La sofferenza del potere di Filippo Ceccarelli

La sofferenza del potere L'INFERNO COMINCIO' NEL POMERIGGIO DEL 27 MARZO DEL 1993 ;. .... L ff dl La sofferenza del potere La dura lezione sulla vanità della politica retroscena Filippo Ceccarelli $1', va bene, assolto: ma quanto hu sofferto? Potrà mai dimonticare, Giulio Andreotti, quel pomeriggio del 27 marzo 1993? Era appena tornato da una di quelle sue esibizioni televisive, «invitato speciale» - così si chiamava il programma - a casa della famiglia Ramoni, proscelta a caso tra migliaia per ospitare a pranzo il presidente: cannelloni, saltimbocca, carciofi, frutta, gelato e caffè consumati sotto riflettori roventi. Insomma: routine. Lo chiamò Spadolini: avviso di mafia, botta terribile. «Credo di dover all'aiuto di Dio e a qualche attimo d'incredulità se non fui travolto da un colpo apoplettico».L'inferno comincia così. Era una sera di tramontana. La signora Livia guardò giù: c'era un mucchio di giornalisti. Battevano i piedi per il freddo, scrutavano le finestre, suonavano il campanello... Il 14 aprile, invece, pioveva e per un attimo la pioggia sembrò schiacciare sul cranio ciucile specie di piume che Andreotti ha al posto dei capelli. Prima di fermarsi davanti a Sant'Ivo alla Sapienza, l'auto blindata sbandò come zavorrata dui peso. Appena aperta la portiera, scattarono anche i cameramen delle tv messicane e giapponesi; lui aveva sulla bocca una piega amara, e di disgusto. «Fui accerchiato, spintonato». Avanzava a passettini in mezzo al tumulto, all'ansia, alla fatica, con una cartellina rossa sotto il braccio. Il cortile si faceva sempre più lungo. Immagini che più tardi gii ricordarono l'assassinio di Lee Oswald. E pensare che proprio lì, a Sant'Ivo «ci si ritrovava la domenica, noi universitari cattolici, fermandoci a lungo nell'ampio cortile a conversare dopo la messa, celebrata da monsignor Montini...». Il giorno dopo disse «sinceramente e con molta responsabilità» che avrebbe preferito fare la fine di Dalla Chiesa: «Era meglio morire». Quel giorno i quotidiani recavano la notizia della morte della de, Martinazzoligli cambiava nome. E ancora viene da chiedersi: cosa ha patito in questi anni Andreotti? Perché saranno stupidaggini, piccole ferite all'ego, però aopo le accuse gli tolsero ia presidenza del premio Latina per il tascabile; lo sospesero da quella dell'Unione circoli e associazioni liriche; gli interruppero la rubrica sul!vEuropeo; lo raffigurarono come uno sgradevole uovo di Pasqua sull'Avvenire; e su alcune T-shirt, ampiamente pubblicizzate, pure con gli occhiali da mafioso e i tentacoli sopra la scritta: "Innocente? Maddechèì». Per dare l'idea dell'atmosfera, lo accusarono anche - ingiustamente, era già dalle solite suoline di Cortina - di aver causato il ritardo del treno Roma-Calalzo. In quella terribile estate del 1993 andò piuttosto male pure l'ultima sua (non bellissima, per la verità) creazione editoriale. Di tutti i libri di Andreotti «Onorevole, stia zitto II» resta quello che ha venduto di meno. E «Cosa loro», due anni dopo, almeno all'inizio fu battuto dal «Processo Andreotti» di Pino Arlacchi. A un certo punto, quello che era stato il maggior produttore di best-seller fu praticamente costretto a pubblicare libri per pagarsi gli avvocati: «I processi costano e i diritti d'autore mi aiutano a far fronte all'impegno finanziario». Gheddafi s era offerto di saldare lui il conto, ma non era il caso. Fosse stata, comunque, solo una questione di spese. Per il politico più spiritoso e più auto¬ controllato d'Italia, il vero dramma erano gli stress giudiziari. L'avvocato Ascari ha racccontato che Andreotti visse il confronto con Balduccio Di Maggio come «un'autentica tragedia». Al meeting di CI venne risarcito con grandi applausi. Eppure, anche lì ci fu un ragazzo che in attimo di silenzio riuscì a gridare: «Basta! Tu sei il diavolo! Sei il male!». Il male, in realtà, ce l'aveva dentro. Non si passa di colpo dagli onori alle più infamanti accuse senza pagarne il prezzo nel corpo. E infatti perdeva peso, non dormiva, non riusciva più a concentrarsi, gli attacchi d'emicrania s'erano fatti di un'intensità insopportabile. Insonnia, incubi e psicofarmaci. La solitudine e le mortificazioni avevano trovato una strada. In breve: gli beccarono non uno, ma due adenomi: ipofisi e prostata, più alcuni calcoli. Furono due operazioni quindi due anestesie a distanza di un mese l'una dall'altra e una degenza tristissima, al Quisisana. Anche in famiglia, nel frattempo, la situazione s'era fatta difficile. La Guardia di Finanza seguitava a fare controlli patrimoniali a largo raggio, anche sui parenti acquisiti. La signora Livia, che pure è sempre stata una donna forte, era entrata in una cupa depressione. E un pentito aveva raccontato che i mafiosi stavano preparando un attentato a uno dei figli. Quindi una paura doppia, rinforzata. «Beh, sì, cosa vuole: la lezione che abbiamo imparato è che se vuoi accreditare qualcuno come mafioso, basta ammazzarlo». A Perugia, nel 1995, un'indagine sui giovani documentò che questi paragonavano Andreotti a Hitler. Due anni dopo, su Internet, una specie di concorso "Partecipa anche tu al processo Andreotti" sanzionò la vittoria dei colpcvolisti 1809 contro 1437. Gli intervistatori gli chiedevano: «Ha mai pensato al suicidio?». A Reggio Calabria rispose che non ci aveva pensato «solo» per motivi di fede. Inserito nella delegazione italiana per il 50° dell'Orni, venne contestato (da Tremaglia e Novelli). Nando Dalla Chiesa chiese a Scalfaro di revocargli la carica di senatore a vita. Un giovane, durante un'udienza papale, citò quella parte del «memoriale Moro» in cui il prigioniero parlava molto male di lui. Quando, nel settembre 1995, si aprì il processo le telecamere di Striscia la notizia arrivate davanti alla sua camera, lo costrinsero a cambiare albergo. Più o meno in quel periodo si lasciò anche sfuggire che, per come stava concludendosi, aveva «quasi il rimpianto» di aver fatto politica. Pensava sempre più spesso alla morte, ma senza giocarci per esorcizzarla, come aveva fatto per tutta la vita: «Spero che Dio mi conceda di arrivare fino alla fine» era il mesto ritornello. Concesso. Ma che pena, che dolore, e che dura lezione sulla vanità del potere. Insonnia, incubi, emicrania e psicofarmaci assieme a solitudine e mortificazioni La moglie era entrata in una cupa depressione Persino un suo libro, in quell'estate, andò male Disse: «Avrei preferito fare la fine di Dalla Chiesa» Il senatore Giulio Andreotti ritratto durante alcuni momenti di sconforto, che hanno preceduto le fasi finali del processo Fu Giovanni Spadolini a comunicargli, il 27 marzo del 1993. che era stato mosso, nei suoi confronti, un avviso di garanzia per associazione mafiosa

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