L'autunno del patriarca catalano di Pierluigi Battista

L'autunno del patriarca catalano Una vittoria del socialista Maragall significherebbe la crisi del modello secessionista moderato L'autunno del patriarca catalano Nel voto di oggi l'inamovibile Pupi rischia reportage Pierluigi Battista inviato a BARCELLONA Di I nuovo, qui a Barcellona, c'è che dopo un lungo periodo di torpore ci si appassiona di politica e ci si accapiglia per le sorti del Parlamento catalano che verrà fuori dalle elezioni di oggi. Qualunque sarà l'esito della sfida lanciata dal socialista Pasqual Maragall, sindaco di Barcellona, al quasi ventennale e dispotico dominio del nazional-catalano Jordi Pujol, il messaggio nuovo e assolutamente inedito è che osare si può, che il «cambio» non è una chimera impensabile e impossibile, che il destino politico di una città e di una regione non ha l'aspetto uniforme, immodificabile, monocromatico, inamovibile di una leadership che si perpetua da ben cinque consultazioni elettorali consecutive schiacciando nel limbo dell'insignificanza e della marginalità politica ogni velleitario concorrente. Quattro anni fa, per dire, Pujol vinse con oltre sedici punti percentuali di distacco. Oggi i sondaggi (la cui pubblicazione è, in campagna elettorale, vietata) parlano di una distanza tra Pujol e Maragall ridotta ai minimi termini: nemmeno due punti percentuali. Un'inezia: ma è un'inezia che per quelli di Barcellona sembra quasi una rivoluzione. Le elezioni catalane appaiono interessanti a un osservatore esterno per almeno due motivi. La prima è che l'eventuale tracollo di Jordi Pujol segnerebbe per l'Europa la crisi mortale di un «modello» di nazionalismo temperato che convoglia e smussa le pulsioni secessioniste di una regione ricca in una negoziazione continua con il «Centro» costretto a pagare a prezzi sempre più elevati per evitare strappi autnomistici troppo accentuati. Ma la secon- da ragione è che Barcellona, con queste elezioni, sembra voler collaudare come in un laboratorio i movimenti di un duello politico totalmente sganciato da quelle parole d'ordine che nel lessico un po' stanco e usurato del politichese vengono con un tocco di pragmatismo inautentico definite ì «programmi» e invece interamente giocato sul terreno immateriale e fantasmat ico ma emotivamente decisovo dei simboli: come se a contendersi le redini del Parlamento catalano non fossero due politici in carne ed ossa ma due personificazioni contrapposte del Vecchio e del Nuovo, dell'Immobilità e de Cambiamento, del Passato e del Futuro. E' per questo che il duello politico e simbolico tra Pujol e Maragall rende del tutto marginale la figura di Jose Maria Aznar fosse confinata in una dimensione «madrilena» che verrà, se mai, rimandata a un altro turno. Ed è per questo che il consueto rosario di buoni propositi e di «contenuti» immancabilmente riempiti di posti di lavoro che certamente cresceranno e di tasse certamente diminuiranno non è che un rumore di fondo destinato a non distogliere lo scontro tra due figure che persino nella complessione fisica, nel modo di porsi e di parlare, nei loro sguardi e nei loro abiti sembrano coincidere perfettamente con il simbolo che intendono incarnare. E infatti l'uno, Pujol, incentra tutta la campagna elettorale su un'immagine di rassicurazione, di tranquillità continuista, di bonomia paternalistica dalla lacrima facile che chiede ai catalani di ricordare e di commuoversi insieme per tutto quello che, insieme, si è fatto in questi lunghi e interminabili anni. L'altro, Pasqual Maragali, ritaglia ogni sia pur minimo dettaglio della sua immagine pubblica di sindaco cha ha saputo mutare con successo il volto urbanistico di una città mettendosi in sintonia con i ceti più dinamici, interpre¬ tando i progetti più audaci, imprimendo un'accelerazione vertiginosa alla treaformazioni architettoniche della città. Naturalmente sia l'uno che l'altro candidato spendono molto della loro attività nella demolizione della figura dell'avversario. E così Pujol ha buon gioco a mettere in cattiva luce l'inconsistenza, la vanità scintillante, la «piacioneria» che sembra tentare tanta parte del socialismo e del progressismo europeo. «Guardate in Germania», punge con sarcasmo Y Emperador: Schroeder sembrava che dovesse fare la rivoluzione e invece continua a sommare sconfitte». E Maragall, da parte sua, non risparmia punzecchiature nei confronti di un leader forse imbolsito da un potere esercitato troppo a lungo e ininterrottamente.Per sottolineare questa immagine di decrepitezza del potere di Pujol, è persino pesantemente intervenuto il vecchio leader socialista disarcionato Felipe Gonzalez che davanti ai sostenitori entusiasti di Maragall ha impietosamente supplicato il potente avversario a riconoscere che un'epoca sta z è sceso o venti e, è ento arte» definitivamente tramontando e a togliere politicamente il disturbo prima che sia troppo lardi magari seguendo proprio il buon esempio di Gonzalez: «ho cinquantasette anni e dopo quattordici anni di governo della Spagna e ventitré alla guida del Partito socialista comprendo che è importante mettermi da parte. Ho sempre avuto rispetto per Pujol ma credo proprio che è arrivata l'ora di Pasqual». Col rispetto dovuto al patriarca che ha guidato la comunità por tanti anni, gli si chiede anche di mettersi da parte e di non opporsi ai decreti del destino che impongono il Nuovo contro il Vecchio, il «cambio» contro la sclerosi e la letargia di un interminabile regime. E del resto Gonzalez non può che mostrare sentimenti di «rispetto» per un uomo che dal '93 al '96 è stato determinante polii governo di Madrid. E lo stosso Aznar sa che il governo nello mani del suo Partito Popolare non potrebbe durare un giorno di più se il catalano Pujol decidesse di revocare l'appoggio al governo moderato di Spagna. Per cui la campagna contro di lui, qui a Barcellona, non può permettersi toni troppo ultimativi e non può farsi tentare dalla carta della radicale delegittimazione dell'avversario da battere. Ma questo riguarda gli equilibri di Madrid. Nello scontro tra simboli che si consuma a Barcellona, la politica sembra ricondotta alla sua dimensiono esclusivamente emozionale. L'emozione della continuità contro quella del «cambio». L'ultimo «cambio» possibile prma del Duemila. Anche Gonzalez è sceso in campo: «Dopo venti anni fai come me, è arrivato il momento di metterti da parte» usta, di bonomia paternalistica dalla lacrima facile che chiede ai catalani di ricordare e di commuoversi insieme per tutto La Sagrada Familia mo dettaglio della sua immagine pubblica di sindaco cha ha saputo mutare con successo il volto urbanistico di una città mettendosi in sintonia con i ceti più dinamici, interpre¬ Anche Gonzalein campo: «Dopanni fai come marrivato il momdi metterti da p I leader catalano Jordi Pujol oggi rischia dopo 20 anni di potere La Sagrada Familia