La stagione dei bramiti nei boschi d'autunno

La stagione dei bramiti nei boschi d'autunno CERVI IN AMORE La stagione dei bramiti nei boschi d'autunno Q»; che richi UANDO i boschi d'autunno diventano tetri, al desiderio di conforto e calore lama alla casa e al caminetto acceso, si aggiunge un suono cupo, pauroso: ricorda il ruggito di un leone nascosto nel carrozzone di un circo. E' il bramito del cervo in amore. Il bramito è un linguaggio che gli esperti sanno interpretare per avere informazioni sulle popolazioni di cervi delle nostre vallate alpine. Vengono usati diversi metodi per svelare il loro numero: uno è il censimento di primavera, che è l'osservazione degli animali sui pascoli di prima mattina e che approfitta dell'attrattiva dell'erba nuova. C'è anche il conteggio con l'uso del faro di notte, che lascia nel folto una percentuale altissima della popolazione nascosta. Il censimento dall'elicottero, molto efficace, si pratica sull'altro versante delle Alpi, dove sono più generosi nella gestione della fauna: gli animali si muovo¬ no ma non scappano davanti al mistero volante e rumoroso, e si possono filmare. Il conteggio dei maschi al bramito richiede stazioni di ascolto che devono essere distribuite sul territorio in maniera il più possibile capillare. I rilevatori devono essere più esperti dei gruppi numerosi di persone che servono a primavera, a cui basta l'attenzione, la curiosità e un buon cannocchiale: i censori d'autunno hanno bisogno di quadranti goniometrici e apposite schede su cui rilevare il numero di bramiti e la direzione di provenienza: l'ottobre del cervo segna il confine tra l'appassionato e l'etologo. Così tra binocoli e goniometri si scopre che ci sono tanti cervi, molti di più di quanti la gente non creda. Basta sapere dove cercarli e mettersi in ascolto: non è difficile sentire camminando nei languori delle foglie secche del Gran Bosco di Salbertrand in vai di Susa, quel verso da leone, o imbattersi da vicino o da lontano in una bestia di gran portamento che se ne va in giro con un albero in testa. Le corna a partire dalla quarta ramificazione hanno punte che invece di inserirsi una sull'altra nascono da un'unica biforcazione e si dirigono in tutti i sensi formando una corona. Non si dovrebbero chiamare «corna» ma «palchi», nome più adatto all'eleganza maestosa del cervo «coronato», grandioso trofeo di caccia da tempi immemorabili. Sono di vero tessuto osseo e non formate da sostanze cheratiniche (cornee) come quelle dei Bovidi. E sono, a differenza delle corna permanenti dei Bovidi, a crescita annuale. Vuol dire che ogni anno un maschio adulto paga la sua vanità amorosa con un costo energetico spaventoso: la fatica inizia a primavera mettendo sotto pressione la tiroide e l'ormone testosterone, e per tutta l'estate la costruzione prosegue: nascosto dal «velluto», lo strato di pelle che riveste il palco, un frenetico lavoro di vasi sanguigni e di nervi che scorrono nel tessuto osseo ancora in formazione risucchia una enormità di energia, fino a costruire quell'inno alla vanità che pesa anche 14 o 15 chili. Il culmine della crescita si raggiunge d'estate, quando il pascolo è abbondante. La vita in quella stagione è molto tranquilla, scandita dall'uscita dal bosco al piccolo trotto verso sera e dal rientro nell'ombra al mattino con l'incedere lento di una dignitosa sazietà. Tutto questo sacrificio energetico per che cosa? La grandiosità del trofeo è così stupefacente che si è arrivati a pensare a uno sbaglio della natura: sembra inutile, anzi addirittura dannoso, dato che è pesante e ingombrante. Eppure esistono cervi maschi mutanti privi di corna, che non sono rarissimi ma che continuano a essere una eccezione alla regola. Se il loro stato fosse ideale sarebbero diventati «la regola», e allora non vale l'idea dei «tratti fenotipici non funzionali che possono venire perpetuati per inerzia filogenetica», deve esserci una ragione, un vantaggio. L'unica risposta verosimile è curiosamente valida sia per il cervo mammifero artiodattilo, sia per il cervo volante, insetto coleottero lamellicorne dotato di vistose e non si sa quanto utili appendici a incoronargli il capo. La sola spiegazione è la lotta armata, ogni altra funzione è secondaria. E invece tutti questi estenuanti preparativi, e il pulire i palchi dal velluto e renderli belli, forti, aguzzi, scrollando la testa contro rami e tronchi, trovano un senso nell'irresistibile spinta a conservare i propri geni, che è lo scopo principale della vita animale. Così l'autunno assiste il cervo che si fa bello e ardito, innamorato e litigioso. Il conquistatore si trova a disposizione un harem di femmine che spesso vanno in calore nella stessa settimana, per un adattamento che non è casuale: se i piccoli nasceranno tutti assieme avranno più occhi a sorvegliarli a primavera, e migliori possibilità di sopravvivere. Ed è l'autunno il tempo del bramito, il grido di minaccia verso gli altri maschi, che deve dire, in una decina di sezioni modulate, il vigore fisico, l'abilità, l'alto rango gerarchico del dominatore. Non è tutto un bluff, tante parole e poca sostanza: se qualcuno di pari grado osa sfidare il dominatore, scoppia una lotta furibonda che se non porta alla resa e al ritiro di uno dei due contendenti, può diventare un cozzare di corna cosi violento che i palchi si incastrano e legano tra loro i due rivali in una lenta morte ingloriosa, o può concludersi in una fine più degna, nel sangue, il vinto infilzato. Il bello di tutta questa esibizione di virilità è che mentre il sultano si pavoneggia, bramisce e combatte, le femmine neppure lo guardano. Assistono alle lotte brucando con aria indifferente, e per di più non disdegnano le attenzioni dei soliti ragazzini dai piccoli palchi che guardano da lontano e, quatti quatti, sono pronti ad approfittare dei combattimenti che distraggono il potente, per un amorazzo rubato. Si avvicina l'inverno e i maschi, magri e spossati dalle vicende amorose, lasciano cadere la maschera di conquistatori, e non in senso metaforico: perdono i loro trofei. Al termine del periodo degli amori inizia un lento strozzamento spontaneo alla base dei palchi che alla fine, per azione degli osteoclasti - particolari cellule ossee - si staccano all'altezza del nucleo germinativo. E il cervo resterà tutto l'inverno cosi, con un aspetto da femminuccia sgraziata, l'andatura un po' bovina, a risparmiare energia almeno nella stagione più dura. La ballata di Geordie, che era stato impiccato con una corda d'oro per aver rubato sei cervi nel parco del Re, non deve essere stata ispirala al cervo d'inverno. Nessun cervo d'inverno vale un'impiccagione, ma il bramito, quello sì, vale la corda d'oro. Caterina Gromis di Trana Il tipico atteggiamento del cervo che bramisce, da un'incisione di Xavier De Maìstre

Persone citate: Caterina Gromis, Xavier De Maìstre

Luoghi citati: Salbertrand, Susa, Trana