Contrada: sono stato e sarò sempre uno sbirro

Contrada: sono stato e sarò sempre uno sbirro Contrada: sono stato e sarò sempre uno sbirro inviato a PALERMO Bruno Contrada ci accoglie in maniche di camicia. Una delle sue «classiche» a rigliine bianche e verdi. La sua casa non è cambiata rispetto a quel 1996, anno in cui fu condannato a dieci anni, dopo una carcerazione preventiva duarata 31 mesi. Accompagna il cronista nella stanza dove trascorre tutto il suo tempo a leggere le carte del suo processo, giunto alla fase dell'appello. I soldatini stanno sempre lì, schierati sulle mensole delle librerie, frammezzati alle foto di famiglia. C'ò lui con la divisa di bersagliere, il ritratto della moglie, la signora Adriana giovane, i genitori: la sua vita. Il tavolo da lavoro ò sommerso di fascicoli e campeggia quello intestato a Saro Riccobono. «E' lui il perno del processo. Tutto ruota attorno alla presunta mia amicizia con questo capomafia che ho perseguitato per tutta la mia vita professionale». Va fermato, Contrada. Perché se prende la rincorsa non lo controlli più. Ricorda? Dovevamo parlare dell'assoluzione di Andreotti. «Certo dice - che non l'ho dimenticato. Che posso dire? Intanto che sono felice per l'esito del processo. Chi credo che possa essere mosso da invidia per la sua assoluzione si sbaglia. Sono contento perché si è posto riparo ad una follia che ha esposto il nostro Paese in tutto il mondo». Si abbandona ad una delle sue pause - gli servono per raccogliere le idee - e poi va: «E' im processo, quello appena finito, molto simile al mio. L'impianto è praticamente identico, i pontili sono in buona parte gli stessi». E allora se lui è stato assolto e lei condannato, vuol dire che lì c'erano le prove e qui no? La risposta è immediata: «Vuol din; che tra una sentenza e l'altra sono passati quasi quattro anni. E in quattro anni gli uomini cambiano». Anche i Tribunali? dogandola ha firmato la mia sentenza clic è una mostruosità. Oggi ha assolto Andreotti in nome del popolo italiano. Ecco, le sentenze vengono omesse in nome del popolo proprio perché rappresentano una cultura, un momento della storia di una società». E cosa trova di cambiato, rispetto al '96? «Se la sentenza Andreotti fosse arrivata anche due anni fa, il senatore non avrebbe avuto modo di sfuggire ad una condanna dura e certa, oltre che ingiusta. Allora tutti pendevano dalle labbra di quei mascalzoni chiamati pentiti». Tutti mascalzoni? «Non ho avuto a che fare con dei gentlemen. Sa che Francesco Marino Mannoia ha verbalizzato le accuse contro di me quando ero già in carcere? E sa che due anni prima ora stato interrogato due volto ed alla richiesta di notizie su di me aveva risposto di non conoscermi?». Si infervora, Contrada. «Dal '93 vengo indicato come un traditore, uno spione, un agente segreto infedele. Voglio che si sappia che sono stato e sarò sempre uno sbirro. Ho cominciato da vicecommissario ed ho chiuso come dirigente generale. Quando sono stato distaccato al Sisde mi hanno dato incarichi nell'ambito della criminalità organizzata». Cerca di ritrovare gì appunti sulla sua attività di «agente segreto». Poi va a memoria. «La presidenza del Consiglio avviò l'opera di riconversione dei servizi anche in materia di (criminalità e fui incaricato di occuparmene. Andatevi a guardare le centinaia di operazioni riuscite. Istruttori degli agenti del Sisde da riconvertire in esperti di mafia erano Piero Grasso, il gen. Mario Mori, il gen. Subranni, il maggiore Obinu, capito?». Perché sta raccontando queste vicende? «Non ho finito. Dopo le stragi di Capaci e di via D'Amelio, il procuratore Tinebra mi invitò a formare un gruppo investigativo. Dissi che avrei accettato solo se avessi potuto contare sulla piena collaborazione di polizia e carabinieri. Il progetto parti ed avevo già svolto una buona attività sul greppo dei Madonia di Partanna Mondello. Ouando ci sono di mezzo bombe, l'istinto mi porta ai Madonia. Tutto fu fermato dalla carica dei pentiti». La tesi del complotto? Contrada annuisce: «Qualcuno aveva deciso che doveva essere la Dia ad occuparsi di queste indagini. Direttore uscente era il gen. Tavormina e il suo vice era Gianni De Gennaro. Io potevo essere il naturale successore e perciò davo fastidio ai progetti di una cordata del ministero dell Interno». Quando si parla di pentiti, a Contrada si rizzano i capelli. «Ma si può permettere ad un ignorante come Gaspare Mutolo, che chiamavamo "u saittuni" cioè mariuolo, di parlare di Andreotti? Si può dare spazio ad uno come Balduccio Di Maggio?». Poi provoca: «Se Andreotti è stato assolto vuol dire che i pentiti hanno mentito. E allora mi sarei aspettato che, tutti e 35, venissero presi e spediti dove devono stare, in galera per calunnia. Vorrei anche mi fosse spiegato quali riscontri, invece, sono stati trovati nel mio processo. L'incontro al Delfino di Sferracavallo? E' stato smentito dai testimoni e dallo stesso, impreciso, racconto di Spatola. La testimonianza di Carla Del Ponte sulla vicenda Tognoli? Ha detto il falso, perché lo stesso Tognoli ha fatto il nome del funzionario che lo aiutò ad eludere il provvedimento giudiziario. Ma quel verbale, da Ingargiola è stato ignorato, perché interpretato come la conseguenza di minacce verso il teste». Contrada non rinuncia all'ultima battuta: «Vedo questa anfora? Secondo il collaboratore Scavuzzo mi è stata regalata da Cosa Nostra. Ho dimostrato che la possedevo già 20 anni prima della "scoperta" del pentito. Ma il tribunale, Ingargiola, ha protetto il pentito scrivendo nella motivazione che in ogni caso si dimostra che ho avuto a che faro con le anfore. Spero che in appello questi pentiti diventino come quelli che hanno calunniato Andreotti». [fra. la 1.] L'EX 007 «Non sono invidioso per l'assoluzione Si è posto fine a una follia. Ma se la sentenza fosse arrivata due anni fa sarebbe stato condannato»

Luoghi citati: Capaci, Contrada, Palermo, Partanna