Berlino, modernità contro nostalgia

Berlino, modernità contro nostalgia E' l'unico capoluogo europeo a incarnare la liberazione dai grandi totalitarismi del secolo Berlino, modernità contro nostalgia Viaggio nel doppio fondo della nuova capitale inchiesta Barbara Spinelli segue dalla prima inviata a BERLINO OUESTO connubio è arduo da decifrare, non tanto per il visitatore occasionale ma per le stesse classi dirigenti tedesche: tutte, in qualche modo, colte di sorpresa dall'evento che fece irruzione nelle singole esistenze, i primi giorni di novembre dell'Ottantanove. Tutte, nella sostanza, impreparate a fronteggiarlo. Eppure l'unificazione tedesca si è fatta: con una rapidità, una grinta, una forza di volontà e di fantasia impressionanti. Eppure la Germania è stata il solo Paese nell'Unione Europea che abbia sentito l'obbligo di abbandonare presto le pigrizie mentali, di smettere le confortanti abitudini ai vocabolari isolazionisti della vecchia Comunità, di escogitare per se stesso un diverso compito e una diversa statura, dopo la caduta del Muro. Mentre Londra si ritirava ancor più negli insulari successi della sua City, mentre Parigi si scopriva d'un tratto sorpassata dalla storia e per certi versi quasi antiquata, obsoleta, mentre Roma si lasciava travolgere dagli interni torbidi del postcattocomunismo, la Repubblica Federale fu costretta a guardare tempestivamente oltre l'ex cortina di ferro, a pensare sia pur stentatamente natura e tracollo del secondo totalitarismo continentale, a conquistare economicamente, culturalmente, quell'Europa occultata che per mezzo secolo era stata con la violenza sequestrata a Est, e arbitrariamente denominata orientale. Impreparate, stupefatte, spesso profondamente infastidite, le élite tedeschi; sono state messe davanti allo spettacolo sgargiante, monumentale, che è stata la mutazione della capitale, e di città e villaggi del retroterra orientale. E' quello che mi dicono a Berlino molti interlocutori: intellettuali che interrogo sulle metamorfosi tedesche ed europee del passato decennio, sulla fine dei totalitarismi, sulla memoria del secolo che Berlino oggi incarna. Fra gli altri interrogo Klaus Hartung, commentatore della caduta del Muro fin dall'89 sul settimanale Die Zeli, e conoscitore raffinato della capitale in mutazione: «E' straordinario quel che hanno fatto i berlinesi in appena dieci anni. La parte occidentale della città ha perso d'un sol colpo le innumerevoli sovvenzioni, cui aveva diritto durante la guerra fredda. La parte orientale ha dovuto rinascere da autentiche rovine, nonostante la fatica la rabbia e i risentimenti che andavano accumulandosi e che tuttora si accumulano. Ambedue - anche Berlino Ovest - erano prigioniere di forme di statalismo socialista: statalismo più o meno esplicito, ma pur sempre statalismo. Ambedue erano vetrine fittizie, perennemente addobbate, e completamente assistite: incapaci di vivere con le proprie forze. Invece la città unificata si è rialzata in piedi, ritrovando le energie e la faccia tosta che ebbe più volte in passato, e perfino negli anni bui del nazismo, quando fu l'unica a opporre qualche resistenza ai nazisti: i nazisti che sempre avevano diffidato di questi prussiani ironici e intrattabili, preferendo loro i più malleabili, più congeniali cittadini di Vienna o Monaco. E Berlino si è rialzata in piedi senza speciali aiuti, senza esser accompagnata nelle proprie tribolazioni». «Non le sono stati accanto né i politici, né i sindacati, e soprattutto non gli intellettuali democratici, non le intellighenzie del postcomunismo, non i giornalisti dell'una come dell'altra parte - continua Hartung -. Neppure le sono stati vicini i protagonisti della rivoluzione dell'89, che avevano sognato una terza via, distinta dalla Repubblica di Bonn. La resurrezione di Berlino è avvenuta malgrado le sue élite, che erano e sono tuttora sprovvedute, spiritualmente oltre che materialmente». E' malgrado le classi dirigenti che Berlino si è tramutata in gigantesco laboratorio dove si va elaborando non solo la ricongiunzione tedesca, ma quello che le tecnocrazie di Bruxelles insistono a chiamare allargamento dell'Europa, ed è in realtà - anch'esso - una storica impresa di riunificazione', un laboratorio come Boriino appunto, in cui architetti e urbanisti inventano la città di questo fine secolo, progettano le forme che assumerà il futuro conversare cittadino, e in simultanea risuscitano gli angoli della vecchia capitale che il comunismo aveva per decenni esecrato, negletto, devastato. Sicché ecco sorgere a Potsdamer Platz le belle torri di Renzo Piano e di Kollhof, o il cristallino ampio complesso Sony di Helmut Jahn; ecco ergersi lungo il fiume Spree la quasi troppo portentosa, troppo solenne e superba cattedrale-cancelleria disegnata da Axel Schulte e Charlotte Frank; ecco la trasparente cupola del Reichstag trasformata in meta di pellegrinaggi turistici. Ma ecco restaurati anche sulla Friedrichstrasse, nel quartiere Mitte a ridosso del Muro abbattuto - le splendide fughe di cortili interni come l'Hackischer Hof, pullulanti all'inizio del secolo di artigiani, piccole botteghe, suoni e voci industriose. C'è tuttavia il doppio fondo meno luminoso, a Berlino. C'è lo spavaldo successo della ricostruzione, ma si nota anche il dilagare simultaneo del risentimento, della collera, e l'ormai radicata, inestirpabile forza della Pds, l'erede del comunista Partito d'Unità Socialista. Il 94 per cento dei tedeschi orientali giudica positivamente la scelta dell'unificazione - una percentuale più alta che nei vecchi lMìider - ma poi si dichiara cronicamente scontenta di quel che ha ottenuto, di come gli ex abitanti della Ddr siano diventati cittadini di seconda classe. Monika Maron, scrittrice dell'Est emigrata ad Amburgo negli Anni Ottanta, mi confida: «Questo è il paradosso di cui soffriamo, in Germania. Il 70 per cento degli orientali ti dice: Personalmente io sto bene, ma l'ex Repubblica Democratica va malissimo". E' come se ti dicessero che praticamente le cose funzionano, ma teoricamente niente affatto: così forte è ancora l'impronta della teoria, dell'ideologia. E questo nonostante l'avvicinamento crescente tra le due popolazioni: la riunificazione progressiva delle mentalità, dei linguaggi, delle scale di valori. Nei primi anni la prosperità economica era l'unico bene che contasse a Est, mentre libertà o tolleranza erano pregi assolutamente secondari. Lo stesso governo Kohl alimentò l'equivoco, promettendo "fiorenti paesaggi" entro tempi irrealisticamente brevi e occultando il prezzo che l'Est europeo doveva e deve pagare per riapprendere la libertà e la responsabilità. Ora i valori liberali tornano in cima alle classifiche - primo fra tutti la tolleranza - e di fatto si scopre quanto il comunismo fosse incompatibi¬ le sia con il benessere, sia con le libertà. Ora gli orientali viaggiano, e la sistematica diffidenza reciproca fra Ossi e Wessi, tra oriundi dell'Est e dell'Ovest, grava sugli umori ma piano piano si stempera». Multi intellettuali con cui parlo, orientali e occidentali, mi mettono in guardia contro locuzioni che diventano luoghi comuni, nei giornali tedeschi ed europei. Locuzioni come il «muro nei cervelli*, che sarebbe sopravvissuto al muro di cemento infranto nell'89. O locuzioni che lamentano la mancata nunificazione interiore», non tanto delle monete quanto delle anime, dei cuori, delle psicologie. Monika Maron si incollerisce, alla sola parola muro nei cervelli: «E' una frase che piace immensamente ai poStcomunisti. I loro slogan ne sono colmi, la Pds se ne nutre, su di essa son costruite le sue fortune. E' una frase perfettamente adatta alla cosiddetta Ostalgie. la nostalgia che almeno un terzo dei tedeschi dell'Est, e il 40 per cento dei berlinesi orientali, provano per il vecchio regime e per le sue illiberali, ma deresponsabilizzanti comodità». E' questa condizione umana infantile, liberata dal senso della responsabilità e dell'iniziativa personale, preservata dalle incursioni dell'individualismo liberale e libertario, che tanti tedeschi mostrano di rimpiangere quando volano postcomunista. E' l'abitudine all'esistenza organizzata e preordinata dentro i collettivi - «dentro a quello che i tedeschi chiamano Wirgel'uhl, ovvero sentimento del Noi, ovvero desiderio del "comune sentire" appreso nelle scuole di partito», mi fa notare Carola Stern, scrittrice emigrata in Germania occidentale negli Anni 50 - che molti vorrebbero rianimare quando volano sia comunista sia, in alcune città, neonazista. «L'elettorato non è lo stesso, ma ambedue gli estremismi tengono acceso questo Wirgefùhl, questo senso fiero, risentito, di appartenenza a un gruppo chiuso di eletti, circondato da un nemico mondo di capitalisti e individualisti», mi spiega ancora Klaus Hartung. E prosegue, non senza spietatezza: «Tutte queste chiacchiere sulla mancata unificazione inte aure dei tedeschi mi sono insopportabili. E' il sogno totalitario di armonia. E' il rifiuto arcaico, agreste, premoderno, opposto agli insanabili contrasti, alla non-trasparenza, alle ineluttabili discrepanze umane su cui si fonda la civilizzazione urbana». Anche secondi) Carola Stein la nostalgia del comunismo è epidermica, contraddetta da troppe pulsioni di segno opposto. Ma è pur sempre nostalgia paralizzante, inibente. «Per esser più precisi, la nostalgia del comunismo ha qualcosa di squisitamente kitsch, Si rimpiange l'interiorità ovattala dove era possibile appartarsi per imbellire la crudezza dei fatti esterni: isole di "vacanza del pensiero" che il totalitarismo concedeva. Si rimpiangono i giardinetti con corvi, asinelli, conigli di plastica bianca. Si rimpiangono le casette linde, mai contaminate dai grovigli confusi della libertà, dell'individualismo, Tutto ciò e assai comunista, e assai tedesco. E' una delle forme del romani icismo nostrano: nichilista, illiberale, e .il tempo stesso terribilmente consolante. Nazismo e comunismo hanno sistematicamente coltivato l'idea dell'idillio agreste: basti guardare i loro film. Di regola io mi allarmo quando vengono fuori, nelle democrazie e soprattutto in Germania, manie cosi acute di giardini lindi con asinelli di cartapesta, e nostalgie di case ripulite con i famosi "musei kitsch" che ricordano la bella, candida, fittizia giovinezza perduta». Gli eredi del comunismo sono stati agili e rapidi, nella riconversione. Hanno visto l'eui foria della ricostruzione in due terzi della popolazione, ma hanno saputo sfruttare il risentimento ili quel terzo che rimane insoddisfatto, risentito, abitualo dallo stesso comunismo a invocare assistenza, distribuzione di posti, privilegi Sono divenuti un partito-lobby, che difende con fervore neo separatista interessi e recriminazioni delle ancora svanì.iggiate città orientali. E non senza spudoratezza hanno profittato dell'estremo vuoto intellettuale e morale che regna in casa socialdemocratica, derubando la Spd delle principali parole d'ordine, delle fondamentali tradizioni e convinzioni, del dizionario stesso che por un secolo è stato la sua ossatura. Onesto vero e proprio furto e avvenuto senza che i socialdemocratici reagissero, resistessero. Cosi potente e stato il peso che hanno esercitato i lunghi anni della distensione, e il dialogo tra ideologi socialdemocratici occidentali e comunismo orientale, dosi poco preparata era la socialdemocrazia, a condurre una battaglia frontale - di demistificazione, di denuncia, di schietta concorrenza con i nuovi rivali predatòri venuti dall'Est. Sicché ora non sussistono che due chiese-lobby in Germania orientale, capaci di attirare passioni e reclutare elettori: la Democrazia cristiana di Schauble, e la Pds di Gregor Gysi. I due già si corteggiano, subdolamente immaginando l'avvento di un catto-comunismo dell'Est. Intanto socialdemocrazia, verdi e liberali crollano, nei sondaggi e nelle urne. Non ò per il momento di loro appartenenza, il presente della grande Germania. E non lo sarà per parecchio tempo, se perdurano amnesie e oblii su ambedue gli orrori del secolo, sui torbidi rapporti tra pacifismo occidentale e pacifismo comunista, sulle non ancora chiarite complicità tra socialdemocrazie europee e comunismi dell'Est. Klaus Hartung della Zeit: «La città si è rialzata ritrovando le energie di quando fu Tunica a cercare di resistere ai nazisti. E oggi sta diventando il laboratorio della riunifìcazione e deirallargamento europeo» Carola Stern, ruggita dalla Ddr «Il rimpianto per il comunismo ha qualcosa di kitsch che deriva dal nostro romanticismo nichilista eppure consolante» La Pds ha saccheggiato le idee della socialdemocrazia diventando una lobby che difende le recriminazioni di chi si crede un tedesco di serie B I—m DIECIANNI DALLA CADUTA DEL MURO Nel novembre del 1989 pezzi di Muro saitano sotto le martellate di un gruppo di giovani che a Berlino gli hanno dato il simbolico assalto da Est e da Ovest Nella foto sotto l'interno della cupola del Reichstag, fotografato dopo il termine dei lavori di ristrutturazione dello storico edificio