IL RIBALTONE DEI DIECI MILLIMETRI di Roberto Beccantini
IL RIBALTONE DEI DIECI MILLIMETRI IL RIBALTONE DEI DIECI MILLIMETRI Roberto Beccantini ASSOLUZIONE piena. Parigi ha riconsegnato il podio della Malesia alla Ferrari e il titolo mondiale alle curve di Suzuka. Si decide domenica, con Irvine primo, Hakkinen secondo e Schumacher arbitro. Sinceramente: troppa grazia. E' stata una vittoria per ko, quando tutti, anche i più inguaribili ottimisti, si sarebbero accontentati di recuperare, almeno, i punti dei piloti. Nessun compromesso, nessuna multa: perché il fatto non sussiste. Un trionfo. Il sinedrio si è inchinato, riverente, all'eloquio forbito e alle prove schiaccianti dei legali «rossi». E i famigerati millimetri? Non erano dieci: erano cinque. Ecco l'asso nella manica. Gli avvocati di Maranello sono stati formidabili. McLaren e Mercedes schiumano di rabbia. Max Mosley, nel divulgare e chiosare la sentenza, ha estratto dal cilindro i «limiti di tolleranza»: confini che la Ferrari non avrebbe (non ha) violato. Da un estremo all'altro. Non è facile orientarsi. Chi scrive ha sempre escluso l'ipotesi del complotto e si è battuto contro la «mostruosità» del verdetto malese, originato da una madornale stupidaggine, e non già da losche manovre. La squalifica era pena sproporzionata all'irregolarità, subito denunciata e corredata da severe prese di posizione (le dimissioni di Todt respinte da Montezemolo). Che le verifiche non fossero state effettuate a regola d'arte, era di dominio pubblico. Sul fatto che Jo Bauer non razzolasse proprio al di sopra delle parti, ci si poteva scommettere. Dal dibattimento, è venuto fuori che avrebbe impiegato un banale righello. Spioni e soffiate, congiure e trucchi, sono stati smontati pezzo dopo pezzo. In appello, la Ferrari ha calato tutto il suo peso politico, tutta la sua (ritrovata) competenza. La prospettiva di un Gran premio del Giappone declassato da micidiale ordalia a futile kermesse ha, di sicuro, contribuito a orientare i giudici. La Formula 1 non era un convento prima, e non lo è adesso per il semplice fatto che siamo stati noi, italiani, a sbaragliare il campo. Persino Clay Ragazzoni - lui, così storicamente ostile a Maranello - ha accolto con piacere la grande svolta: uno schiaffo alla coltivazione, bigotta, del cavillo. E' stato un braccio di ferro, sportivo e politico. A Sepang, avevano vinto McLaren e Mercedes. A Parigi, si è imposta la Ferrari. Alla guerra come alla guerra. Troppo comodo fingere sdegno e spacciare la Fia, dopo averne setacciato e spernacchiato il gergo burocratico, come l'ultima della «case di tolleranza». Ogni caso fa storia a sé, ma è chiaro che molti impugneranno strumentalmente il verdetto prò Ferrari per ricavarne benefici e favori. Ci ha impressionato il crollo dei millimetri. Per fortuna, la linea viene tolta agli azzeccagarbugli e restituita ai piloti: altro, non chiedevamo.
Persone citate: Clay Ragazzoni, Hakkinen, Jo Bauer, Max Mosley, Montezemolo, Schumacher, Todt
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