LA PUREZZA DI DE SETA
LA PUREZZA DI DE SETA LA PUREZZA DI DE SETA DE Seta è stato un cineasta indipendente quando era difficilissimo essere dei cineasti indipendenti, quando non c'erano le condizioni per poter essere dei cineasti indipendenti. Il suo cinema io non so definirlo altro che come «cinema della purezza». Tutta la sua opera è coerente a un'idea di cinema che non scende a compromessi e, nello stesso tempo, e proprio per questo, a un'idea avventurosa del cinema affine a quella dei pionieri. Da ragazzo mi impressionò molto «Banditi a Orgosolo», e la conferma del valore di questo regista l'ho avuta quando egli è venuto a Palermo alcuni anni fa e ho potuto vedere tutti insieme i suoi documentari. A entusiasmarmi è stato il tipo di approccio al cinema, im cinema fatto con pochissime apparecchiature, fatto di niente ma retto da uno sguardo estremamente personale nel suo desiderio di scoprire e interpretare la realtà, anzi di cantarla. Il fascino che De Seta esercita su di me e su Daniele Cipri ha radice in questo. Ma inoltre noi ritroviamo in lui caratteristiche che ci sono care, come l'attenzione alla precisione dell'inquadratura e alla composizione dell'immagine, connesse in De Seta al lavoro dei grandi documentaristi come Flaherty, maestro dichiarato. Oltre a certe preoccupazioni formali e a certe cure che appartengono a noi, crediamo che il nostro cinema abbia un altro legame con quello di De Seta. Siamo, lui e noi, come i due estremi di un segmento. In De Seta possiamo vedere la Sicilia «classica», quella delle fatiche e dei ritmi rimasti pressoché immutati da tempi antichissimi e anche quella raccontata dalla grande letteratura, per esempio da Verga. De Seta ha ripreso questo mondo mentre stava per scomparire e ha fermato sulla pellicola gesti, azioni, volti, suoni, paesaggi che sarebbero scomparsi di lì a poco, che ormai sono definitivamente scomparsi. Abbiamo in comune con De Seta alcune scelte formali molto rigorose, però noi non possiamo far altro che registrare il «dopo» di quella sconvolgente modernità che ha travolto il mondo mostrato da De Seta. C'è infine un'altra cosa che a me è piaciuta molto, quando abbiamo conosciuto personalmente De Seta: è l'aura aristocratica che sembra circondarlo, un distacco, una specie di flemma, come se, in qualche modo, gli avvenimenti del mondo e la sua cronaca non lo riguardassero. De Seta ha in sé qualcosa di «lampedusiano» e, però, è tutto dentro la poesia della vita, è attratto dalla poesia di cui sono portatori gli umili e non i ricchi. Quando, invece, De Seta si addentra nella zona di un cinema esistenzialista, come con «Un uomo a metà» o cerca di entrare nella cronaca, come in «Il diario di un maestro», ci appassiona di meno. «Banditi a Orgosolo» è un bellissimo film perché è un film di silenzi. L'assenza di una analisi e di una proposta è il vero pregio del film, è ciò che lo distingue da quasi tutto il cinema documentaristico del tempo o dal cinema «impegnato», sempre cosi rumoroso, e dall'euforia che era tipica di quegli anni. Il De Seta che noi prediligiamo è quello dei documentari siciliani, calabresi, sardi... è il regista che, quasi unico in Italia, ha saputo legare indissolubilmente tra loro poesia e antropologia. Franco Maresco
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