Andreotti, già 250 ore per il verdetto di Giovanni Bianconi

Andreotti, già 250 ore per il verdetto Palermo, la città si divide e aspetta la fine dello storico processo sulle accuse di mafia al senatore Andreotti, già 250 ore per il verdetto Da 10 giorni i giudici in camera di consiglio Giovanni Bianconi inviato a PALERMO A metà mattinata il procuratore aggiunto Guido Lo Forte telefona in cancelleria. «Ancora niente?». «Niente, dottore». «Va bene, grazie», e riattacca. Poi accende il televideo, con qualche difficoltà vista la poca dimestichezza con la tecnologia, anche la più elementare, ma nemmeno dal piccolo schermo arriveranno novità. E allora è meglio mettere da parte il processo Andreottii e dedicarsi al resto del lavoro, che non manca. I sostituti vanno e vengono, ognuno con una richiesta o una pratica da discutere; fuori dalla porta sciamano i giornalisti arrivati da tutta Italia: «Qualche segnale?». «No, aspettiamo». Anche il decimo giorno di camera di consiglio se n'è andato, e Palermo aspetta, come il resto del Paese. Ma qui, nel palazzo di giustizia che è stato a corrente alternata palazzo delle speranze e palazzo dei veleni, il clima d'attesa è palpabile come lo scirocco che fuori sta prolungando l'estate, anche se oggi sono arrivate le nuvole. Al secondo piano, negli uffici della Procura, c'è Lo Forte ma non c'è il procuratore Grasso. Non c'è nemmeno l'altro pm che ha sostenuto l'accusa in aula, Roberto Scarpinato, e la parola d'ordine è non lanciarsi in commenti né previsioni. Un corridoio più in là c'è l'aula della quinta sezione del tribunale, quella in cui per quattro anni s'è celebrato il processo contro l'imputato di associazione mafiosa Giulio Andreotti. Qui dentro, martedi della scorsa settimana, il senatore a vita, sette volte presidente del Consiglio, ha pronunciato l'ultima autodifesa, poi i suoi giudici si sono ritirati per decidere. La porta dell'aula è sbarrata, dietro non c'è nessuno; i tre magistrati che hanno in mano il destino dell'imputato più famoso d'Italia - il presidente Ingargiola e gli a latere Barresi e Balzamo - sono riuniti altrove, nel carcere-bunker di Pagliarelli, alle porte della città. Lì pronunceranno il verdetto, quando sarà pronto, e lì sono pronti da giorni i pullmini delle televisioni che diffonderanno in tutto il mondo la risposta a una domanda che ormai risale a quasi sette anni fa: Giulio Andreotti, il governante che ha governato di più nell'Italia repubbicana, è stato un mafioso oppure no? E' colpevole o innocente? Sarà condannato o assolto? L'attesa moltiplica i pronostici, e la lunghezza della camera di consiglio apre il campo a possibili soluzioni intermedie. Una condanna con il reato trasformato in «concorso esterno» anziché partecipazione diretta, si dice, oppure derubricato in favoreggiamento. E ancora, condanna per associazione a delinquere semplice, e non mafiosa. Andreotti è imputato di entrambi i reati: articolo 416 (associazione semplice) e 416 bis (associazione mafiosa) del codice penale, perché il 416 bis esiste solo dal 1982, e i fatti precedenti di cui pure è accusato rientrano nel 416. Questa ipotesi, al di là delle alchimie del codice, significherebbe dare credito ai pentiti che parlano di episodi accaduti prima dell'82 (Buscetta e Marino Mannoia, per esempio) e non ad altri che si riferiscono al periodo successivo, come Di Maggio. Disquisizioni teoriche che solo la lettura della sentenza potrà sostanziare o spazzare via, ma per adesso sono loro a tenere banco. In un corridoio passa l'avvocato Gioacchino Sbacchi, uno dei difensori del senatore a vita. Confessa che pensa giorno e notte al verdetto imminente, che sta vivendo quest'attesa come uno studente alla vigiliaa dell'esame più importante, ma non azzarda previsioni. Al piano di sotto, il primo del palazzo, seduto su una panca in attesa che cominci l'udienza che lo riguarda, c'è un altro assistito «eccellente» dell'avvocato Sbacchi, il poliziotto Bruno Contrada, condannato in primo grado a dieci anni di galera per concorso esterno in associazione mafiosa. A fatica sta procedendo l'appello, la sentenza è prevista per il 2000 inoltrato. Molti hanno fatto paragoni tra il suo processo e quello ad Andreotti, non foss'akro perché il collegio giudicante è uguale per due terzi. Come finirà, dottor Contrada? «Difficile dirlo - risponde l'ex-capo della Mobile cli Palermo -, ma a giudicare dalla mia esperienza direi che è più facile scrivere una sentenza di condanna che di assoluzione». Lui che si proclama innocente - «e mi sono fatto 31 mesi di carcere preventivo», ricorda - non dà certo credibilità ai pentiti che accusano Andreotti (in alcuni casi sono gli stessi che hanno parlato di lui), ma dice: «Su di me ce n'era prima uno, poi 4, poi 8 e alla fine ne: sono arrivati altri 4, e mi hanno condannato. Per Andreotti so che ce ne sono 35, e per arrivare a un verdetto di colpevolezza basta che i giudici credano a uno... In ogni caso la sentenza sarà devastante, soprattutto in caso di condanna. Significherebbe gettare nel fango cinquant'anni eli storia d'Italia, perché Andreotti è l'immagine dell'Italia. Io era ragazzino e già sentivo parlare ditti». Poco più in là, da un'altra aula di corte d'appello esce padre Frittata, il francescano arrestato e condannato in primo grado per favoreggiamento del boss di Cosa Nostra mafioso Pietro Aglieri. Ha assistito all'arringa del suo difensore, la sentenza d'appello per lui arriverà la prossima settimana, ma appena incontra i cronisti chiede: «Di Andreotti si sa niente?». No padre, ancora no. Al momento si sa solo che per i maxi-processi di malia ci sono state camere di consiglio che hanno superato il mese, ma c'erano centinaia di imputati. Per processi con un solo accusato, invece, è la decisione più lunga. E più attesa. Bruno Contrada: «Contro di lui ci sono 35 pentiti e per arrivare ad una sentenza di colpevolezza basta che i magistrati credano a uno In ogni caso sarà devastante significherebbe gettare nel fango 50 anni di storia» ^ \ A sinistra il senatore Giulio Andreotti Sopra Bruno Contrada, ex questore di Palermo

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