I pm: abbiamo fatta il nostro dovere di Giovanni Bianconi

I pm: abbiamo fatta il nostro dovere I pm: abbiamo fatta il nostro dovere «Noi so cctfo Qoppi» Giovanni Bianconi inviato a PALERMO Il procuratore Pietro Grasso spunta nell'atrio del palazzone di giustizia da una porta laterale, per evitare i cronisti che assediano il suo ufficio. Ma a piano terra ce ne sono altri tre. «Non ho altro da dire», si schermisce. Ma qualcuno, dentro e fuori di qui, già annuncia che ora finirà sotto processo la procura di Palermo. Grasso sorride: «Vorrà dire che cercheremo un buon avvocato, magari il professor Coppi», e si infila nella blindata. La battuta vorrebbe sdrammatizzare un clima già troppo pesante, ma fino a pochi minuti prima, due piani più su, non c'era aria di sorrisi. Il corteo delle sirene spiegate ha riportato in ufficio il procuratore e i due pm Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato, poco dopo le 11 del mattino. Si sono chiusi tutti nella stanza del capo, i «reduci» di Pagliarelli che hanno assistito in diretta alla sconfitta e gli altri sostituti della Direzione Antimafia, che l'hanno subita in televisione, quelli che Grasso ha difeso, nel suo discorso di insediamento ad agosto, elogiando le indagini che non si erano fermate di frónte a nessuna sòglia-politica |istituzionale. Nemmeno quello di Giulio Andreotti!" ' Per quasi un'ora rimangono dietro la porta blindata a stendere un comunicato-stampa, che Grasso butta giù di suo pugno dietro i suggerimenti di tutti. Alla fine partoriscono undici righe, per dire che la procura «ha fatto il proprio dovere in piena coscienza», nel rispetto delle regole e della legge uguale per tutti; che prende atto «col doveroso rispetto» del verdetto su Andreotti contro il quale - una volta letta le motivazioni - deciderà se presentare appello; che comunque il processo al più famoso e potente politico accusato di mafia «s'è svolto sulla base di elementi di prova preventivamente sottoposti al duplice vaglio del Parlamento, che in sede di autorizzazione a procedere ha escluso il jumus persecutionis, e del giudice dell'udienza preliminare che ha disposto il rinvio a giudizio». Come dire che il processo a Giulio Andreotti non si poteva non fare. E' quel che ribadiscono Scarpinato e Lo Forte davanti alle telecamere di Telemontecarlo. «Siamo assolutamente sereni, come gli uomini che hanno sem-plicementc compiuto il loro dove-. ' rendiceli primo; «abbiarno'fatto tutto quello che abbiamo potuto e dovuto nella ricerca della prova, perciò siamo tranquilli», aggiunge il secondo. Basta. Poche •le/pronunciate ii\ tono solco „he, r.h,e nwtfiescono ajnasr.herare ne per l'Assoluzione del senatore a vita. Perché i pubblici accusatori di Palermo saranno pure convinti di aver fatto solo il proprio dovere, ma è anche véro' che «al di là delle frasi e della prudenza di rito norrsi aspettavano questa sentenza. Nelle stanze dei pm, sciolta la riunione da Grasso, è tutto un proliferare di considerazioni giuridiche. «Ci siamo attenuti alle norme del codice e alla giurisprudenza della Cassazione, che dà valore di prova alle dichiarazioni molteplici e convergenti; è il tribunale che ha ristretto il campo dell'interpretazione», dicono. E ancora: «Non hanno trasmesso alcuna dichiarazione di pentiti perché si procedesse per calunnia, e dunque quelle testimonianze non sono state giudicate false. Bisognerà studiare bene le motivazioni». E questi sono i commenti «in punto di diritto». Poi ci sono quelli «in punto di fatto». Sul futuro delle inchieste e dei processi imbastiti da una procura che, dopo le stragi del '92, ha mandato in carcere centinaia di boss e di picciotti, ha fatto arrestare decine di latitanti grandi e piccoli, ha aperto il capitolo dei rapporti tra Cosa nostra, la politica e le istituzioni. E' la fine di quella stagione? L'assoluzione di Andreotti si ripercuoterà sui dibattimenti che vedono imputati Mannino, Dell'Utri e altri politici della prima e della seconda Repubblica? «Pensare che tutto è finito sarebbe mostruoso, ma fingere che sarà tutto come prima sarebbe da cretini», mormora un sostituto procuratore. E un altro: «Siamo al punto più basso dopo il '92, ma la risposta giudiziaria alla mafia è fatta di alti e bassi, va avanti a cicli. Nell'84, con Buscetta e il maxiprocesso, ci fu la risalita, poi arrivarono le accuse ai professionisti dell'Antimafia e i veleni dell'89. All'indomani delle stragi vivemmo la ripresa, ma negli ultimi anni il clima è di nuovo cambiato». L'aveva detto anche Andreotti, uscendo di casa ieri mattina, che adesso tira un'aria migliore rispetto a quella di qualche tempo fa. Migliore per lui, forse, ma non per i pubblici ministèri che da mesi e mesi denunciano l'isolamento e le aggressioni. Il verdetto di oggi è figlio del nuovo clima, e forse anche del nome dell'imputato, pensano in molti in procura: «Qualunque mafioso con la coppola, con gli stessi elementi, si sarebbe preso non una, ma due condanne». Quando se ne va, il procuratore aggiunto Sergio Lari lancia un messaggio ai detrattori dei pentiti: «Oggi s'è dimostrato che le sentenze le fanno i giudici, non i pentiti, e dunque non c'è bisogno di riformare il codice. Se cambiano la norma sulle dichiarazioni incrociate, il vero effetto sarà quello di far tornare in circolazione centinaia di assassini, e noi possiamo andarcene tutti a casa. A vantaggio di chi?».

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