sue inchieste - dice ancora Bobo Craxi -. Ma non era stato lui, a chiedere una commissione d'inchiesta? Evidentemente intendeva una commissione incaricata solfi di beatificare lui e l'intera storia di Mani pulite. Ora che si accorge che non è così, tira fuori questo atteggiamento da terrorista...». Di Pietro, per l'intera giornata, aveva ribadito la sua posizione sul caso Craxi: nessun favoritismo, nessuna scorciatoia, nessun tentativo di trasformare in vittima un condannato in via definitiva. «Io la verità me la ricordo come se fosse scolpita nella pietra - avverte il senatore dei Democratici -. Le carte di Bettino Craxi le conosco a menadito, conti in Svizzera compresi. Non ho dimenticato la verità, e se occorre la ricorderò a tutti: le tangenti non andavano ai partiti, andavano a persone che, in nome e per conto dei partiti, innanzitutto si mettevano i soldi in tasca. Oualcuno, poi, li dava anche ai partiti. Ma dire che le tangenti servivano per finanziare la politica è un modo per nascondere la realtà». L'ex pm non si trattiene dal tirare una stoccata a D'Alema: «Se è vero che si è detto disponibile al rientro di Craxi in Italia, il premier ha sbagliato due volte dice nel pomeriggio dai microfoni di ima radio - intanto non è il governo che dev'essere d'accordo. E poi perché non spetta né all'esecutivo né al presidente del Consiglio ingenerare un clima di buonismo e sbracamento nei confronti di chi è stato punito per aver commesso reati e che oggi vuole trasformare le sue condizioni in atti di cui andare fieri...». «Il sen. Di Pietro ha modi da terrorista. Sconvolgente che un ex magistrato usi nel dibattito politico carte raccolte nelle inchieste» L'expm dell Asinelio «Ricordo la verità: le tangenti non andavano ai partiti ma a persone che innanzitutto si mettevano i soldi in tasca» Il figlio dell'ex premier Bobo Craxi, ieri a Roma

Luoghi citati: Italia, Roma, Sud Africa, Svizzera, Urss