«L'imputato Andreotti Giulio è assorto» di Francesco La Licata

«L'imputato Andreotti Giulio è assorto» Palermo, alle 10,57 la lettura della sentenza. I pm: «Siamo sereni, come chi ha fatto il suo dovere» «L'imputato Andreotti Giulio è assorto» «E vai!» nell'aula la difesa esulta Francesco La Licata Inviato a PALERMO Un attimo, pochi secondi per smaltire una tensione accumulata in sei lunghi anni. 11 Tribunale • preceduto dal solito squillo della campanella - entra nell'aula «B» del carcere di Pagliarelli mentre un silenzio gelido riproduce l'atmosfera di un triller tagliente come una lama. Francesco Ingargiola, il presidente, sta in piedi. Immobili i giudici a latere, Salvatore Barresi ed Antonio Balsamo, gli occhi fissi senza guardare, come accade agli attori esordienti atterriti dal pubblico. Sono le 10,57 e con tre minuti di anticipo sull'appuntamento fissato, Ingargiola dichiara aperta l'udienza e dà atto della presenza delle parti. La Procura è schierata a destra del Tribunale: Piero Grasso, Vincenzo Rovello (procuratore generale), Roberto Scarpinato e Guido Lo Forte. Dall'altro lato il prof. Franco Coppi, Gioacchino Sbacchi e Giulia Bongiorno, elettrica e tesa. Le cinque postazioni tv brulicano di tecnici, centocinquanta agenti di vari corpi garantiscano l'ordine, le scorte si stringono ai pm. Non c'è pubblico, praticamente. I cittadini sono rimasti lontani da Pagliarelli, non hanno inteso sottoporsi allo stress della fila sotto il sole sciroccoso che infuoca il ferro abbondante del bunker. L'Evento è trasmesso in diretta e il «popolo» può starsene comodamente a casa. L'evento è essenzialmente mediatico. Per il resto è indifferenza, simile a quella ostentata persino dai vertici amministrativi di Palermo, rappresentati esclusivantc dagli avvocati di parte civile. Orlando non c'è, non parla di Andreotti ormai da tempo. Ha parlato prima, dicono i fedelissimi, «In nome del popolo italiano, visto l'articolo...», un attimo che sembra l'eternità separa l'inizio dalla fine della frase. Il silenzio diventa fragoroso e quando Ingargiola arriva all'articolo 530 si alza solo il «vail» euforico di Giulia Bongiorno. Il resto è formalità. La lettura si esaurisce in pocm secondi. «L'udienza è tolta», conclude Ingargiola con l'aria di non vede l'ora di lasciarsi alle spalle un incubo. Qualche secondo prima aveva tenuto il foglio del dispositivo non senza qualche tremore. Aveva aperto il «rito» in modo alquanto sbrigativo, correndo nella composizione delle parti. Poi aveva preso ad appoggiorsi al bordo del pretorio. Assolto, l'hanno assolto. Un rito bruciato in un attimo. I tre fanno dietro front, mentre la difesa - comprensibilmente esulta e sul banco della pubblica accusa cade un macigno che travolge tutti. I 250 giornalisti si scalmanano alla ricerca di un gesto, un guizzo, una parola che non arriva. I pubblici ministeri vanno a ruota del Tribunale, scompaiono ingoiati da una porticina resa più angusta dalla presenza degli uomini delle scorte. L'Evento proseguerfuori, dove le «dirette» impazzano e i teleoperatori si contendono i vincitori. La «star» é Giulia Bongiorno che può permettersi persino un dialogo via etere col senatore. Il prof. Franco Coppi saltella da una radio ad una tv, riuscendo a rimanere quello di sempre, un professionista freddo, forse abituato a vincere. Anche Gioacchino Sbacchi è raggiante e spièga ai cronisti che il «secondo comma del 530 non deve necessariamente essere interpretato come una sorta di assoluzione per insufficienza di prove». E' più disteso, ora. Solo qualche minuto prima aveva criticato duramente la presenza in aula del procuratore generale Vincenzo Rovello, che «dovrebbe essere un giudice terzo». L'aula, l'atrio, la stanza delle macchinette del caffè, sono pieni di avvocati. Ci sono i legali di Marcello Dell'Utri, anch'egli sotto processo per mafia a Palermo. L'eurodeputato, notoriamente contrario a qualsiasi soggezione formalistica, aveva espresso la volontà di venire a Pagliarelli. E' stato dissuaso dai suoi avvocati che ora, in questa orgia di dichiarazioni, non rinnegano quei consigli, anche se condividono l'idea diffusa che «il processo Dell'Utri da oggi è tutta un'altra storia». Tutto sarà un'altre, storia, dopo la seconda assoluzione di Giulio Andreotti. «In nome del popolo itabano» è stato il suggello ad una stagione che si chiude e non in modo pacifico. Nell'aula bunker di Pagliarelli non v'è una sola voce - che non sia quella del procuratore Grasso e degli stessi pm - in difesa di quanto è stato fatto in questi anni. Lo Forte e Scarpinato, dalle stanze del Palazzo di Giustizia, rilasciano una dichiarazione-lampo che finisce per sottolineare la sconfitta: «Siamo sereni, come quelli che hanno compiuto il loro dovere». Dal fronte opposto monta il grido vincente. Piero Milio, senatore e difensore di Bruno Contrada (condannato a 10 anni dallo stesso tribunale) annuncia che chiederà al ministro di Grazia e Giustizia un'ispezione alla Procura di Palermo. I colleghi gli stanno attorno e ironizzano sul «proseguimento» delle indagini sulle stragi: «Quelle carte le possono bruciare». L'avvocato Sbacchi: «Quel comma del 530 non va necessariamente interpretato come un'assoluzione per insufficienza di prove» Dal banco dei difensori si è levato il grido di Giulia Bongiorno I pubblici ministeri si sono subito allontanati dal tribunale Il senatore Giulio Andreotti è stato assolto m< in base all'articolo 530, secondo comma, del codice di procedura penale: «Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, ò insufficiente o ò contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commessoche il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile». A Perugia il senatore era stato assolto invece in base al comma 1 dell'articolo 530. Il comma 1 recita: «Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione se il fatto non sussistere l'imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato ò stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un'altra ragione il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo». Francesce Ingargiola, presidente del tribunale di Palermo, mentre pronuncia la sentenza di assoluzione nei confronti di Giulio Andreotti

Luoghi citati: Palermo, Perugia