Il futuro dell'Argentina si chiama de la Rùa di Mimmo Candito
Il futuro dell'Argentina si chiama de la Rùa Addio al peronismo, i sondaggi dicono: incolmabile vantaggio dell'ex sindaco di Buenos Aires Il futuro dell'Argentina si chiama de la Rùa Successore di Menem è il leader del centrosinistra Mimmo Candito inviato a BUENOS AIRES Con un impressionante verdetto di condanna (35 per cento dei voti, mai così pochi) l'Argentina ieri ha respinto al margine della storia nazionale il peronismo e ha scelto il nuovo Presidente (55 per cento). 11 successore di Menem si chiama Fernando de la Rùa, ha 62 anni, era il sindaco di Buenos Aires, e ha guidato una «Alianza» tra il più vecchio partito della storia politica argentina, l'Union Civica Radicai e il Frepaso, un fronte di centrosinistra, nel quale militano cx-peronisti, socialisti, democristiani. Domingo Cavallo, con una terza lista, ha avuto 1' 11 per cento delle preferenze e si prepara «a controllare il governo». La sconfitta peronista non è soltanto la batosta presa dal suo candidato Eduardo Duhalde ma ha una dimensione storica, drammatica, perché, per la prima volta, perde anche il serbatoio naturale dei voti più fedeli e più leali, la grande Provincia di Buenos Aires, dove la candidata del Frepaso, Graciela Meijides diventa il nuovo governatore. «E' finito il tempo del sogno», ha commentato de la Rùa. Voleva dire che l'Argentina ha abbandonato la sua lunga rincorsa al mito e ora si misura con la realtà. Il risultato segna comunque la fino di un'epoca, quella del menemismo, che aveva recuperato l'Argentina dalla crisi dell'89 con l'inflazione al 2000 per cento, ma non è riuscito poi a risolvere il grave problema della disoccupazione (16 per cento) né i pesanti squilibri sociali (i poveri sono il 35 per cento della popolazione). Menem, che ignora l'understatemcnt, ieri aveva chiuso la porta dicendo: «La mia è stata la più grande presidenza di questo Paese». Lo aspetta il giudizio della Storia, forse anche il giudizio dei tribunali. Non è detto che concordinoconlui. ., Ma queste éranoelezioni storiche comunque, indipendentemente dal risultato, Quaggiù/in America Latina, e dovunque, dal Venezuela al Brasile, al Cile, alla Bolivia, troppo spesso il corso costituzionale della politica ha dovuto intrecciarsi con le ambizioni golpiste dei generali (o dfcoloro che stavano dietro i generali: latifondisti, «caciques» locali, corporazioni conservatrici, masse affascinate dal populismo autoritario). Anche qui in Argentina, naturalmente. E il valore della eccezionalità del voto di ieri sta in un numero semplice e drammatico: il 4. Mai, nella storia di questo Paese, si era votato per quattro elezioni consecutive. La Storia non è soltanto quella che si scrive nei libri, è anche la vita qualunque degli uomini senza storia. «Sono felice», diceva ieri con un sorriso per nulla ufficiale Alberto Quintero, presidente del seggio 3115,47 anni di età, baffi e capelli ingrigiti. «Nella mia vita, sono più gli anni che ho dovuto passare sotto la dittatura, che non quelli di democrazia. Non lo dimentico». Quintero si era poi abbottonato la sua giacchetta di tweed, si era sporto in avanti dal tavolo dell'ur- na, e sottovoce, quasi all'orecchio del reporter, aveva sussurato alre due parole. «Non dimentico nemmeno i miei molti amici che oggi sarebbero potuti essere qui, e ono "desaparecidos"». Non c'era etorica, quelle parole pronunciae con pudore raccontavano solanto la cronaca amara d'un tempo che pare lontano ed è solo 'altro ieri. L'Argentina di oggi è ora un Paese costizionalmente ranquillo, i soldati se ne stanno n caserma, nessuno ha temuto che un cambio di governo minacciasse la pace sociale. E non un solo peso era stato ritirato dalle banche e spedito in Usa o in Svizzera. Finiva ieri la transizione democratica di questo Paese. Ma finiva anche perché il peronismo conclude un mandato presidenziale preparandosi a consegnare la fascia al candidato dell'opposizione. E anche questa è un'assouta novità, dopo i golpe di Lonardi nel '55 e di Videla nel '76. Finora i militari ci si erano messi di mezzo, e invece questa volta ne^gtuxCilia|roYaJ.pjMricolosomriniaginare un cambio d'inquilino alla Casa Rosada. Si chiude davvero un'epoca, quella dei caudillos chiamati a salvare la Patria,' i leader forti, autoritari, che mescolavano populismo e dittatura: De la Rùa sembra un quieto impiegato del Comune di Buenos Aires (anche se ne era il sindaco), e lo stesso Duhalde non ha più fascino incantatore dell'avvocato che vuole tornare a essere. Lo scrittore Julio Barbaro ieri sera sorrideva malizioso, pensando all'autunno del caudullismo: «Gli psicoanalisti che affollano questa città direbbero che l'Argentina ha superato finalmente il suo complesso edipico». Si prepara comunque un tempo non facile. Il presidente eletto deve fare i conti con una struttura politico-istituzionale ampiamente dominata dal peronismo: sono peronisti 16 governatori su 21, è peronista il Senato, è peronista un'ampia quota della Camera, sono peronisti 5 giudici su 9 nella Corte Suprema. La coabitazione imporrà stili e comportamenti che qui non sono usuali. «Dovrà crearsi e affermarsi la cultura del negoziato», diceva ieri il sociologo Mora y Araujo. Ma sarà un proces¬ so ancora lungo, l'occupazione del potere da parte del peronismo - e la complessità e l'articolazione delle sue componenti ideologiche - lo fanno assomigliare alla storia e alla deriva della De da noi (il peronismo fa anche parte dell'Internazionale democristiana). Anche qui la balena tarderà a morire, ma un tempo comunque è finito. Diceva ieri il sociologo Luis Alberto Quevedo: «La gente aveva bisogno di un cambio. Ora chiede non soltanto meno corruzione, ma anche il castigo». Mani Pulite arriva a Buenos Aires. Il voto del nuovo presidente Fernando de la Rua, 62 anni, ex sindaco di Buenos Aires, in un seggio della capitale argentina
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