REGGIANI IL FANTAIR0NIC0 di Stefano Reggiani
REGGIANI IL FANTAIR0NIC0 DIECI ANNI FA MORIVA L'INVIATO DE LA STAMPA REGGIANI IL FANTAIR0NIC0 Lietta Tornabuoni SONO passati dieci anni dalla domenica mattina a Roma, 22 ottobre 1989,in cui Stefano Reggiani morì d'un male spietato. Domani pomeriggio a Verona, la sua città, l'Associazione della Stampa lo ricorda con una pubblicazione, con un convegno nella sala della Cassa di Risparmio per parlare del suo talento di ammirato e rispettato critico di cinema de La Stampa (Morando Morandini), della sua personalità privata di uomo integro e raro (Roberto Franchini), della sua gran qualità di giornalista. A Reggiani giornalista piaceva la provincia italiana. Era convinto che l'essenza, la natura vera dell'Italia non stesse nella capitale sterminata e caotica, ma nelle città medio-piccole, storiche o moderne, settentrionali o meridionali, capaci di conservare il passato e di anticipare il presente, efficienti, quasi calme. Lì amava condurre inchieste, e la sua tecnica di investigatore era speciale cruanto la sua bravura. Diversamente da tanti altri giornalisti, non metteva mai se stesso al primo posto, non si voleva protagonista, non diceva (nè scriveva) «io». Nelle interviste non esibiva autorità, non aggrediva l'interlocutore, non ostentava antagonismo e in ogni fase del lavoro d'inchiesta, anche quando il tempo era poco o molto poco, non pareva avere mai fretta nè esigere risposte immediate, avventate, secche. Le sue armi per raggiungere la verità, o almeno un'esattezza anche parziale, somigliavano a quelle del commissario Maigret di Georges Simenon: erano l'intelligenza, l'intuito, la capacità di assimilarsi ad un ambiente e di avere rapporti umani con gli interlocutori, persino la fiduciaStefano Reggia fatti. nelle improvvise illuminazioni e nei giochi del caso, grande amico dei giornalisti. Andava calmo. Non scriveva bugie. Non accettava per buona qualunque cosa gli venisse detta ma la considerava con vigile diffidenza. Prendeva pochissimi appunti, preferiva comprendere davvero i significati, le implicazioni, i retroscena, insomma il senso autentico di quanto gli veniva detto. A questo lavoro così particolare di raccolta di notizie, cortese e un poco sornione, apparentemente lieve ed estremamente efficace, seguiva il lavoro d'una scrittura come quella dei suoi libri, bella, ben pensata, mai banale. Al lavoro strettamente giornalistico di inviato speciale, Stefano Reggiani accompagnava su La Stampa una rubrica settimanale divenuta famosa, premiata, in parte raccolta in volume dall'editore Bompiani. La rubrica si chiamava «Fantacronache»: come a dire che realtà e immaginazione si mescolano incessantemente, o come a indicare un metodo che attraverso l'alterazione fantastica arrivava al cuore delle cose accadute. Con questa rubrica Reggiani inventò un genere che scomparve con lui dai giornali: l'ironia politica. Un'ottica di- versa dall' inverti - va, dal sarcasmo o dalla satira politica, che sono i generi praticati da noi (quando vengono praticati) e che hanno tutti un sottofondo d'aggressività, a volte di violenza. Un'ottica più lieve e penetrante, che esaminava uomini e azioni della politica italiana e internazionale non con l'animosità e gli sdegni di un avversario, ma con forte senso del ridicolo, divertimento malinconico e ogni tanto commiserazione, con la precisa consapevolezza dell'immenso abisso che in politica separa le parole dai Stefano Reggiani
Persone citate: Georges Simenon, Lietta Tornabuoni, Morando Morandini, Reggiani, Roberto Franchini, Stefano Reggiani
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