Il sogno del «maestro del popolo»

Il sogno del «maestro del popolo» Il sogno del «maestro del popolo» La religione come strumento di progresso sociale inviato a GIAKARTA A rendere l'islamismo indonesiano particolare, se non unico, è forse il fatto che nell'arcipelago la nuova religione non fu imposta con la guerra o la conquista, ma attraverso il commercio. Accadde sette secoli fa sulla costa orientale di Sumatra, dove nel 1297 il sultano di Samudra, Malik al Saleh, semplicemente decise di convertirsi per meglio utilizzare la rete dei mercanti islamici ed essere difeso dal potere dei malesi. Apostoli di questa conversione furono i sufisti, sorta di missionari mistici, asceti che riuscirono a diffondere l'idea dell'eguaglianza dei fedeli di fronte a Dio senza scalfire la separazione in caste propria delle religioni indiane, allora dominanti nell'arcipelago. Questa struttura in parte si riconosce anche nell'Indonesia di oggi. Nonostante una schiacciante maggioranza religiosa (circa l'87% della popolazione) qui i musulmani non sono mai stati maggioranza politica. Fino a ieri, almeno. Adesso l'irrompere sulla scena di Abduramman Wahid sembra aprire prospettive nuove, anche se difficilmente l'Islam che si fa politica influirà sui costumi di un Paese così denso di minoranze e diversi stili di vita. Piuttosto, è la considerazione dovuta ai «pariah» che promette di cambiare. Soprattutto dalla prima di una recente serie di crisi economiche (il 2 luglio del '97, con la rupia che in un giorno appena perse il 70% del suo valore) si calcola che quasi 50 milioni di indonesiani adesso vivano al di sotto della soglia dì povertà. Nel discorso alla nazione, il presidente fra l'altro ha detto che questa situazione è inaccettabile. La personalità di Wahid è quella di un asceta: sembra dunque lecito aspettarsi una feroce lotta alla corruzione e nello stesso tempo una rinascita dell'«Islam sociale», una politica di sostegno ai più poveri e una se-ria ristrutturazione del sistema bancario. Se solo avesse voluto, l'ex leader del «Nahdatul Ulama» avrebbe potuto allearsi con gli altri partiti islamici e conquistare la maggioranza in Parlamento. Wahid non l'ha mai fatto: ha preferito mantenere l'«UL» allo stato di movimento (un movimento che gestisce scuole e ospedali, e conta su una base di «pariah» e proletari urbani valutata in 40 milioni di persone). Quando, 16 mesi fa, la lunga dittatura di Suharto si avvicinava alla fine, «Gus Dur» rifiutò di trasformare la «jacquerie» che si ora scatenata in Indonesia nella protesta dei diseredati islamici contro un governo filnccidentale soprattutto nella corni/ione. Gli sarebbe bastato un gesto, un discorso: invece invitò i popolani a placarsi e ad attendere il maturare della democrazia. Più di recente ha respinto ogni alleanza con la «Muhammadya», il partito islamico conservatore guidato da Amien Rais. «Con loro, mai», aveva dichiarato, mostrando di paventare una sterzata integralista, Se Allah gli darà lunga vita, il primo presidente islamico dell'Indonesia tenterà di trasformare la religione non in elemento d'oscurantismo ma in fattore di progresso sociale. Impresa disperata, in un Paese costretto ti vivere sotto una doppia tutela, quella interna dei militari, e l'altra del Fondo Monetario. I mercati internazionali non danno credito a questo sogno. L'Indonesia probabilmente sì. lg. z.) Abdurrahman Wahid con Megawati Sukarnoputri, la grande rivale sconfitta

Persone citate: Abdurrahman Wahid, Amien Rais, Megawati Sukarnoputri, Saleh, Samudra, Suharto, Wahid

Luoghi citati: Giakarta, Indonesia