E il terzo giorno Giulio si vendicò di Francesco La Licata

E il terzo giorno Giulio si vendicò MIA DIFESA DELLA MAGISTRATURA ALLE POLEMICHE E il terzo giorno Giulio si vendicò «Anche un analfabeta capirebbe di chi parlavo» retroscena Francesco La Licata ROMA U! NA metamorfosi, lenta quanto sapiente, sembra accompagnare Giulio Andreotti in un cammino che lo sta riportando al vecchio ruolo del «più democristiano dei democristiani». Dal «ringrazio Dio» al colpo di scena sul «suggeritore» che scompagina il già labile assetto politico. Tre giorni, soltanto tre giorni gli sono bastati per staccarlo via via dall'immagine di uomo provato dalle intemperie e farlo approdare alla più congeniale identità di «cavallo di razza» che si appresta a regolare, non solo a titolo personale, i conti vecchi e nuovi - con quelli che ritiene causa della segregazione per via giudiziaria. E lo fa con la sua usuale tecnica di astuto regista, imbattibile nel «detto e non detto» e nella utilizzazione della sagacia. Sparge sassolini, fuorusciti dalla proverbiale scarpa, ben consapevole di quali saranno le conseguenze politiche. Aveva cominciato accreditandosi come uomo che, sebbene offeso e sofferente, nel momento in cui riceve la sentenza liberatoria pensa soltanto a portarsi la mano in fronte per «ringraziare Iddio». Un gesto da persona comune, indirizzato ai milioni di cittadini comuni che hanno seguito le sue vicende. Un gesto teso a catturare consensi, simile al ringraziamento pubblico riservato ai suoi avvocati, ai quali ha detto in diretta tv «vi devo molto», incassando la risposta - sempre in diretta tv - di Giulia Bongiorno: «Non ci deve nulla, perché lei è innocente». Fino alla fine, quando il Tribunale è entrato in camera di consiglio, il Presidente non si è lasciato sfuggire una sola parola di troppo. Ha rimarcato l'«assoluta fiducia nei giudici di Palermo», ha glissato sulla possibilità di «un complotto» nei suoi confronti, semmai una qualche ammissione sull'esistenza di un «suggeritore». Am¬ che si distingueva nel mare di parole in libertà e senza logica, come quelle che chiedevano l'assoluzione generale di tutti gli inquisiti attuali e futuri o che promettevano «tremende rappresaglie». Al terzo giorno, il cambiamento. Lancia un primo sassolino quando annuncia di voler deferire al Csm il giudice Mario Almerighi, accusandolo di aver reso una falsa testimonianza nel processo di Palermo. Ma il sasso che smuove lo stagno è il riferimento al «suggeritore», scagliato durante una intervista a Radio 24. Andreotti, in fondo, non fa che confermare quanto ha sempre sostenuto. L'idea che vi fosse stato qualche abile manovratore alla base del suo processo, non è nuova. Il momento, però, trasforma il sassolino in una valanga. Si scatena così il «totosuggeritore» c per tutta la giornata «ballano» i nomi di Luciano Violante e del prefetto Gianni De Gennaro. Il senatore non entra nel gioco ed offre solo spunti per un gioco di interpretazioni. De Gennaro? «Di lui ho solo un gentile ricordo. Il giorno dopo che si seppe della richiesta della Procura di Palermo nei miei confronti, De Gennaro mi venne a trovare a casa, dopo che era venuto anche il capo della polizia Vincenzo Parisi». Ciò non basta per far cessare il tiro al bersaglio sul prefetto da parte di chi finge di non sapere che l'entrata in campo di De Gennaro è successiva di qualche anno, per esempio, alla «confidenza» su Andreotti che Buscetta fece agli investigatori americani Martin e Petrucci. E' Violante? Andreotti al mattino dice che al presidente della Camera deve «un solo rimprovero». Gli chiese se voleva essere ascoltato dalla Commissione Antimafia che lui presiedeva: «Ma sto ancora aspettando e per me è un grande rammarico. Tutto il resto lo archivio nella memoria». Invece non sembra aver archiviato, visto che a sera, partecipando alla trasmissione di Bruno Vespa, ha ripetuto il concetto della mattina, ma con un tono che suona come un'ammissione sul nome di Luciano Violante. E' un politico che ha usato uno strumento giudiziario? E lui: «Non lo so», ma ripete la storia della mancata convocazione di Violante. Vespa lo incalza chiedendogli se sta stabilendo un nesso tra la Commissione Antimafia e il processo di Palermo. «Anche un analfabeta se ne sarebbe accorto» è la risposta non più evasiva di Andreotti. Poi, senza citare né Violante né Caselli, li punta dicendo: «Quando si incontrano il fondamentalismo cattolico e quello comunista, ci guardi Iddio». Cosa ci riserva, il senatore dopo questi tre spettacolari «giorni del condor»? Una sola accusa specifica «Mi chiese se volevo essere ascoltato dalla Antimafia che presiedeva Ma sto ancora aspettando la convocazione» In serata a «Porta a porta» altra pesante allusione al collegamento tra i lavori della Commissione e il processo missione vaga, sempre accostata ad un'altra costante: il ruolo «degli americani» nella sua vicenda. Questo fino al giorno della sentenza, quando - stupendo un po' tutti - ha preso le distanze dai suoi non richiesti difensori invocando il mantenimento della legge sui pentiti, «strumento utile per la lotta contro la mafia». Il secondo giorno, domenica, abbiamo visto Andreotti a messa, altro caposaldo del suo personaggio. E già che stava in chiesa, luogo di perdono e di misericordia, ha sentito la necessità di invitare la politica «a non delegittimare la magistratura». Scelta davvero sapiente.

Luoghi citati: Palermo, Roma