Un giorno olla fine dell'era Menem di Mimmo Candito

Un giorno olla fine dell'era Menem ESCE DALLE URNE IL VOLTO NUOVO DEL PAESE Un giorno olla fine dell'era Menem «Argentini pronti a bocciare il padre-padrone» reportage Mimmo Candito inviato a Riti NOS AIRI S Lm ALTRO ieri, in uno dei * pomerìggi di questa primaI vera australe infiammata di sole, qui s'è corso il Grand Prix .Jockey Club. Cavalli (e vacche) sono la pelle e l'anima di questo Paese, qui .incora ci sono i gauciios (e il tango), e nella vecchia Argentina delle «estancias» grandi quanto un intero pezzo d'Italia il Jockey Club era il circolo più riservato, esclusivo, un paradiso di verde e di signorini ammodo dove la sola iscrizione costa 60.000 dollari. I cavalli (e le vacche) ci sono sempre, pure i gauchos (e il tango), ma quell'Argentina dei signorini è imita, non esiste più se non nelle stampe ingiallite che la domenica mattina riempiono i banchi ili San Telmo; e dentro il salone vetrato del Jockey Club, l'altro ieri, in giro c'erano soliamo lacci- e panze da mercato della carne. Ha vinto Anterete, che veniva dato a 1 a 2; ha vinto Taci le, non c'era grande entusiasmo tra i bovari in abito grigio e cravatta obbligatoria. Un tempo finisce, qui in Argentina. E' staio un tempo lungo, che torse e duralo quanto l'intera storia di questo Paese. Domani, con il volo per il nuovo Presidente quel tempo comunque non ci sarà più, lì' stalo il tempo delle grandi illu sioni, degli slogan sognanti, dei destini di una patria d'emigranti chiamata a faro la fortuna di tutti. Di quella storia, Menem ha saputo essere l'ultimo interprete: ha retinali) per 10 anni, davvero come soltanto un re può lare, e come un re vero non voleva andar via proprio per niente. L'hanno dovuto sbattere fuori a forza, minacciandogli perfino la rivolta (Iella piazza. Ora arriva De La Rua, che lo chiamano «el doctor» e la una bella differenza, Menem era un padre-padrone, il leader carismatico che navigava nel populismo dell'abbraccio con la gente e delle piccole complicità comuni: lo chiamavano tutti "Carlos", o anche "el turco", come un parente- stretto, o un vicino di casa, con l'affetto illusorio di chi là, su, in alto, nel Potere, crede di avere un amico che gli dai del tu e siete tutti uguali. Erano le favole ariti che del peronismo, Ora arriva invece questo "doctor", in abito grigio da funzionario permanente, la faccia tagliata nella tristezza, le braccia inutilmente levate in aria a respirare il trionfo, e la gente capisce che tira un vento nuovo, Menem era una meraviglia, uno spasso per il nostro mondo mediatico, le attricette, la Ferrari Testarossa, il lifting, la tintura dei capelli; pareva che l'avessero inventato. Quest'altro, invece, questo dottore che domani vincerà a man bassa, lo chiamano anche "el aburrido", che significa noioso, e lui allora ci ha montato su uno spot: «Dicono che sono noioso, ma ora la lesta è finita, la lesta dei pochi». Il doctor parla d'una lesta di 10 anni, quella menemista; ma qui finisce una festa assai piti lunga. Il sociologo Roberto Uncinai! (che è ebreo e al temilo della dittatura i militari lo buttarono sulla strada) lo conferma come se traesse un respiro di sollievo: «Si, finalmente diventiamo anche noi un Paese normale, Aburridamente normale». La presidenza che passa al noiosissimo De La Rua vuol semplicemente diro che l'Argentina è diventata un Paese moderno, che è pero una cosa che non significa affatto che questo sia anche diventalo un Paese più giusto, o più ricco, o più bello. Soltanto, un Paese che ha messo (finalmente i piedi sulla terra e ha capito che deve fan; i conti con la realtà, non con l'illusione. «Ce la siamo sempre portata dietro, questa grande illusione», dice il vecchio Ernesto Sabato nella sua casa lontana, e scuote la bella testa bianca. «Non abbiamo mai voluto capire che la nave se n'era ormai andata via dal porto di Buenos Aires, e che noi eravamo rimasti qui, e per sempre». Per un secolo l'illusione ha consegnato le vite di questo Paese alle bandiere che sbattevano nel vento della retorica, ma ora si chiude. Le bandiere tornano ad arrotolarsi, lasciamo la Casa Rosada al doctor che ti fa sbadigliare e pero cerca di quadrare i conti di quello che hai e di tinello che puoi fare. La chiamano amministrazione pubblica. Ma non è chi-, perchè ora Menem lo stanno cacciando via, abbia avuto solo colpe e responsabilità. Quando gli argentini lo scelsero, noll'89, e lui era davvero una roba da calendario d'epoca, con le basettone del gaucho sciupaieniniine e il poncho di chi viene dalla provincia, lo scelsero perchè da lui volevano il miracolo, ne avevano il dispe¬ rato bisogno di sempre. Era, una volta ancora, «la grande illusione». Dopo la dittatura dei militari e la tragedia della guerra nelle Malvinas, nell'83, s'erano già consegnati ad Alfonsin e avevano chiesto il miracolo anche a lui: ma Alfonsin j;li aveva portato «soltanto» la democrazia, che non sa fare i miracoli. Anzi, quella democrazia incerta, che tentava di mettere un po' d'ordine nella retorica di sempre ma non ne aveva la forza, aveva portato il Paese alla bancarotta, con un'inflazione del 2000 per cenlo e gli assalii ai supermercati. Menem doveva dunque'fare lui il miracolo, domare quella mostruosa inflazione; ci riuscì. Lo feci! sventolando le s'olite vecchie bandiere ma praticando tutt'altra politica; nella! facciata era l'erede di Peròn, il leader che ama il popolo, e però poi, nelle riunioni di governo, si consegnava al Fondo Monetario e alle sue ricette spiotate. Privatizzazione totale, assoluta, scientifica, e dismissione di ogni vecchia eredità «sociale» del peronismo; e poi anche la rottura d'ogni barriera protezionistica, e ponti d'oro al capitale straniero. Era un processo, inevitabile, di modernizzazione, lo svecchiamento di un apparato il cui costo lo Stato non poteva più sopportare. Funzionò bene, quel piano. Funzionò, ma il costo non fu uguale per tutti. Un po' come nella Russia postbolsccvica, qui la privatizzazione ha scatenato l'inferno di appetiti che considerano là leggi; un optional riservato ad altri; si sono create fortune immense, il Jockey Club ha perduto vecchi soci e ne ha trovati di nuovi, l'ammodernamento tecnologico ha sbattuto sul marciapede centinaia di migliaia di lavoratori. E ha drammaticamente impoverito una diffusa clas- se media ch'era stata sempre la stessa identità dell'Argentina degli emigranti. «La mia è stata la presidenza più grande», ama dire Menem, che non pratica-l'understatement. Monsignor Rafael Rey, il presidente della Caritas, ti guarda negli occhi e sbotta: «Qui la gente muore di fame, ma muore davvero per la fame. Ci sono centinaia di migliaia di famiglie che non mangiano ogni giorno». Le cifre che qui girano parlano di 13 milioni di poveri, e di 1000 nuovi poveri ogni giorno nella sola provincia di Buenos Aires; e il 15 per cento è disocuppato. Il miracolo ha una sua consistenza (la parità con il dollaro ha anche sopportato la crisi asiatica e quella brasiliana), ma intanto l'indebitamento ha raggiunto la cifra pazzesca dei 143 miliardi di dollari, cioè il 49 per cento del prodotto nazionale Questo debito mostruoso condiziona in maniera decisiva la politica economica, e impone nuovi tagli e nuovi costi sociali. «Non faremo nessun programma di austerità», assicura De La Rua. Ma nessuno gli crede. Non gli credono, e però lo votano. «Questa è l'Argentina nuova», spiega il sociologo Mora Araujo. E' l'Argentina che non vuole i grandi slogan del passato, e consegna all'aburrido dottore della Union Civica Radicai il mandato di fare comunque una politica seria, possibile. Dietro l'immenso debito pubblico, dietro le privatizzazioni, qui i; passata una corruzione che nemmeno i frequentatori del Palazzo di Giustizia di Milano riuscirebbero u immaginare. De La Rua vince perchè, dicono tutti, lui è uno davvero onesto, non ruba. «I miei due primi decreti saranno: la vendita dell'aereo presidenziale, e l'istituzione di un tribunale amministrativo contro la corruzione pubblica». Slogan forse, ma un tempo si chiude; hanno già condannato il primo «Chiesa» di quaggiù (si chiama Pico, gli hanno dato 5 anni, ma ha due nuovi processi), altri giudizi stanno cominciando, qualcuno dice che ci finirà dentro anche il nostro «Carlos». Dalla tv il noiosissimo dottore predica: «E' finito il tempo della imrrlunità». Lo voteranno, c'è aria di casa in quest'Argentina che domani cambia la propria storia. Il regno del presidente gaucho è durato dieci anni. I sondaggi danno per certa l'elezione di Fernando de la Rua Il favorito spiega «Dicono che sono noioso, ma ora la festa dei privilegiati è finalmente terminata» Il presidente argentino Carlos Menem e nella foto grande un'affollata manifestazione di sostenitori del candidato peronista Eduardo Duhalde nella città di Rosario Favorito è il sindaco di Buenos Aires, candidato del partito di centro-sinistra Alleanza