JIMMY SCOTT
JIMMY SCOTT LA LEGGENDA JIMMY SCOTT Un talento ritrovato U NA relazione malata e distorta con il music business e una lunga teoria di disavventure personali segnano la vita e la carriera dell'androgino Jimmy Scott. Ammirata da personaggi disparati quali Frankie Lymon e Tony Bennett, Madonna e Stevie Wonder, Frankie Valli e Marvin Gaye, la sua voce femminea, che sembra esprimere con limpida, accusatrice eleganza tutte le angosce del mondo, è stata presa a modello di cantanti donne come Nancy Wilson e Etta Jones, e pare distante dalla forma blues almeno quanto vi è prossima nei contenuti. «Little» Jimmy Scott, classe 1925, è una delle rivelazioni dell'orchestra di Lionel Hampton, con la quale portò al successo la drammatica «Everybody's Somebody's Fool» nel 1950. Avrebbe potuto seguire le orme di un Sinatra o di una Sarah Vaughan, se non fosse finito nelle maglie contrattuali di una casa discografica senza scrupoli, quella Savoy di Herman Lubinsky che compromise la sua successiva carriera chiudendola in una cella frigorifera nella morgue delle ascese impossibili. La Savoy, che aveva legato il cantante a un contratto a lungo termine senza riuscire a farlo emergere dal limbo delle promesse, fu lesta a ottenere il ritiro di un lp che Jimmy incise nel 1963 per la Tangerine di Ray Charles (suo fervente ammiratore, mica lo chiamano Genius per niente) e di un altro del 1969 per la Atlantic relegando il disilluso Scott a sopravvivere nell'oscurità, arrangiandosi a pagare l'affitto grazie a spettacolini per commessi viaggiatori e pensionati nelle sale d'albergo della nativa Cleveland. Alla vigilia degli Anni Novanta, incoraggiato da pochi fedelissimi (tra cui Doc Pomus, Lou Reed, Joe Pesci e la regina del rhythm & blues Ruth Brown, altra voce femminile a lui stilisticamente affine nel timbro e nel respiro), il vento si è girato e per Scott appare matura l'occasione di un ritorno. La firma con una major, una manciata di ed di sapore nebulosamente jazz e di sublime, ostinata, lacerante bellezza, un album indipendente che si prende la rivincita del tempo perduto. «Holding back the years», con personalissime riletture di standard della penultima generazione pop: «Slave to love», di Bryan Ferry, «Nothin Compares 2 U» di Prince, «Jealous Guy» di Lennon. Finalmente - ed è raro onore per Torino la sua apparizione a Musica 2000 (domenica 24, ore 21, «The Club») Scott ha la possibilità di dischiudere al pubblico internazionale il suo fragile canto in smoking bianco, ai confini del jazz e dell'incubo, una sorta di diabolica redenzione a scoppio ritardato. Edoardo Passio
Luoghi citati: Torino
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