De la Rua, una vittoria avvelenata

De la Rua, una vittoria avvelenata Menem ha brindato a champagne con Maradona, nel 2003 proverà a riprendersi la Casa Rosada De la Rua, una vittoria avvelenata Dovrà convivere con ilpotereperonista inviato a BUENOS AIRES L'altra notte, mentre Menem sdraiato nel divano a fiori della residenza de Los Olivos, piedi allungati sul tavolino di marmo, si guardava in tv la sconfitta di Duhalde e brindava a champagne con il suo amico Diego Maradona, il neopresidente De la Rùa andava dicendo agli argentini che facevano festa nell'avenida de Julio: "Vi restituisco la dignità, vi prometto la trasparenza". Ognuno festeggia come meglio gli pare, ma due Argentine c'erano e due Argentine restano, anche dopo il voto di una domenica primaverile di tanto sole e di tante speranze. Solo che il tempo ora le ha cambiate dentro. Un'Argentina è questa di De la Rùa, che è omogenea socialmente più che nelle scelte politiche, un po' moderata, un po' progressista, anche un bel po' conservatrice, ma affaticata soprattutto dal deterioramento dei valori che sempre hanno segnato l'identità di questo paese di classe media: il lavoro come investimento, la sicurezza delle prospettive, la garanzia d'un futuro. Quest'Argentina ha dato a De la Rùa il 50 per cento dei voti, più un altro 10 per cento che ha destinato a Cavallo, cioè all'inventore del piano che annullò l'iperinflazione. L'altra Argentina è assai meno complicata. Quel 35 per cento di voti dati a Duhalde sono tutta l'anima del peronismo; certo, dentro ci sono anche altre frangie, legate a interessi localistici, a traffici non sempre chiari, a un controllo clientelare del territorio. Ma quello che conta è lo zoccolo duro del peronismo, i fedeli "hasta la muerte". che stanno tutti lì; e mai nella storia del peronismo s'era arrivati a un simile tracollo. In questa caduta c'entra di sicuro la voglia del cambio come per Giscard d'Estaing dopo tanto tempo al potere, come per la Thatcher, come per Felipe Gonzàlez. Ma c'è anche dell'altro, la corruzione anzitutto, il disgusto per le lite interne al partito, e però anche la fine progressiva di un progetto politico cui il tempo è andato togliendo fascino e credibilità. Qualche anno fa una sera, in un caffè di avenida Corrientes, Osvaldo Soriano mi raccontava della sua militanza peronista. «E' la stessa storia di quando scegli una squadra - diceva - che poi fai sempre il tifo per quella maglia anche se la squadra diventa qno schifo. Qui non c'è molto da scegliere: o il Boca o il Racing, o i peronisti o i radicali». Soriano beveva un cappucci¬ no, e guardava la pioggia fuori dai vetri. «Alla fine t'accontenti» diceva. Era appena tornato dall'esilio francese e l'Argentina crollava sotto un'inflazione che imponeva di cambiare i prezzi due volte al giorno. Faceva freddo, lui beveva e digrignava i denti. «Certo che sono peronista, ma quel "boludo" di Peròn non c'entra per niente». Voleva dire che non bisogna equivocarsi, che il peronismo è anche una faccenda di maglia. "Soriano % morto, Vv oggi la maglia fatica a tenere la fedeltà. Dice, Rosendo Fraga, un intellettuale alla muda, direttore del Centro de Estudios: «Guardi che non c'è da stupirsene, stiamo semplicemente assistendo a un adeguamento del sistema politico alla società, cioè al costume e all'economia». La politica argentina era in ritardo, si aggiorna. Forse Soriano non sarebbe stato d'accordo, lui parlava di sentimenti e di emozioni; ma l'Argentina di oggi si mostra più concreta di quella che lui si teneva dentro da eterno esule, è diventata anche più pragmatica. La chiamano modernizzazione. «E' finito il tempo dei sogni», ha detto de la Rùa silbito dop"o essere stato eletto. Qui si è ancora "peronista'' per essere fedeli a uria memoria, a un sogno sognato, a un progetto di riscatto fideistico, non per credere a quanto vanno raccontando oggi i politici peronisti. Fraga darebbe ragione a Soriano: «Peròn è morto due volte, non una. Una è quella del '74, la morte naturale. Ma la seconda è questa di Menem, che lo ha ammazzalo nei suoi dieci anni di potere, dall'89 a oggi». Oggi la professione di peronismo è una confusa mescolanza di slogan e di desideri, dentro la quale può star di tutto, populismo e liberalismo, iniziativa privala e controllo "Statale, autoritarismo e progressismo. Ma siccome il peronismo è una maglia ("una " fède* diérJho i tifosi), che ci sia il sistema, il catemaccio, o la difesa a uomo, alla fine per molti non fa differenza. Lo dice anche il sociologo Mora y Araujo: «Qui i nomi sono puri accidenti, identificano miti più che idee: e se fai politica, sei obbligato a prendere quello che c'è. Sennò, come potresti credere che uno si dica ancora oggi peronista e poi abbia in casa il satellite, la Britannica in ed, e usi l'e-mail e l'internet». Solo che 1'"adeguamento" del quale parlava Fraga va distruggendo anche il vecchio legame di fede. E a leggere i progranni di De La Rua e di Duhalde non si trovavano grandi diversità, a parte la "nttglia" che ciascuno dei due indossava. Ora tocca a De la Rùa, e la realtà che lui deve affrontare è il 15 per cento di disoccupati, il 35 per cento di poveri, il 42 per cento di lavoratori in nero. Sono cifre drammatiche, che impongono misure severe di austerità e di controllo della spesa. Ma, per la prima volta nella storia politica argentina, il Presidente dovrà "coabitare" con una struttura di potere che è ancora quella del passato: due terzi dei governatori sono peronisti, è peronista il Senato, è peronista gran parte della Camera, sono peronisti 5 giudici su 9 nella Corte Suprema. E nella notte, a sopresa, i peronisti hanno riconquistato la Provincia di Buenos Aires, anima e cuore del popolo più fedele al Peròn-mito. De la Rùa ha vinto ma Menem ieri brindava a champagne, e si preparava a tornare alla Casa Rosada nel 2U03. Non sarà facile, le due Argentine che domenica ha lasciato in eredità hanno poco a che fare con il tempo dei caudillos. Però intanto Menem prepara al neopresidente un campo di sabbie mobili: ha restituito ai potentissimi sindacati, arma di sempre del peronismo, il loro immenso patrimonio di "obras sociales", ed è lì che ricatta il nuovo governo, se questo non patteggiasse con lui. Alfonsln lo buttarono giù proprio i sindacati: arrivò l'inflazione che cambiava i prezzi due volte al giorno. Osvaldo Soriano, a quel tempo, si beveva il cappuccino e ricordava sogni di ragazzo nella pampa humeda; e Peròn era un fantasma ancora vivo. Domenica, Peròn hanno comincialo a seppellirlo. Ma il 2003 ò lontano, pensava ieri Menem. E faceva cin-cin col suo amico Maradona. wmm. A sinistra una sostenitrice del nuovo presidente De la Rua esulta a Buenos Aires dopo la vittoria del suo candidato Il nuovo presidente argentino Fernando De la Rua

Luoghi citati: Argentina, Buenos Aires