Per la memoria di Auschwitz non bastano i sopravvissuti

Per la memoria di Auschwitz non bastano i sopravvissuti Per la memoria di Auschwitz non bastano i sopravvissuti RECENSIONE Marco Gel politi UN sopravvissuto dei Lager nazisti, deportato giovanissimo dal ghetto di Kovno, viene intervistato sulla sua vicenda. Parla per tre ore in modo secco ed essenziale. Rientrato a casa si ricorda all'improvviso di possedere un diario di cui aveva dimenticato l'esistenza. Contatta il suo intervistatore: bisogna rifare tutto. Al successivo incontro si presenta col diario, e ne legge dei passi davanti alla telecamera. L'intervistatore gli fa notare che sta saltando molti passaggi del manoscritto e gli domanda perché. Il testimone risponde che gli pare impossibile che molte cose del diario siano realmente accadute, poiché non ne aveva conservato alcun ricordo. L'episodio, riportato nel libro di Annette Wieviorka, L'era del testimone, esemplifica uno dei problemi centrali della testimonianza, problema che Primo Levi stesso aveva messo ben in luce all'inizio dei Sommersi e i salvati: la deriva della memoria che riguarda non solo i carnefici ma anche le stesse vittime dei Lager: «La memoria è uno strumento meraviglioso ma fallace». . Negli ultimi dieci anni le librerie europee sono state sommerse da volumi di testimoni e di storici dedicati ad Auschwitz e ai campi di sterminio. Siamo entrati in quella che la Wieviorka, storica di professione, già autrice di un testo fondamentale come Déportatian et Génocide. Entre la mémoire et l'oubli (Plon, 1992), definisce «l'era del testimone». Come è potuto accadere? La storica individua due momenti salienti: il processo Eichmann, celebrato in Israele all'inizio degli anni Sessanta, e l'inizio della raccolta di testimonianze filmiche dei sopravvissuti allo sterminio iniziata all'Università di Yale nel 1982 e resa poi «industriale» nel 1994 dall'iniziativa di Steven Spielberg, Survivors of the Shoah Visual History Foundation, che si pone l'obiettivo di intervistare 300.000 persone sopravvissute in tutto il mondo. Nessun altro evento storico della storia umana, nemmeno la Prima guerra mondiale, che pure sconvolse l'immaginario occidentale e modificò l'idea stessa di memoria, ha suscitato un numero così vasto di testimonianze e di cosi lunga durata. Ma soprattutto nessun episodio della storia umana ha messo così in crisi il rapporto tra lavoro dello storico e testimonianza. Geoffrey Hartman, iniziatore delle videoregistrazioni dei testimoni dello sterminio ebraico, ha scritto che «l'immediatezza dei racconti in prima persona ha l'effetto del fuoco hi RECENMaGel quella gelida stanza che è la storia». Opinione condivisa da Daniel Goldhagen, autore de / volonterosi carnefici di Hitler (Mondadori 1997), il cui libro «ha mandato in frantumi i criteri universalmente stabiliti della scrittura accademica della storia» (Wieviorka), sintomo della crisi stessa della storia contemporanea che interessa, non a caso, anche la storia del comunismo e della Resistenza. Goldhagen, che è nato nel dopoguerra, ha abbattuto la palizzata che separava gli storici dai testimoni, cercando di ottenere «una descrizione meramente oggettiva» dei fatti ed esalta, scrive la Wieviorka, «il sentimento e l'emozione a scapito dell'intelligenza e del pensiero»". Il dissidio tra storici e testimoni è piuttosto vecchio. Come precisa Marc Bloch in un testo celebre, La guerra e le false notizie (Donzelli 1994), lo storico sa che «non esiste un buon testimone, né deposizione esatta in ogni sua parte», che le testimonianze devono essere passate al vaglio della critica storica. La IONE co liti posizione dello storico è assai difficile, in quanto egli è sempre pronto a soccombere dinanzi «al diabolico nemico della vera storia: la mania di giudizio». Scrive nelle sue memorie il grande artefice del processo Eichmann, Gideon Hausner: «Ogni processo implica una volontà di risanamento, un desiderio di esemplarità. Attira l'attenzione, racconta una storia, esprime una morale»,. Primo Levi, pur non essendo un giurista, in una intervista ricordava come lo stesso Processo di Norimberga contro i gerarchi nazisti fosse un atto proditorio, la rivalsa dei vincitori contro i vinti, per quanto necessario. La Wieviorka, che non mette certo in causa la necessità di pronunciare giudizi, si domanda che ripercussione possa avere sulla scrittura della storia una giustizia che si pone come obiettivo proprio quello di scrivere la Storia. Al processo di Gerusalemme, come notò immediatamente Manna Arendt, cronista per il New Yorker, la maggior parte dei testimoni non sajieva «distinguere tra le cose che l'interessato aveva vissuto sedici o foree vent'anni prima e le cose che aveva letto e udito e immaginato nel frattempo». Se il processo Eichmann ha liberato i testimoni dall'interdetto e dall'oblio in cui erano tenuti, ha però prodotto «una domanda sociale di testimonianze», come e accaduto in Francia per i processi a Klaus Barbio e Maurice Papon. Da allora al testimone viene attribuita una nuova funzione: essere portatore di storia. D'altro lato, filili come Molo caust e Schindler's List, fondati su un realismo narrativo, hanno trasmesso allo spettatore l'idea che il genocidio ebraico sia un succedersi di esperienze individuali con cui il pubblico è invitato a identificarsi (cosa che invoce pare non accada ne Ui xnta è bella grazie alla comicità surreale e provocatoria di Benigni). L'autrice sottolinea con forza l'importanza dei testimoni per il lavoro dello storico, ma noi contempo ci mette sull'avviso: la testimonianza si è trasformala oggi in un vero e proprio imperativo sociale che fa del testimone un apostolo e un profeta. Scrive Ruth Kluger in Vivere ancora (Einaudi 1995): chi vuole diro qualcosa di importante su di me dice che sono stata ad Auschwitz, «mentre Auschwitz è il luogo più sbagliato in cui sia mai stata, e il suo ricordo resta un cor]» estraneo nell'anima, come un proiettilo di piombo nel corpo, che non si può estrarro. Auschwitz fu soltanto un'atroce casualità». L'attenzione della Wieviorka si concentra in particolare sull'iniziativa di Spielberg, sulla sua «americanizzazione dell'Olocausto», sostiene che non solo le migliaia di testimonianze audiovisivo tendono a sostituire la Storia con la raccolta delle immagini, abbandonando i testi scritti a vantaggio delle moderne tecnologie, ma le riproso documentali tendono a sviluppare quel particolare aspetto che la sociologa Dominique Mehl definisco «la televisione dell'intimità», l'irruzione di un nuovo tipo di spettacolo basalo sulla parola della geni e comune. Primo Levi, verso la fine della sua vita, smise di andare in giro polle scuole a incontrare studenti e insegnanti, convinto, come egli stesso racconta, di non avere risposte alle domande che gli venivano poste; su tutto questo egli ragiona in modo lucido e scabro in quello che è uno dei maggiori libri del XX secolo, l sommersi e i salvati, opera Umiliare in cui è costretto a constatare il fallimento della propria attività di testimone. Scrive Annette Wieviorka che la lezione di rigore impartita da Primo Levi, per quanto drammatica, è per noi un mellito che ci spinge a riflettere più a fondo sul tipo di sajiere di cui è portatore il testimone che, salvo rare eccezioni, non é né uno storico né un profeta, ma un uomo come noi. IL COMPLESSO RAPPORTO FRA STORICI E TESTIMONI IN UNA FONDAMENTALE ANALISI DI ANNETTE WIEVIORKA NEL SOLCO DI PRIMO LEVI, IN POLEMICA CON SPIELBERG La ricostruzione dell'Olocausto dal processo Eichmann a Schindler's List: il genocidio ebraico non può ridursi a un succedersi di esperienze individuali. Il ricordo è uno strumento meraviglioso, ma fallace, le testimonianze debbono passare al vaglio della critica. Una lezione che vale anche per il comunismo e la resistenza I Annette Wieviorka L'era del testimone Tr. it. e postfazione di Federica Sossi Cortina, pp. 185, L. 29.000 SAGGIO

Luoghi citati: Auschwitz, Francia, Gerusalemme, Israele, Norimberga