Palermo si rifugia nell'indifferenza

Palermo si rifugia nell'indifferenza Palermo si rifugia nell'indifferenza Andreotti assolto dai quartieri popolari: «La città è stanca» inviato a PALERMO Sembra che uno dei giochi notturni più in voga, nell'era del processo del secolo, sia quello praticato da un gruppo di giovanotti della buona borghesia. I quali - esauriti tutti i riti ludici serali, dal cinema al cornetto caldo - prima di tornare a casa vanno in auto in piazza della Libertà per fermarsi davanti al portone del palazzo dove abitò Ignazio Salvo e dove sarebbe avvenuto il famoso incontro fra Andreotti e Riina raccontato da Balduccio Di Maggio. Ragazzi e ragazze contano fino a tre e poi, tutti insieme, gridano: «Bacio, bacio!». L'aneddoto potrà sembrare alquanto futile, ma sintetizza fedelmente l'atteggiamento della città alla vigilia della sentenza che dovrebbe essere «del secolo» e invece viene vissuta come un «evento distante». Palermo ha una proverbiale capacità di metabolizzare tutto, anche le vicende più indigeste. Immaginiamo cosa sia capace di tirar fuori nel momento in cui vede messo in discussione uno dei simboli più alti del potere. E di un potere che è stato presente a Palermo, per lungo tempo, attraverso un uomo come Salvo Lima. La città ostenta indifferenza, nei piani alti della società civile la prudenza si taglia col coltello, in basso si riscontra più decisione. Palermo ha assolto Andreotti. I quartieri popolari, anzi, professano una fede incrollabile: «Si al liberta subito» (sarà assolto in primo grado). E se il popolo si imbatte in qualche obiezione colpevolista che ipotizza una qualche condanna, anche piccola, pronta arriva la replica: «Sì, ma poi c'è l'appello». Insomma, Palermo non si smentisce. Assolve per autoassolversi: «Ora che Caselli se n'è andato, la musica è cambiata». E in effetti il clima non è quello di qualche anno fa. Il fronte dell'antimafia tradisce difficoltà percepibili da piccoli indizi che all'occhio esperto non passano inosservati. Il sindaco Orlando non parla. Oggi'non può perché si trova ad Helsinki, ieri non poteva per scelta. «La sua funzione - spiegano i fedelissimi - non è quella di perseguire un risultato giudiziario, ma quella di incidere politicamente». Vabbè, ma è difficile immaginare Orlando che si disinteressi della sentenza. La risposta è un capolavoro di adeguamento al «vento nuovo»: «La città è stanca ed ha per la testa problemi lontani dalla sorte di Giulio Andreotti, problemi di sopravvivenza, insomma. Lo sdegno degli anni passati evidentemente non ha fatto breccia. E' vero, Palermo assolve facilmente». E se Andreotti venisse condannato? «La città potrebbe sempre dirgli, lo ha spiegato bene Badalamenti nella sua intervista, "anche tu sei un mostro, come noi palermitani"». No, non farebbe scandalo, qui, una sentenza di assoluzione. Tolti pochi pasdaràn, irriducibili, la maggior parte dei cittadini sembra ormai avviata verso la ritrovata normalità. Dice l'im- prenditrice Iandy Riolo: «Questo processo non doveva essere fatto. Lo hanno voluto a qualunque costo e lui, Andreotti, ha dimostrato di essere il più intelligente per il modo c lo stile con cui lo ha affrontato». Le fa eco il giovane Antonio Sellerie rampollo dei Sellerio editori: «Oggi alle 11, in contemporanea col bunker, arriverà il verdetto sulla Ferrari che monopolizzerà l'attenzione generale. Il «caso Andreotti» è più lontano dai pensieri della gente. Comunque lo assolveranno». Non si registra un gran dibatti¬ to sul «processo del secolo». I salotti buoni hanno liquidato l'argomento già da tempo con una sorta di rimozione collettiva. Il barone Roberto Chiaramente Bordonaro sorride all'idea del bacio: «Andreotti è una vecchia volpe, mai e poi mai si sarebbe lasciato andare ad effusioni con il latitante Totò Riina. Mi sembra una storia campata in aria». Per trovare qualcuno dubbioso o più propenso per la condanna, bisogna arrivare in borgata, al convento dei padri redentoristi dell'Uditore. Padre Nino Fa¬ sullo, da 25 anni direttore di Segno, una rivista da sempre molto critica col sistema di potere siciliano, dice senza mezzi termini che «il rapporto tra Andreotti e Cosa nostra non ha bisogno di prove, la connessione è nei fatti. A Palermo non viene giudicata la politica in sé, ma la politica che chiude gli occhi, si distrae, sottovaluta e si allea con Cosa nostra». Non la pensa così un altro prete di frontiera, don Cosimo Scordato del Centro sociale S. Saverio: «Viviamo un momento particolare. Le esigenze della gente, per quello che è la mia esperienza nel quartiere dell'Albergheria, non si esauriscono in una sete di verità e giustizia fine a se stessa. C'è bisogno di una giustizia che sappia arrivare in fondo ai bisogni delle persone. Ciò che accade intorno alla vicenda di Andreotti viene vissuto con una certa distanza». Ed è distante anni luce anche il volto stupefatto di Luo Jinbiao, giornalista del Quotidiano del Popolo (Pechino) a Palermo insieme con una delegazione di imprenditori cinesi. Andreotti? «Già - dice ripassando la palla come iinirà secondo lei che è un esperto di processi?». Cerchiamo allora di prenderlo ai fianchi: «Ma un processo così è pensabile in Cina?». «Certamente no. In Cina non abbiamo Andreotti». Saluta, mentre lascia il palazzo di giustizia Marcello Dell'Utri, altro imputato eccellente a Palermo. Oggi sarà in aula, qv.ando il presidente Ingargiola leggerà la sentenza. [f. 1. 1.] «Adesso che il procuratore Caselli se ne è andato la musica è cambiata» Un sacerdote: «Il rapporto tra i boss e il senatore non ha bisogno di prove» La procura della Repubblica di Palermo, in passato guidata da Giancarlo Caselli