COMUNISTI D'ITALIA UNITEVI di Enzo Bettiza
COMUNISTI D'ITALIA UNITEVI LA SVOLTADIVELTRONI COMUNISTI D'ITALIA UNITEVI Enzo Bettiza PER quei pochi, come Indro Montanelli c il sottoscritto, che in tempi ormai remoti e più pericolosi si opponevano frontalmente al partito comunista di Enrico Berlinguer, il gran parlare che oggi si fa dei limiti berlingueriani, dei soldi di Mosca, delle complicità filosovietiche eccetera, è in gran parte roba da mercato dell'usato e da antiquariato politico. A prescindere da qualche intervento di valore testimoniale, come quello ottimo di Fabrizio Ronaolino sugli anemici «strappi» di Berlinguer, o quelli stimolanti di Gianni Riotta, di Barbara Spinelli e di Giuliano Ferrara, pubblicati su «La Stampa» insieme col «mea culpa» di Walter Veltroni, la maggioranza degli scritti o interviste che ho potuto leggere prò e contro il vecchio Pei ha suscitato in me quel senso di noia e di futilità che ci danno le cose già dette e ridette da lungo tempo. Né quegli articoli, né quelle interviste, hanno aggiunto nulla di nuovo, assolutamente nulla, a 3uanto scrivevamo sulle pagine el «Giornale» un quarto di secolo fa. Ritrovare le nostre stesse parole nelle parole di chi magari, venticinque anni fa, ci indicava come reietti dell'anticomunismo viscerale, è stato qual cosa che ha ingenerato in me, e credo pure in Montanelli, un sentimento di disincanto amaro gnolo più che di soddisfazione: misto a un paradossale sentimen to di stima per la nobile ottusità di quei comunisti a tutto tondo, quei grandi conservatori, quegli eterni nostri nemici come CÓssutta o Diliberto o Bertinotti che, con conturbante passione necrofila, continuano a difendere le spoglie del cadavere rosso giudicando Veltroni un beccamorti frettoloso quanto ingiurioso. E' tuttavia ovvio che, nonostante il fastidio che possono dare gli scatti di resipiscenza tardiva, ancor sempre tattica ed episodica, quindi incompleta, di un Veltroni o di un D'Alema, costretti dallo scandalo Mitrokhin ad approfondire il solco dal loro passato, noi non possiamo sbrigativamente condannarli per fare troppo tardi ciò che avrebbero dovuto fare molto prima. I ritmi della riconversione dal comunismo alla libertà sono ritmi tradizionalmente italiani, direi quasi cattolici, che in qualche modo evocano il lento e tortuoso allontanamento della Chiesa dall'Inquisizione e da Bellarmino. Accontentiamoci, in attesa delle successive puntate che certo non mancheranno al prossimo congresso dei diessini pentiti o, meglio, guardingamente dissociati dal berlinguerismo classico. • . Intanto, pur seguendo col dovuto interesse i travagli postumi dei figli di Berlinguer, non possiamo fare a meno di osservare che in Italia mai nulla muore in maniera netta e definitiva. Non muore il comunismo, non muore la democrazia cristiana. Tangentopoli ha provocato la diaspora e la moltiplicazione, quasi per partenogenesi, della vecchia De in tanti spezzoni democristiani di centrosinistra e centrodestra. Cosi la blanda Canossa dei comunisti, la Bolognina di Occhetto, ormai vecchia di dieci anni, anziché azzerare il comunismo ne ha partoriti almeno altri quattro. Due dichiarati e scoperti: Rifondazione di Bertinotti e il partito comunista di Cossutta, che fa addirittura parte della maggioranza e del governo. Due invece annidati nel seno del partito che Veltroni vorrebbe liberal e che liberal ancora non è: i comunisti unitari, staccatisi da Rifondazione, e quelli della sinistra diessina pacifista e movimentista che fa capo a Tortorella. Parafrasando un famoso slogan sessantottino potremmo dire davvero: «Il comunismo è vivo e lotta insieme a noi».
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