Tornare bambino e rivivere il dolore del lager

Tornare bambino e rivivere il dolore del lager Tornare bambino e rivivere il dolore del lager «Essere senza destino», romanzo dell'ungherese Imre Kertész, maturato nel corso di quindici anni, concluso nel 1973, ignorato in patria fino alla caduta del Muro . RECENSIONE Alessandra Orsi UN senso di slraniamenlo e insieme di vicinanza è quanto comunicano molto opero genericamente classificate ormai come letteratura della Shoah: il denominatore comune è il tentativo di raccontare un evento che conosciamo, mentre ciò che le diversifica è il punto di vista, ciò che fa della narrazione un'esperienza emotivamente condivisibile. E' per questo che non si potrà mai stilare una classifica tra i libri che più contribuiscono tùia trasmissione della memoria, a quella costruzione di un sostrato unanimemente condiviso e riassumibile noi monito «mai più Auschwitz». Le ricostruzioni e riflessioni storiche si nutrono dei romanzi in prima persona: i libri di Hilberg sulla Distruzione degli ebrei d'Europa (Einaudi) o di Browning, Uomini comuni ( Einaudi) e Verso il genocidio (il Saggiatore! si rispecchiano in tutt i quei diari che riescono a restituire la verità della cronaca, dell'istante vissuto in prima persona. E' qui che la scrittura diviene mezzo e. fine por superare sofferenza, incredulità o impotenza: sentimenti che hanno indotto molti al silenzio, altri a gesti estremi. Anche Essere senza destino di Imre Kertész, è frutto di un lunghissimo silenzio. Per oltre quindici anni, infatti, Kertosz, tornato nella natia Budapest dopo la fine della guerra, ha tenuto in gestazione un diario che ripercorre la sua odissea di depoitato. Ne è nato un libro in cui l'autore ritorna bambino e rivive la separazione dai genitori, il lavoro forzato e poi i campi, prima Auschwitz e poi Buchenwald. In Essere sentii destino Kertész veste i panni di Gyurka e va a recuperare quei ricordi puri, scindendoli da tutto ciò che in seguito si e depositato su di essi e tornando cosi a quel senso di estraneità e incomprensione che ha segnato la sua vita fin dal momento in cui assiste alla partenza del padre, evento assurdo e inspiegabile. Grazie a quello sguardo incredulo di bambino. Kertész aggiungo al dato della scrittura la forza di una voce, ciò che fa di questo romanzo una di quelle testimonianze che, anziché avvalersi dello emozioni, riescono a restituirlo integre e senza ùiterpretazioni. Viene da pensare a libri come / giorni della mia giovinezza di Aria Novac (Mondadori) o a Come sia mo fortunati di Cari Friedman (La Giuntina!: opere anche diverse tra loro, meno note di altre, eppure pilastri di una Ietterai lira che, con effetto simile alle poesie di Celati, trasforma destini individuali in capitoli di storia. «C'è stato un libro che ha impresso una svolta alla mia vita — ha ricordato Kertész di recente — Fu Lo straniem di Camus, comprato su una bancarella di Budapest nel 1957 per dodici fiorini: forse è quello che mi ha spinto a scrivere». E stranièro in patria lo scrittore ha continuato a sentirsi anche negli anni a venire, quando viveva in un monolocale con la moglie e sopravviveva scrivendo con un amico i dialoghi per spettatimi di rivista. Altri quindici anni impiega a finire il libro che più gli sta a cuore e quando, nel 1973, Essere senza destino è terminato nessuno lo vuole pubblicare L'odissea continua. La sua voce e sgradita al regime, perché pur parlando di sé e di un altro momento storico, esplicita una libertà interiore che è il segno di un potenzialo pericolo. Soltanto dieci anni fa, con la caduta di tutti i muri, l'Ungheria si accorgo di aver fatto tacere uno scrittore, ma anche un puota e un intellettuale che diventa allora una figura di riferimento: gli si offrono rubriche sui giornali, si coito a stampare i suoi libri che in Germania ottengono un grande successo. Arrivano i premi letterari e, due anni fa, nella comico della Fiera del libro di Lipsie un riconoscimento «per la comprensione tra i popoli». Fino all'appuntamento con la Buckmesse di quest'anno dove l'Ungheria, Paese ospite a Francoforte, lo inserisce tra i nomi pivi importanti da esibire di fronte all'editoria mondiale, accanto a Gyorgy Konrad, Agota Kristof, Peter Nàdas, Peter Esterhazy e altri. Per Kertész, ormai settantenne, il tardivo riconoscimento più che un riscatto - «impossìbile è riscattare la vita depredata» ha detto — è la dimostrazione di aver creduto non a torto che la vita contiene spiragli di felicità, pur offuscati da gravi idiozie, come scrive alla tino del libro: «Non esiste assurdità che non possa essere vissuta con naturalezza e sul mio calunnilo, lo so fin d'ora, la felicità mi aspetta come una trappola inevitabile)*. Imre Kertész Essere senza destino tiad di Barbara Griffini Feltrinelli, pp. 220- L 30.000 ROMANZO

Luoghi citati: Budapest, Europa, Francoforte, Germania, Ungheria