Andrea Zanzotto: la dolorosa necessità di essere «oscuro»

Andrea Zanzotto: la dolorosa necessità di essere «oscuro» Andrea Zanzotto: la dolorosa necessità di essere «oscuro» In un Meridiano le poesie e prose scelte di uno sperimentatore, non eversore, in bilico tra il fiammeggiare e lo sgretolarsi della comunicazione RECENSIONE Gian Luigi Beccaria Euscito l'atteso «Meridiano» di Andrea Zanzotto, che raccoglie tutte le poesie e una scelta di prose (non incluse nei due precedenti saggi mondadoriani). Abbiamo ora a disposizione l'opera completa di imo dei più grandi e più colti poeti del nastro tempo, che ha costruito componimenti non facili, fittamente percorsi da una corrente continua di citazioni e recitazioni, sotteiTanee o in piena luce, pagine di larga intertestualità, immerse o rapite entro echi di voci letterarie restate nell'aria o penetrate nell'animo suo. Sperimentatore, ma non eversore, Zanzotto emerge da una corrente profonda, colta e popolare, testimone di una communio, di una circolazione letteraria dove il dare è pari all'avere: è davvero il grande scrittore che sa che i libri si fanno coi libri e la memoria, e che i propri debbono scaricare sul presente la vertigine di un passato che s'infiltra, si divide, si ricompone. Aprono il volume dvie prefazioni d'eccezione (Stefano Agosti e Fernando Bandini); lo chiudono due commenti, uno sulle prose (Gian Mario Villalta), uno assai puntiglioso sulle poesie, di molta efficacia (autore Stefano Dal Bianco), perché rende meno arduo al lettore l'accostaci a questo «difficile e pur tanto affabile poeta ctonio», come ebbe a definirlo Gianfranco Contini. Attraversiamo momenti di poesia molto diversi uno dall'altro, anelli di una catena intrecciati ma distinti, raccolte che ogni volta costituiscono una focalizzazione nuova dei vecchi temi: dal primo momento «ermetico» passiamo al successivo sperimentalismo che espone «lirismo» e «realismo» «a uno tra i più profondi sconvolgimenti epistemologici che il secolo abbia sperimentato» (Niva Lorenzinil. Si tratta di uno sperimentalismo che non è, come dice Bandini, previsto, non è una scelta, che precede il fare, ma nasce dalla determinazione con la quale Zanzotto persegue il proprio senso, nasce entro il testo, nella partita che il poeta ingaggia con la propria scrittura: non strategia mentale dunque, ma travaglio, sudore; nessun ludismo, ma «un inquieto patire la dura necessità che lo costringe spesso ad essere oscuro», perché partecipa direttamente del fondo «oscuro» e frantumato di un io diviso tra interno ed esterno, tra spazio mentale e luogo dell'esperienza fisica (il paesaggio), ed il linguaggio, incapace di una voce piena, emerge così privo di ogni referenzialità, balbetta, incespica, sfiora e comprende l'atonalismo, nasce allitterato su di sé, su desinenze, radicali, grumi di un'origine smarrita. Si tenga conto che gli ardui sperimentalismi di Ui Beltà (1968I, le asperità di Pasque I1973I escono negli anni del boom economico italiano, nel mondo falsificato dalla civiltà dei consumi, ed il rumore del mondo, il bla-bla televisivo, i tic del comunicare massificato hanno occupato gli spazi del silenzio necessari ad una vera comunicazione umana, ed allora ogni parola pronunciata reca in sé la traccia di quel brusio, e produce sofferenza (Dal Bianco): al poeta non resta che affrontare la lingua inautentica sul suo stesso terreno. La Beltà si confronta per l'appunto con la trasformazione antropologica, conoscitiva, percettiva di quegli anni: ne nasce una rottura traumatica con la tradizione, il codice pare disintegrarsi, il poeta affronta la perdita della centralità della parola. La stessa «falsità» Zanzotto rovescerà in seguito sul paesaggio, sulle miti colline del Montello che celano sottoterra un ossario, la traccia di massacri. Quella natura (Dietro il paesag gio, 1951) che prima faceva eia sfondo ed alla quale il poeta si era abbandonato fiducioso, con Galateo in bosco (19781 precipita. La metamorfosi dell'io nella realtà naturale, e viceversa, ora è scomparsa. Nel bosco, «come in un'enonne pattumiera, giacciono in oscuro fermento i sedimenti organici e inorganici del processo naturale, i resti dei picnic dei villeggianti, assieme alle ossa dei soldati della Grande Guerra, il cumulo delle tracce lasciate dall'uomo nei secoli, ivi compresa la scrittura di coloro che elessero il bosco a sede di elaborazione letteraria, primo fra tutti Giovanni Della Casa e il suo Galateo» (Dal Bianco). Nelle tre stazioni di Galateo in bosco, Fosfeni (1983) e Idioma (1986), la produzione poetica di Zanzotto trova però un suo consistente assesto. Lo stile permane sempre in tensione, ora sotto ora sopra, si attua in dizioni ora di forte tenuta ora mortificate, sfrangiate, ancora balbettate, allitterato, scom¬ poste, ma a tratti ristrutturate con forza vocativa, talvolta con rarefatta solennità. Dopo la spinta delle avanguardie, e la volontà di fare a pozzi la lingua, si stagliano nel loro straordinario significato queste nuove proposte di Zanzotto la cui volontà di dire si situa in bilico tra il fiammeggiare e lo sgretolarsi della comunicazione, fra mutismi di fronte al «senso vietato» e rinnovati bagliori, inedite accensioni. Il suo alto voltaggio verbale non è baldanza avanguardislica, ina rischio calcolato: provato come in laboratorio, ma senza più manifesti, bandiere. La tensione punta cen forza su un significante che sa gestire il senso, tende a regredire verso le origini del linguaggio, decretando cosi non solo la fine dell'alto, ina sottolineando soprattutto le perplessità doll'«altro» o del «fuori idioma». Anche quando (come in Idioma (prenderà un passo più felpato e movimenti più colloquiali, i contenuti si nascondono tra tensioni di condensazioni e cortocircuiti del testo che volano ma insieme svelano. Si; la rottura dei consueti canali della comunicazione obbediva nell'avanguardia a una prosa di posizione ideologica, in Zanzotto segue piuttosto la personalissima, drammatica esigenza di riascoltare un linguaggio che emana da sostratiche o buie matrici. Non si tratta di a-logica eversione che voglia la dissacrazione, il sabotaggio e l'anti-arte. Dalle avanguardie ha ereditato la coscienza dell'usura della lingua, ma l'atto poetico ò stato per lui un'esperienza totalmente gnoseologico-esistenzia le. La sezione poetica del «Meridiano» chiude con Meteo, al quale si avvicinano per tematica gli Inediti successivi, quasi una previsiono di ciò che Zanzotto in questi anni sta ancora elaborando: enigmi tormentosi, nuovi misteri, che in uno scenario di guerre crudeli e genocidi si insinuano in un paesaggio mutato e mutante, in una natura comatosa che ci sta avvezzando a inceliti colori, a nuove alte e serre, a intrichi vegetali da cui si Ulcerano papaveri gloriosi follemente invasivi come pozze di sangue (allegoria di stragi), o con gialli miracolosi i topinambùr, forse «metafora della resistenza della poesia in un paesaggio degradato», come vorrebbe il commentatore, ma forse anche uno sperpero di solarità di una luce diventata sempre più «irta», maiala. Andrea Zanzotto Le poesie, e prose scelte a cura di Stefano Dal Bianco e Gian Mario Villalta Mondadori, pp. cxxxvi-1802. L 85.000 OPERA OMNIA