Diliberto: «No alle abiure il Pcbi salvò la democrazia»

Diliberto: «No alle abiure il Pcbi salvò la democrazia» IL MINISTRO DSUA GIUSTIZIA «VEDO UNA DERIVA CONTRO CUI BISOGNA REAGIRE» Diliberto: «No alle abiure il Pcbi salvò la democrazia» intervento Oliviero Diliberto INUTILE girarci attorno. Il lungo articolo pubblicato ieri su queste stesse pagine di Walter Veltroni è destinato ad aprire un confronto a sinistra, innanzitutto in quelle famiglie della sinistra politica che si richiamano alla peculiare vicenda dei comunisti italiani. Di conseguenza non nasconderò, proprio perché considero fondamentale e necessaria una discussione senza infingimenti, le molte e profonde perplessità suscitate in me dall'analisi svolta dal segretario dei Ds, in risposta agli articoli dei giorni precedenti di Gianni Riotta e Barbara Spinelli. In questi tormentati giorni di dossier e di polveroni, abbiamo visto andare in scena la replica di uno spettacolo già visto. L'obiettivo, ancora una volta, è quello di riscrivere la storia per contraffare il presente. Ed è dunque per me motivo di profonda preoccupazione politica la negazione di una intera vicenda politica, quella del Pei, che è storia comune a milioni di individui in Italia, e si intreccia positivamente con cinquant'anni di storia repubblicana. Sotto l'incalzare ui una campagna aggressiva, a me sembra si tratti quasi di un'abiura. Addirittura più significativa della stessa svolta occhettiana, proprio perché arrivata nel pieno della bufera Mitrokhin. Infatti, a dieci anni esatti dalla Bolognina, alla ricostruzione storica del nostro recente passato (utile per tutti) si sostituisce la polemica politica strumentale. L'articolo di Veltroni mi preoccupa perché sembra indicare qualcosa di più di un cambio di natura del suo partito. Qualunque soggetto politico, appare utile ricordarlo, fonda il proprio profilo programmatico e la propria identità su un complesso sistema di valori, all'interno del quale la storia di sé è essenziale. Può essere rielaborata, trasfor¬ mata, ma non può essere né smarrita né tantomeno tranciata. Non posso, dunque, che restare sgomento all'affermazione perentoria sull'incompatibilità tra comunismo e libertà. Nella storia d'Italia, il Pei significa lotta antifascista, stesura della Costituzione, difesa delle istituzioni (e della democrazia) contro lo stragismo, alfabetizzazione alla politica di milioni di donne e di uomini. Chiedo a Veltroni: cosa ne sarebbe stato della nostra democrazia di fronte al dilagare della strategia della tensione e del terrorismo rosso, in anni complessivamente foschi, se non ci fosse stato il Pei, quel Pei di cui l'operaio Guido Rossa ha pagato con la vita l'appartenenza e la militanza. Certo, nella storia dei comunisti italiani ci sono iscritte anche tragedie e gravi errori, ritardi «Resto sgomento ma non mi arrendo davanti a ottiche deformanti e ingenerose» Dopo Walter Veltroni, che ieri ha scritto dello «strappo» definitivo fra il Pei e la Quercia («comunismo e libertà sono incompatibili»), oggi interviene Oliviero Diliberto, ministro di Grazia e Giustizia ed esponente del partito dei Comunisti italiani Oliviero Diliberto nell'elaborazione culturale e politica, ma ci sono anche - e secondo ine prevalenti - immense speranze. E' questa miscela che rende così peculiare la vicenda dei comunisti italiani. La sinistra politica di oggi (e, in particolare, i tre partiti che discendono direttamente dal Pei) non nasce dal nulla. E' figlia di un travaglio, di una evoluzione e di un cammino contrassegnato, necessariamente, da fasi diverse e da «strappi» successivi. E il primo di questi strappi fu la svolta di Salerno, il «partito nuovo» di Togliatti mezzo secolo addietro, la scelta democratica, l'ingresso nei governi di coalizione, il ruolo determinante nella Costituente. E poi, Enrico Berlinguer che in un mondo bipolare si spinse fino a dove allora era possibile. Oggi tutto è cambiato. E' cambiata l'Italia ed è cambiato il mondo. Ma si può essere una sinistra moderna, riformatrice, democratica, senza riserve mentali o infingimenti, se non si dimentica da dove si viene. E se non si sente la necessità dell'abiura ad ogni stormir di fronde. Non mi arrendo, in definitiva, all'idea che la storia del Pei, così come l'intera storia dell'Italia repubblicana, sia scritta e consegnata ai posteri attraverso un'ottica deformante e ingenerosa secondo la quale i due grandi partiti popolari che hanno segnato di sé cinquant'anni di vicenda politica e sociale italiana fossero rispettivamente costituiti da «servi» di Stalin e da una banda di «ladri e corrotti». Credo sia venuto il momento di reagire con forza a tale deriva interpretativa affinché i giovani di oggi non pensino che i loro pachi (ed anche i fratelli maggiori) hanno vissuto e lottato invano per cinquant'anni. In fondo, ai giovani di oggi consegniamo anche grazie ai comunisti un'Italia migliore.

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