L'inesorabilità del «golpe» di Filippo Ceccarelli

L'inesorabilità del «golpe» IIBMAZZO L'inesorabilità del «golpe» Filippo Ceccarelli F |U vero golpe? Ai [viventi le più facili e contraddittorie risposte. Sì, fu golpe. No, non fu golpe. Forse sì, forse no. «Golpista!». «Golpista tu!». E via così, all'infinito, golpe su golpe, putsch dopo putsch, colpo di stato dietro colpo di stato. Ci si poteva caricare l'orologio, una volta uscita la sentenza Andreotti. E infatti: «Chiederemo conto del colpo di stato giudiziario — ha promesso Buttiglione — che ha terremotato la politica italiana». Il professore è uno specialista in rilanci mediatici e qualificativi. Si badi all'aggettivo «giudiziario». Nei primi mesi del 1995 Buttiglione fu altrettanto lesto a denunciare il rischio di un golpe «bianco» se — come reclamava il Polo — fossero state anticipate le elezioni. Allora si trattava di profilassi antigolpistica; dopo il verdetto palermitano di golpismo postumo. Comunque sempre colpo di stato è. Naturalmente Buttiglione esagera, però la questione trascende le sue stesse esagerazioni. La smania golpistica '•— evocazione più o meno metaforica — è parte della cultura politica italiana. O meglio: ne conferma e ne raffigura l'impotente e generalizzata sgangheratezza. Se si esclude Gianfranco Fini, che una volta ha confessato di provare fastidio per la parola, non c'è leader e non c'è partitino che negli ultimi sette-otto anni non abbia richiamato almeno una volta il colpo di stato. Senza rendersi conto che tale ansiogeno richiamo suscita, o almeno riusciva a suscitare reazioni «estreme». Mentre oggi tende solo a fare titolo sui giornali, e neanche più que Ilo. Bel risultato. Eppure, tornando alla vicenda Andreotti, pochi ricordano che quando questa realmente iniziò, il 19 marzo del 1992, con il cadavere di Salvo Lima, quello stesso giorno le massime autorità dello Stato e tutti gli organi di informazione parlarono di golpe. Era una storia complicata, c'era stata una misteriosa circolare del mi- I coni] I mist nistro dell'Interno Scotti su un oscuro piano di destabilizzazione, di cui aveva parlato un noto pallonaro, in vista della corsa al Quirinale. Eppure, tanto bastò per dare libero sfogo alla più irrealistica, ma non per questo meno gettonata paranoia politica italiana. Tra il golpe del 1992 e quello buttiglioniano di oggi, che pure Si riferisce a ieri, ma non ad allora, insomma, sarà bene ricordare che in mezzo ne sono stati denunciati un'altra mezza dozzina, di vario genere, con una casistica che offende l'intelligenza degli italiani. Dunque, sempre nel 1992 l'operazione «Superga» contro la Lega; poi nel , 1993 il golpe della Donatella Di Rosa (non a caso «Lady Gólpe») e un altro golpetto che prevedeva la bomba al neutrone a Montecitorio e l'assalto di Mig su Saxa Rubra; per non dire dei pericoli golpisti evocati da Occhetto e D'Alema a proposito delle picconate di Cossiga e, in simultanea, del «golpe travestito da rivoluzione» con cui Craxi, che pure arrivò a parlare di un'«operazione Z», intendeva Mani Pulite. Nel 1994, in vista del ribaltone, il colpo di stato diviene monopolio berlusconiano, in polemica con Scalfaro. Mancuso dilata il concetto arrivando a comprendere un'alleanza pdsprocure. Nel 1995 il leghista Manfroi restituisce la nozione alle forze armate, anti-leghiste. Bisogna esser golpe, cioè volpe, per sbigottire i lupi, consigliava Machiavelli. Ma lupi e volpi, qui, se ne vedono ormai pochini. Abbondano gattini ciechi, piuttosto, talpe nevrotiche § e cuccioli da cortile.

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