La sporca guerra dei signori dei diamanti

La sporca guerra dei signori dei diamanti UNA APOCALISSE AFRICANA CHE IL MONDO HA IGNORATO La sporca guerra dei signori dei diamanti Massacri, saccheggi e soldati bambini: ventimila morti in 9 anni analisi Domenico Quiriuo SI chiama «lotteria umana». Le vittime tirano a sorte davanti a un tribunale di miliziani sghignazzanti, intorpiditi dalla droga e dall'alcool. Se vinci ti tagliano solo una mano o un piede, se perdi, il braccio e la gamba. La sentenza viene subito eseguita a colpi di machete; e il disgraziato, lordo di sangue, trascinando il suo moncherino, viene cacciato tra sputi e dileggi. Ventimila morti, civili, massacrati in dieci anni, abbandonati nelle strade e nella savana ai cani è agli avvoltoi; un milione di profughi (un abitante su cinque) privi di tutto, perfino delle briciole della carità internazionale; antropofagia e stupri di massa, racket e saccheggi, soldati- bambini imbestialiti da droghe e pozioni magiche: se c'è qualcosa che assomiglia all'inferno è certamente la Sierra Leone. Un popolo marchiato con feroci amputazioni viene esibito come monito perché anche nei più sperduti villaggi si sappia che vige la legge aegli uomini del «Pronte rivoluzionario unito», i khmer rossi della Africa occidentale. Tutta questa follia ha una spiegazione, lucente, preziosa, irresistibile: diamanti. Milioni, miliardi di diamanti per cui i capi di gang criminali travestiti da rivoluzionari, generali, presidenti, accudiscono che il bestiale, lucroso macello non abbia mai fine. C'è tutta l'agonia del Continente in questa sporca guerra riportata alla primitiva valenza di saccheggio, vergognosamente ignorata da una comunità internazionale che sbandiera diritti umani e ingerenza umanitaria solo quando gli ideali coincidono con i suoi concreti interessi. Tutto è cominciato otto anni fa, quando un ex fotografo ed ex caporale dell'esercito, il sessantenne Foday Sankoh, decise di forgiare la sua personalissima rivoluzione. A capo di un'armata di guerrieri adolescenti armati di machete e di kalashnikov, arruolati con la droga e la magia nera, lanciò un delirante socialismo tropicale che assomiglia al manuale mortifero di Poi Pot. Sankoh aveva un modello, Charles Taylor, il ribelle della vicina Liberia, ex terra di riscatto degli schiavi trasformata in scannatoio. Taylor ha agguantato il potere dimostrando di essere più feroce del despota di turno, e ha trasormato il Paese in un docile conto in banca. Sankoh copia meticoloso la sanguinosa ricetta, e, a colpi di stragi, il Fronte rivoluzionario arriva a lambire la capitale. E intanto scava il suolo, fertilissimo, delle miniere di diamanti. Contro il Fronte si affannano presidenti più o meno legali e anonimi golpisti. Ma quelli che comandano sono le bande dei «sobel», neologismo con cui la gente comune affratella soldati e ribelli, per sintetizzare l'unico dato certo, l'uniformità del terrore. A un certo punto è intervenuto anche «l'Ecomog», il corpo di pacificazione africano che dall'Onu ha copiato soprattutto inefficienza e incapacità. Nel caos i gruppi di mercenari bian chi^ ingaggiati con eustosp para-; dosso come «forzacù pace», hanno fatto la figura di soldati settecenteschi. Ma, alla fine, incassata la diaria in diamanti, se ne sono andati pure loro. A vegliare il popolo delle vittime sono rimasti solo preti e missionari con il loro disarmato coraggio, e la forza della pietà.

Persone citate: Charles Taylor, Domenico Quiriuo, Foday Sankoh, Milioni, Sankoh

Luoghi citati: Africa, Liberia