Mannino: rivolgo a Dio la preghiera di Jona

Mannino: rivolgo a Dio la preghiera di Jona Mannino: rivolgo a Dio la preghiera di Jona Giovanni Bianconi inviato a PALERMO Alle pareti campeggiano santi e madonne, sul tavolo ingombro di libri e di carte c'è un Cristo in croce, nell'aria - a tutto volume -1' «Agnus dei» del musicista estone Arvo Part. Sarà per via dell'atmosfera rehgiosa che si respira nel piccolo studio di casa, ma se gli chiedi che cosa si augura per il suo processo, ora che Andreotti è stato assolto, Calogero Mannino: «Spero di poter rivolgere al Signore la stessa preghiera che certamente stamani gli avrà rivolto Andreotti». Cioè? Prende in mano un foglietto, lo legge per l'ennesima volta, te lo allunga. Sono frasi della Bibbia riprese dal libro di Jona: «Hai fatto risalire dalla fossa la mia vita. Nella mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha esaudito, dal profondo degli inferi ho gridato che Tu hai ascoltato la mia voce...». Alzi gli occhi da quel pezzo di carta e dall'altra parte del tavolo c'è un'altra immagine del Calogero Mannino che ricordavi ministro, uno dei potenti della De siciliana che contavano pure a Roma. Quello era sempre in grisaglia e sorridente, questo ha i blue-jeans e la camicia slacciata sul collo, un'aria triste che nemmeno l'assoluzione di Andreotti riesce a togliergli. Mannino - «Lillo» per gli amici e per i siciliani - è imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, in un processo che si sta celebrando davanti al tribunale di Palermo, seconda sezione. Lui di quel dibattimento non vuole parlare, ma di mafia e politica sì. E dice: «L'assoluzione di Andreotti mi fa piacere, non perché si ripercuoterà sul mio processo, ma perché una condanna, paradossalmente, sarebbe stata una vittoria della mafia». Nel senso? «Nel senso che si sarebbe fatta a questo fenomeno mulinale l'omaggio di un riconoscimento «di uno "status" politico che non merita e non ha avuto», risponde Mannino. Che rimane in silenzio, sorseggia il caffé senza zucchero portato dal cameriere Rocky. e poi riprende: «Inoltre il tribunale di Palermo, come La corte di Perugia che ha assolto Andreotti per il delitto Pecorelli, ha evitato un errore giudiziario che ci avrebbe consegnato ad uno stato di polizia e non di diritto». Dal mucchio di libri affastellati sul tavolo, Mannino sfila l'ultima intervista a Tommaso Buscetta, intitolata «La mafia ha vinto», e commenta: «Come si può non rabbrividire di fronte a questo titolo? Come fa Buscetta a sostenere una tesi simile?». Magari la sosterrà ancor più oggi, quando saprà del verdetto su Andreotti, onorevole. «Lillo» si fa scuro in volto e attacca: «Ma che doveva sapere Buscetta di Andreotti. Perché non ne ha parlato a Giovanni Falcone? La giustificazione che dà è del tutto insufficiente, perché lui non ha il diritto di dire che non era il momento giusto, e perché Falcone era in grado in valutare tutto». Per l'ex potente accusato di concorso con la mafia, che a differenza di Andreotti finì pure in galera «mi sono fatto un anno di carcere e uno agli arresti domiciliari», ricorda la battaglia contro Cosa nostra è diventata negli ultimi anni «uno strumento di lotta politica, e invece così non dev'essere». Lui, dei rapporti tra la politica e le cosche, dà tutta un'altra lettura di quella contenuta negli atti del suo processo, di quello contro Andreotti e di altri che sono in corso. «Io credo - spiega - che la mafia può avere avuto rapporti con qualche politico, ma non negli ultimi decenni della Prima Repubblica. E non con la De siciliana». Poi si inorgoglisce, e alza la voce: «Non con noi, non col partito che io ho guidato negli Anni 80». Rilegge l'intervento che fece a un congresso democristiano dell'83, nel quale sosteneva che bisognava rinforzare la lotta alla mafia «diventala un fenomeno anti-statuale, ripristinando l'esclusiva sovranità dello Stato». Ricorda gli omicidi dei compagni di partito Michele Reina, 1979, e Pier Santi Mattarella, 1980, e li spiega così: «La mafia avrà bussato alle loro porte, e avrà ricevuto risposte negative». E Salvo Lima, assassinato dodici anni più tardi, nel 1992? «Allo stesso modo», sibila Mannino. Dietro ai grandi occhiali da miope, le sopracciglia si inarcano, e lui prosegue: «Io con Lima non ho mai avuto rapporti di collegamento e collaborazione, e nel 1979, alle elezioni europee, ho votato Sceiba proprio per non votare Lima. Per divergenze politiche, non perché sospettassi che fosse amico dei mafiosi. Io escludo una funzione politica della De, in Sicilia e in Italia, corrispondente alle necessità della mafia, perché la mafia non ha avuto funzioni politiche e perché la De ha combattuto la mafia». Nello studio di questa casa al settimo piano di una palazzina moderna, alle spalle di via Notarbartolo dove abitava Giovanni Falcone - «anche il giudice Chinnici viveva da queste parti, e ci incontravamo al bar per prendere il caffè», racconta Mannino - nel giorno in cui Giulio Andreotti è stato assolto dall'accusa di mafia, risorge l'orgoglio democristiano di Calogero «Lillo» Mannino, imputato di concorso con gli uomini di Cosa nostra. Per un momento abbandona i discorsi politici e riprende in mano la Bibbia: «Il salmo di Davide penitente dice: "Signore, per le cose che ho fatto, davanti a te sono colpevole". Ma per quello che ho fatto, non per ciò che raccontano i miei accusatori, che sono tutte falsità. La mia storia è quella di quando, nei primi Anni 60, partecipavo alle manifestazioni dei braccianti organizzate da Nilo Dolci. Quello è Lillo Mannino». Alcuni pentiti di mafia ne hanno descritto un altro, che bisogna farne, onorevole? «Io sono stato e resto un sostenitore della legge sui pentiti, e non voglio fare le generalizzazioni di cui io stesso sono stato vittima. Basta non prendere per oro colato tutto ciò che dicono e basta cercare, ogni volta, i necessari riscontri. Con questo metodo, problemi non ce ne sono, e non ce ne sarebbero stati». IL POLITICO La condanna avrebbe offerto alla mafia uno«status»politico Al mio processo userò le parole della Bibbia: «Hai fatto risalire dalla fossa la mia vita»

Luoghi citati: Italia, Lima, Palermo, Perugia, Roma, Sicilia