«Noi volontari della speranza» di Daniela Cotto
«Noi volontari della speranza» «Noi volontari della speranza» Da Timor al Kosovo, la storia di tre italiani Daniela Cotto «Qui a Timor i rifugiati hanno bisogno di tutto, cibo e medicine. Negli occhi dei bimbi leggi il terrore. Ecco, noi siamo qui per cancellare tutto questo»: Albert Brizio, 34 anni, genovese, «medico sul campo», è uno degli italiani che lavora per «Médecins sans frontières», uno dei 120 volontari italiani (sono 2500 in tutto il mondo) che hanno ricevuto il Nobel per la pace. Una laurea con specializzazione in malattie tropicali ad Anversa, la passione per il suo lavoro «fuori da un ospedale e dalla solita routine dell'influenza», unito all'amore per l'avventura: così è nato «l'arruolamento» per Msf. Sposato con un'inglese che condivide la sua scelta di vita e padre di una bimba di quattro mesi e mezzo, Albert Brizio affronta la sua missione con totale dedizione: «Dal contatto umano ho imparato moltissimo. Devi risolvere casi sempre diversi in situazioni oggettive molto difficili. E' un lavoro che ti regala forti emozioni, ti forma e ti insegna a capire a fondo cos'è la vira». Timor devastata dalla guerra civile appesa ad una fragile pace, è una tipica missione dei medici della solidarietà: «Abbiamo accesso ai campi dei rifugiati. Certo, evitiamo i soldati di Giakarta. C'è molto da fare. Sono arrivato solo da una settimana ma siamo già all'opera. La parte più difficile è valutare di cosa hanno bisogno i rifugiati. Tra pochi giorni inizia la stagione delle piogge. Sarà dura per i bambini, soprattutto, l problemi medici si intrecceranno con (nielli pratici». Alle spalle, Albert Brizio ha già un'esperienza nel Ruanda dove è stato testimone di un genocidio: «Un'esperienza che mi ha segnato. Sono partito da Anversa, dove ho conosciuto Msf, nel '94, subito dopo la specializzazione. 11 Ruanda è slato terribile. Siamo stati cacciati dal Paese per aver denunciato massacri ed esecuzioni e chiesto l'intervento per fermare la guerra. Li ho visto le peggiori atrocità, violenze inenarrabili. E, sul viso di chi compiva i massacri, un ineffabile sorriso». A Giakarta c'è un'altra italiana, Donatella Massai, 30 anni, fìorent ina, ex infermiera ospedaliera, che coordina il lavoro del- l'ufficio indonesiano, base per chi lavora a Timor Ovest. «La situazione ora è relativamente' tranquilla, il mio primo intervento è stato nello stadio di Dili, la capitale. Abbiamo aiutato i rifugiati scesi dalle montagne. Ora stiamo lavorando anelli! ad un progetto sull'Aids». Donatella è «sbarcata» a Giakarta dopo sei T H 1 ... - anni di peregrinazioni) dallo Yemen all'Albania, dall'Armenia e la Georgia al Kenya: "Il Nobel e una soddisfazione impagabile ma la nostra vita non cambierà di certo - racconta -. Chi sceglie Msf ha un Dna connine, fatto di solidarietà e avventura». «Oggi abbiamo festeggiato, lì stasera andremo fuori a cena con staff, composto anche da indonesiani». Loris De Filippi, 33 anni, infermiere di Udine, invece, è rientrato pochi giorni fa dal Kosovo. «Sono stato al confine di Morini e a Kukes. Ma ho lavorato anche con il gruppo di psicologi guidati dall'americana ('.listine Moore. E' stata un'idea eccellente, applicata in Kosovo per la prima volta: l'intervento immediato sui pazienti, senza farmaci. Ci affidavano pazienti in crisi isterica, ad esempio, e lo psicologo interveniva già sull'ambulanza. Un lavoro oscuro che ha avuto un grande risultato» spiega Loris che è in attesa ora di una «nuova destina/ione». Lui, in questo gruppo composto in maggior parte da singles, ha chiesto di partire con la sua fidanzata con la quale divide l'idea della missioni' umanitaria: «Dove andremo? Non so. Dove c'è biso gno. Ouesto è l'unico dato impor tante». Bernard Kouchner, uno dei fondatori, ex ministro e ora amministratore dell'Onu in Kosovo: «La nostra qualità? Ci immischiamo sempre in fatti che non ci riguardano» T H i 1 ... - Qui a fianco Bernard Kouchner A destra James Orbinski presidente di Msf internazionale con Philippe Biberson. numero uno francese
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